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Accordo di pace in Sudan: un passo avanti verso la democrazia

Accordo di pace in Sudan: un passo avanti verso la democrazia

Il Sudan verso la pacificazione interna? Così sembrerebbe, nonostante alcuni importanti nodi da sciogliere, a quasi un anno e mezzo dalla fine del regime di Omar Hassan al-Bashir (v. Adista Notizie n. 23/19), deposto e arrestato dall’esercito l’11 aprile 2019, in seguito ad una lunga protesta popolare. Lo scorso 3 ottobre infatti è stato siglato un accordo di pace tra il governo di transizione e i gruppi ribelli attivi in Darfur, Nilo Azzurro e Kordofan, afferenti al Sudan Revolutionary Front (Srf). L’accordo, che arriva dopo decenni di conflitti locali, è stato salutato con favore dalle parti in causa e rappresenta un importante traguardo del Sudan post-Bashir che, lentamente e non senza inciampi, intraprende il cammino verso la democrazia. Un successo, evidentemente, anche per l’attuale governo di transizione, nato a metà luglio 2019 dall’accordo tra esercito e cittadini per una direzione meno militare e più civile della transizione politica, e guidato dal nuovo primo ministro Abdalla Hamdok, in carica per circa tre anni. Se sono in molti a cantare vittoria e a parlare di firma «storica», c’è anche chi non si lascia andare a facili entusiasmi e continua a tenere il freno a mano tirato. Il 3 ottobre, non hanno voluto siglare l’accordo, infatti, il Movimento-esercito di Liberazione del Sudan, attivo in Darfur, e il Movimento del Nord di Liberazione del Popolo del Sudan, nel Sud Kordofan. Per scarsa fiducia, il secondo, il quale ha comunque siglato un autonomo cessate il fuoco ad agosto scorso, nel quale però dichiara di mantenere le armi in chiave di autodifesa fino alla promulgazione di una nuova Costituzione che preveda la separazione fra Stato e religioe e mette fine alla legge islamica.

I leader delle Chiese del Sudan hanno accolto con grande speranza l’accordo di pace raggiunto dopo un anno di negoziazioni nella capitale del Sud Sudan Juba. In seguito alla sigla del 3 ottobre, il Consiglio Ecumenico delle Chiese (WCC) ha raccolto le voci delle comunità di fede sudanesi aderenti all’organismo internazionale.

L’accordo, spiega il WCC, «regolamenta una serie di questioni tra cui la sicurezza, la condivisione del potere, le riparazioni, il risarcimento della ricchezza e il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni. Richiede anche che le milizie ribelli si sciolgano e vengano integrate nell'esercito nazionale».

«Siamo davvero contenti per questo accordo di pace. La gente è stanca della guerra e vuole la pace. Qualsiasi sforzo che faccia tacere le armi e consenta alla gente di vivere in pace è assolutamente benvenuto», ha detto il rev. William Deng Mian, segretario generale del Consiglio delle Chiese del Sudan, presente ai colloqui di Juba. I leader cristiani e musulmani e i rappresentanti del governo stanno cercando in tutti i modi di assicurare che anche i due movimenti ribelli aderiscano all’accordo. Il dialogo insomma non è chiuso e Mian si dice ottimista sui risultati.

In un mesaggio dopo la firma, ha espresso soddisfazione e speranza anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres: «La sigla dell’accordo di pace di Juba rappresenta un segnale dell’inizio di una nuova era per il popolo del Sudan. Garantirne il successo richiederà impegno e collaborazione da parte di tutti».

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