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Un Green New Deal per l’Europa. Sfide e opportunità

Un Green New Deal per l’Europa. Sfide e opportunità

Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 31/10/2020

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In concomitanza con l’aggravarsi delle disuguaglianze sociali, l’emergere di nazionalismi autoritari e il progressivo indebolimento della governance globale, la crisi climatica e i vincoli allo sfruttamento delle risorse del pianeta impongono la necessità di fornire risposte politiche complete ed efficaci. Se progettato correttamente, un Green New Deal, ossia un piano che affianchi ingenti investimenti per la conversione ecologica a un’agenda rivolta all’inclusione sociale, rappresenterebbe un progetto politico fondamentale per una crescita di lungo periodo sostenibile e per la trasformazione socio-ecologica dell’economia e della società. Siamo infatti ormai consapevoli del fatto che un modello economico realmente ispirato alla sostenibilità debba necessariamente mettere in discussione la logica espansionistica intrinseca al capitalismo.  

Crisi climatica: un problema comune con responsabilità differenziate?

Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica hanno raggiunto le 406 parti per milione (ppm). Durante gli ultimi 10.000 anni, la temperatura si è modificata all’interno di un intervallo di +/- 1°C. Ora siamo a 1.1°C. Nel caso in cui l’attuale tendenza di crescita delle emissioni di CO2 dovesse progredire, il rapporto sul riscaldamento globale elaborato dall’IPCC stima un aumento della temperatura globale di 3° o più entro il 2100. Questo provocherebbe conseguenze devastanti sul pianeta. Non è un caso che l’accordo di Parigi abbia definito l’obiettivo climatico “ben al di sotto dei 2 gradi Celsius rispetto ai livelli preindustriali” e abbia ribadito la necessità di sforzi rivolti a limitare l’aumento della temperatura oltre il grado e mezzo.

Inoltre, il cambiamento climatico interesserà in misura maggiore e sproporzionata i Paesi del Sud, cioè proprio quelle regioni del globo che non hanno alcuna responsabilità storica riguardo al surriscaldamento globale. Mentre il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile del 50% emissioni di CO2 legate ai livelli di consumo, il 50% più povero è responsabile solo del 10% di esse. Si deve inoltre tener conto della limitata capacità di resilienza nella gestione del cambiamento climatico in queste aree, data la mancanza di strumenti tecnologici e finanziari. Allo stesso tempo, la volontà dei popoli del Sud del mondo di aumentare il proprio livello di benessere economico è certamente legittima, seppure sia ben documentato come la generalizzazione dei livelli di consumo dei Paesi ad alto reddito in altri Paesi provocherebbe il superamento dei limiti ecologici del pianeta. L’accordo di Parigi cerca di esprimere queste diverse posizioni tramite il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” (art. 2.2). In termini concreti, l’accordo impegna le parti a fornire finanziamenti per il clima quantificati in 100 miliardi di euro entro il 2020 come forma di compensazione, gestiti dal “Green Climate Found” (GCF). La conferenza dei donatori del GCF ha stanziato una cifra ben più esigua del valore di 10 miliardi di dollari per il fondo del 2019 (di cui circa due terzi provenienti dal Paesi UE), ossia solo il 2,5% dei 400 miliardi di euro che i Paesi si sono impegnati a raccogliere per il periodo 2020-2023. Appare evidente, dunque, come gli sforzi internazionali siano ancora del tutto insufficienti.

Guardando alla prospettiva più propriamente europea, lo European Green Deal proposto dalla Commissione Europea presieduta da Von der Leyen non è in grado di rispondere efficacemente alle sfide attuali. Gli importi dei finanziamenti sono limitati, condizionati ad accordi con i singoli Stati membri e orientati eccessivamente ai contributi verso il settore privato. Le politiche per garantire una transizione equa, che non lasci nessuno indietro, rimangono vaghe. La dimensione internazionale rimane ancorata al paradigma della competitività e l’interesse dell’UE a garantirsi il libero accesso alle materie prime impedisce proposte concrete per promuovere la cooperazione internazionale. In definitiva, un processo più a lungo termine di trasformazione ecologica necessita il superamento delle dinamiche espansionistiche del capitalismo.

Il Green New Deal della Commissione Europea: tra austerità e mercantilismo

In base all’accordo di Parigi, l’UE si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. (...). Secondo una recente relazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, le attuali politiche degli Stati membri porterebbero però solo a una riduzione del 30% entro il 2030. Inoltre, pur implementando tutte le politiche pianificate il totale della riduzione arriverebbe al 36%. Questi numeri sottolineano chiaramente la necessità di un’azione più incisiva. L’obiettivo proclamato della nuova Commissione Europea (CE) è quello di rendere l’UE priva di carbonio entro il 2050 e di incrementare l’obiettivo di riduzione dei gas serra al 55% per il 2030. Sono, quindi, obiettivi da accogliere in linea di principio in senso favorevole. A tal fine, la nuova CE ha proposto un piano. Le politiche fondamentali proposte dall’European Green Deal (EGD) sono le seguenti:

Un mix di politiche per garantire un’efficace determinazione dei prezzi del carbonio in tutta l’economia dell’UE (...).

Una strategia industriale all’interno dell’UE incentrata sull’economia circolare al fine di ridurre lo spreco di risorse e aumentare il riutilizzo e il riciclaggio di materiali, attualmente quantificato soltanto intorno al 12%. (...).

È prevista, per il 2020, una strategia per la mobilità sostenibile e intelligente, al fine di ottenere la riduzione fino al 90% delle emissioni dei trasporti entro il 2050.

Una strategia “farm-to-fork” sarà presentata nella primavera 2020 per aumentare la sostenibilità della produzione alimentare e diminuire l’uso di pesticidi chimici e fertilizzanti. All’interno di questo schema è prevista una “Strategia per la Biodiversità” che dovrebbe aumentare la protezione di quest’ultima, insieme a una “Strategia Europea Forestale” per incrementare l’imboschimento e promuovere la tutela forestale.

Nel 2021 sarà adottato il piano d’azione “Inquinamento Zero” per l’aria, l’acqua e il suolo con l’obiettivo di garantire un ambiente privo di sostanze tossiche. (...).

Le esigenze di finanziamento dell’EGD, stimate dalla Commissione in 260 miliardi di euro annui, pari all’1,5% del PIL dell’UE fino al 2030, saranno assecondate tramite un mix di interventi. (...). Per il momento, però (...), il sostegno finanziario alla base del piano rimane ampiamente fittizio. (...).

Nonostante una serie di proposte di fatto realizzabili, il pacchetto di politiche non sembra all’altezza delle sfide imposte dal cambiamento climatico e dalla profonda crisi sociale in corso. (...).

A questo proposito, il successo della proposta della Presidente della BCE, Christine Lagarde, di includere il cambiamento climatico tra gli obiettivi della BCE, sarà cruciale per la fattibilità di un’efficace politica climatica all’interno dell’UE. Ugualmente prioritaria risulta la necessità di un processo di assegnazione dei fondi che sia trasparente e partecipativo. A tal proposito, infatti, la lezione chiave del New Deal del 1930, negli Stati Uniti, è stata proprio la dimostrazione del ruolo di una forte leadership politica e del coinvolgimento della base sociale come elementi determinanti per superare la resistenza degli interessi acquisiti e di altri eventuali ostacoli che possono verosimilmente presentarsi lungo il cammino.

Sebbene le politiche dello EGD discusse fino ad ora possono essere qualificate come ben direzionare ma probabilmente insufficienti, altre proposte avanzate dalla CE di Von der Leyen risultano, invece, sbagliate e devono necessariamente essere respinte. Così come è da respingere con forza la politica commerciale in vigore dal 2006 e l’impegno a favore di politiche di sicurezza comuni, l’inasprimento dei controlli alle frontiere esterne sotto lo slogan del «proteggere il nostro cammino europeo della vita», che l’attuale Presidente intende supportare e perseguire. Queste proposte, infatti, smentiscono l’impegno a promuovere il multilateralismo. Contando poche eccezioni, nel programma Von der Leyen mancano iniziative concrete per promuovere la cooperazione internazionale e la solidarietà. (...).

Data la sua urgenza, l’EuroMemorandum di quest’anno si concentra sulla proposta di un Green New Deal degnamente finanziato, come strumento appropriato per affrontare il cambiamento climatico a breve e medio termine. Siamo pienamente consapevoli, tuttavia, del fatto che anche un Green New Deal non sarà sufficiente a superare la logica espansionista intrinseca al modo di produzione capitalista. A tal fine, la necessaria profonda trasformazione socio-ecologica deve portare all’emergere di modi di produzione e stili di vita realmente sostenibili nel loro complesso, incentrati sull’equità e profondamente democratici. Il Gruppo EuroMemo si impegnerà a contribuire a questa sfida intellettuale ed esistenziale negli anni a venire.

Il cambiamento climatico, le politiche urbane e agricole

Due dei problemi ecologici più stringenti del nostro tempo sono il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Il dibattito sul cambiamento climatico ha relativizzato la questione della biodiversità, spesso ignorando le interconnessioni tra le due problematiche: la perdita di biodiversità rafforza l’impatto del cambiamento climatico e indebolisce la capacità di resilienza contro quest’ultimo. Entrambi questi problemi vengono infatti studiati dagli scienziati in modo interconnesso da più di un secolo.

L’UE, con le sue strategie economiche e commerciali, le sue politiche di espansione e di sviluppo, e le azioni militari e di “sicurezza”, ha contribuito all’acuirsi di questi problemi. L’UE e gli Stati membri hanno, dunque, una notevole responsabilità rispetto alle attuali questioni globali e hanno fallito, fino ad ora, nell’adottare le misure necessarie per affrontarle. (....).

Considerando l’attuale velocità di riduzione dei gas a effetto serra (GHG), l’UE avrebbe bisogno di circa 170 anni per raggiungere l’obiettivo minimo di riduzione dell’80% entro il 2050 rispetto al livello di emissione del 1990. Per raggiungere l’obiettivo di riduzione del 95%, avrebbe bisogno di circa 350 anni.

(...). Un numero ingente di persone dovrà fuggire a causa dell’innalzamento del livello delle acque, mentre altrettante saranno costrette a spostarsi a causa della mancanza di acqua potabile e dell’avanzamento delle terre aride.

Ottenere un’azione rapida contro la crescente distruzione climatica ed ecologica a livello globale rappresenta, dunque, una sfida urgente e necessaria. Di conseguenza, è essenziale trovare modalità di azione immediate e coordinate al fine di invertire queste tendenza. (...). Data la probabile considerevole resistenza di alcuni interessi specifici nel ritardare l’azione urgente per un cambiamento ecologico e socialmente sostenibile, la necessità di sviluppo e miglioramento delle proposte progressiste per un Green New Deal autentico e trasformativo, è quanto mai urgente. Le seguenti proposte potrebbero contribuire a questo fine:

• Un vero e proprio Fondo di Investimento Europeo: un Green New Deal efficace richiede una mole di investimenti senza precedenti orientati alla trasformazione socio-ecologica. Devono essere modificati gli attuali fondi Europei che permettono finanziamenti a programmi dannosi per l’ambiente, in particolare quelli che supportano l’utilizzo di combustibili fossili.

Il nuovo fondo di investimento si baserà su una tassa europea sulle emissioni di carbonio, c.d. “Carbon Tax”, su altre tasse ecologiche e sull’emissione di bond “verdi”.

• Rivedere l’attuale sistema di commercio di emissioni e superarlo: l’attuale schema è ecologicamente inefficace e politicamente fallimentare. Il primo passo è quello di ridurre il volume delle autorizzazioni di emissioni. In seguito, la sua sostituzione graduale con tasse ecologiche, in particolare con una carbon tax sull’utilizzo di tutti i combustibili fossili (gas, petrolio e carbone) e sulle emissioni ad esso connesse, potrebbe diventare uno strumento fondamentale per la riduzione dell’utilizzo di risorse inquinanti. (...). Tale azione deve essere considerata all’interno di un piano più ampio di modifica degli strumenti economici necessari per la lotta alla povertà, la perdita di biodiversità e l’inquinamento dell’aria, dell’acqua e dei sistemi ecologici in Europa.

• Nuovi strumenti per l’energia elettrica: l’utilizzo di energia elettrica derivante da fonti sostenibili richiede un utilizzo sostanziale della capacità di stoccaggio e immagazzinamento. Crediamo debbano essere le autorità pubbliche a svolgere tali compiti e a fornire l’energia elettrica come bene pubblico.

Ad oggi, all’interno dell’UE si registrano modalità di gestione diversificate, così come i sistemi di tassazione e le regole di mercato risultano eterogenei tra gli Stati membri. Vi è la necessità di stanziare una quantità ingente di investimenti al fine di aumentare la capacità di immagazzinare energia da fon ti rinnovabili, come quella solare ed eolica, e per garantirne l’accesso in modo universale come principio cardine dell’ordinamento UE.

• Un altro approccio all’uso della terra e delle foreste: l’attuale metodo di produzione agricolo e di utilizzo delle foreste porta all’impoverimento delle terre. Il rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente sostiene che anche i target per il 2050 porterebbero a un peggioramento della biodiversità e della crisi climatica; le azioni intraprese sono insufficienti. Gli incentivi all’utilizzo del legno come bioenergia devono essere aboliti. L’uso intensivo delle risorse forestali per lo sviluppo di infrastrutture sta portando alla progressiva perdita di biodiversità. Un piano verde progressista deve prevedere il sostegno alle foreste e alle specie protette di alberi locali, la riduzione della pressione da pascolo e nuove infrastrutture verdi. (...). È necessario, dunque, integrare la tutela della biodiversità in tutti i settori economici e includerli nelle politiche settoriali: nel commercio, nell’agricoltura sostenibile, nella silvicoltura e nella caccia, nella pesca, nella pianificazione del territorio, in settori quali energia, trasporti, sanità, turismo e nel settore finanziario. Un approccio integrato tra i settori e l’introduzione di vincoli amministrativi stringenti dovrebbero portare ad una gestione basata sulla tutela degli ecosistemi e a soluzioni ispirate all’ecologia.

• Politiche alternative per regioni, enti locali e città: gli investimenti per una trasformazione socio-ecologica risultano a oggi insufficienti. Inoltre, le azioni intraprese fino ad ora hanno e avranno conseguenze notevoli sui livelli di diseguaglianza. (...). È necessario dunque considerare un insieme di indicatori, culturali, sociali, economici ed ecologici per analizzare come le politiche di sviluppo regionale tutelino la sostenibilità sociale, culturale ed ambientale delle regioni. Spesso le politiche industriali non considerano questi fattori e seguono sentieri di sviluppo molto differenti, e contrastanti, rispetto ai fattori locali. Per questo crediamo che l’utilizzo degli indicatori regionali esistenti sia la base per implementare politiche di sviluppo vicine alle specificità dei territori e capaci di coinvolgere dal basso le comunità locali tramite metodi democratici e collettivi che coinvolgano in modo inclusivo anche gli ultimi all’interno delle singole comunità.

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