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L'accoglienza che fa male. L'indagine di Medu e l'appello contro i grandi centri

L'accoglienza che fa male. L'indagine di Medu e l'appello contro i grandi centri

L’International Journal of Social Psychiatry ha pubblicato una ricerca di Medu (Medici per i Diritti Umani) sui fattori di stress subiti dai migranti alla fine del percorso migratorio, per esempio nei grandi centri di “detenzione”. In particolare, denuncia Medu, «condizioni di vita precarie in grandi e sovraffollati centri di accoglienza, producono effetti negativi sulla salute mentale dei rifugiati e dei richiedenti asilo al pari delle violenze subite nei paesi di origine o lungo la rotta migratoria». A confermare l’ipotesi di Medu è il risultato delle indagini condotte sui pazienti provenienti dal Cara di Mineo, emblema dell’accoglienza in grandi centri, i quali «presentavano un quadro clinico di disturbo da stress post-traumatico (PTSD) significativamente più grave rispetto ai pazienti provenienti da centri di accoglienza di minori dimensioni».

In tutta Europa, nel corso degli anni, si è drammaticamente consolidato il modello di accoglienza in grandi centri nei territori di frontiera, nonostante i disagi e i pericoli connessi (v. il caso Moria). Dunque, «le conclusioni della ricerca pongono questioni assai attuali anche per il nostro Paese, posto che nelle prossime settimane il governo ed il Parlamento si apprestano ad emendare i decreti sicurezza», voluti dalla Lega di Matteo Salvini e approvati dalla precedente maggioranza di governo, che ha lavorato alacremente proprio per smontare pezzo dopo pezzo un modello virtuoso di accoglienza diffusa sul territorio nazionale e affidata ai Comuni. «Medici per i Diritti Umani auspica che le forze politiche sappiano trarre insegnamento dalle esperienze fallimentari del recente passato. È necessario promuovere un sistema di accoglienza basato su realtà di piccole dimensioni, dotate di servizi adeguati ed integrate nel territorio, in grado di favorire una reale inclusione per il beneficio delle persone accolte e di tutta la collettività».

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