
“Nel nome del Padre”? L’influenza della Chiesa cattolica
Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 07/11/2020
Violenza di genere è concetto tanto esteso da rischiare di diventare “liquido”, per questo prima di iniziare una riflessione ritengo giusto dire in quale accezione è qui assunto. Innanzitutto il primo lemma, violenza: intendo questo termine nel suo significato più vasto, che include quindi non solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica/morale, nonché quella sessuale, a mio avviso tertium genus rispetto alle prime due. Poi il secondo, di genere: ossia legato alla differenza di sesso, al fatto di essere (per nascita o per scelta) maschio o femmina. In questo senso la violenza di genere è categoria più ampia della violenza domestica, anche se molto spesso comportamenti violenti sono agiti proprio da parenti o affini.
Come si pone la Chiesa cattolica nelle azioni di contrasto alla violenza di genere sopra definita?
Ritengo che la Chiesa cattolica non sia rimasta inerte davanti al fenomeno e abbia in diversi modi cercato di denunciarlo e contrastarlo. Cito solo alcuni esempi che, rappresentando esperienze diverse e anche geograficamente distanti, possono dare un’idea del fermento che si sta sviluppando all’interno delle nostre Chiese. Da un lato la recente Dichiarazione dei vescovi cattolici del Quebec che, in occasione della commemorazione del femminicidio di trenta donne avvenuta al Politecnico di Montreal il 6 dicembre 1989, invita non solo a non dimenticare, ma anche a prendere coscienza delle attuali e diffuse situazioni di abuso e violenza per contrastarle efficacemente: «Oggi scopriamo che le realtà descritte […] sono ancora attuali e che molte altre forme di violenza colpiscono le donne e le persone vulnerabili anche fuori dalle mura domestiche»(1). Dall’altro l’organizzazione di un seminario on line in data 8 giugno dell’anno in corso da parte dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della CEI rivolto a «cappellani e assistenti spirituali, operatori pastorali della salute, ministri straordinari della Comunione, operatori sanitari, responsabili e collaboratori degli Uffici e delle Consulte diocesane di pastorale della salute» dal titolo La violenza di genere(2). Non sono poi certamente da trascurare le varie esperienze di accoglienza e sostegno offerti nell’ambito delle Pastorali familiari parrocchiali o diocesane – penso ad esempio ai Gruppi sposi o Gruppi Famiglia come diversamente declinati –, nonché l’ausilio dato dai consultori familiari cattolici a coppie o a donne sole in difficoltà, o l’attività non esclusivamente di aiuto, ma anche di studio, sensibilizzazione e approfondimento promossa tra le altre da Caritas ambrosiana(3). Si tratta di esperienze vissute in realtà locali, spesso animate da spirito di gratuità e di servizio, che non solo non deve essere obliato, ma va a mio avviso riconosciuto e sostenuto. Quasi a sigillo, o comunque certamente non slegato dalle azioni di contrasto alla violenza di genere, possiamo citare le parole e i gesti dell’attuale Pontefice, non solo di ferma condanna alla violenza sulle donne (e alla violenza in generale), ma anche di riconoscimento del ruolo femminile; dal frequente ripetere da parte del Papa che “la Chiesa è donna” fino all’Istituzione di una Commissione di Studio per il diaconato delle donne una prima volta nel 2016, con conclusione dei lavori nel 2019, e una seconda volta nell’aprile del 2020.
Ne esce fin qui un quadro in sostanza positivo, di una Chiesa in cammino, composta da tante donne e uomini che sono disponibili a offrire il proprio tempo, le proprie competenze e la propria sensibilità, spesso a titolo assolutamente gratuito, per aiutare chi è sofferente e in difficoltà, fedeli agli insegnamenti di Cristo. Ho inteso ribadirlo per escludere ogni possibile fraintendimento che potrebbe ingenerarsi dalle prossime osservazioni: non è mia intenzione misconoscere l’attività e l’impegno profuso dalla Chiesa (a tutti i livelli, compresi moltissimi presbiteri) e dai fedeli in genere, anzi li guardo con ammirazione e li incoraggio a continuare. Tuttavia, se si intende proseguire il cammino e fare qualche passo avanti, è a mio avviso doveroso e necessario ampliare lo sguardo e interrogarci sulla posizione che la Chiesa cattolica, intesa qui come Istituzione, ha nei confronti del genere femminile.
Partiamo allora da una affermazione che ho già citato: «La Chiesa è donna» ribadisce il Capo della Chiesa, che però è un uomo; «La Chiesa è donna», può darsi, ma se si guardano le celebrazioni e gli officianti, si fa un po’ fatica a scorgerne l’aspetto femminile; «La Chiesa è donna», ma la prima Commissione sul diaconato femminile ha portato temo poco frutto, tanto è che ne è stata istituita un’altra, di cui si attendono le future determinazioni; «La Chiesa è donna», dunque Cristo, suo re e sposo, è giocoforza uomo.
Non mi inoltro in questioni teologiche perché non credo sia questa la sede, voglio anzi dire che riconosco a Papa Francesco un’assoluta onestà intellettuale e che sono certa che quando afferma che «La Chiesa è donna» lo creda sinceramente. Tuttavia penso si possa sostenere senza tema di smentita che l’immagine che della Chiesa cattolica viene restituita dai suoi centri di potere non è certamente quella di una paladina delle pari opportunità tra i generi.
Nella cultura cattolica, egemonica almeno nell’Europa occidentale fino a una sessantina di anni fa, il modello femminile era quello di moglie e madre devota, pronta al sacrificio e soprattutto al silenzio e all’obbedienza nei confronti del padre prima, del marito poi. Se d’altra parte la donna non aveva la fortuna di sposarsi e mettere al mondo dei figli (volutamente non declino al femminile), l’attendeva un destino infausto, di condanna sociale o di compassione, che forse è anche peggio, a meno che non scegliesse di votarsi alla vita consacrata, beninteso. Si osserverà che adesso, nel 2020, non è più così, che la società è profondamente cambiata e con essa le prerogative, le istanze, i desideri delle donne. Senz’altro questo è vero.
Le donne quasi sempre lavorano, non necessariamente si sposano, la maternità, posticipata in termini anagrafici, appare di solito una scelta consapevole e condivisa con il compagno, piuttosto che un destino scontato o l’adempimento di una funzione sociale. Tralasciando riflessioni più strettamente sociologiche, ad esempio in merito al tipo di lavoro che le donne svolgono, con i ben noti problemi del tetto di cristallo o del differenziale salariale di genere, la domanda che preme in questa sede è: quanto la nostra Chiesa cattolica ha influenzato o almeno recepito i cambiamenti che si sono realizzati nella mondanità? Penso che non vi siano dubbi sull’importanza del lavoro femminile, ma nell’immagine di famiglia tradizionale che viene proposta (e sostenuta con una certa forza) dalla Chiesa cattolica, non si legge in controluce che la presenza a casa della madre, che con spirito di sacrificio rinuncia ad ambizioni carrieristiche tipiche del mondo virile, è in fondo garanzia di migliore cura e protezione di figli/e, nonché di un ambiente familiare stabile e sano? Certo probabilmente nessuno criticherà una donna che è costretta a lavorare per “aiutare” il marito e contribuire al bilancio familiare, ma viceversa se un reale bisogno non c’è, il modello femminile da emulare non sarà forse quello di una donna che diventa moglie, poi madre, dedicando a questo tutte le sue energie migliori? Si mina così alla base un elemento fondamentale dell’emancipazione femminile: quello dell’indipendenza economica, prima ancora che quello della realizzazione personale. Quale reale possibilità di scelta e autonomia avrà una donna che economicamente dipende dal marito? Quanto facile sarà per lei decidere di andarsene, ove fosse vittima di violenza, perfino di quella fisica? Del resto non è già una forma di violenza, dolce e subliminale finché si vuole, quella di imporre uno stereotipo vetusto, corredandolo di potenziali sensi di colpa ove non venga rispettato?
Siamo proprio sicuri/e che l’immagine di donna docile e remissiva, assimilata “alle persone vulnerabili” (vedasi sopra), dunque bisognosa di protezione o di cure come può esserlo un/una bambino/a, non abbia nulla a che vedere con la violenza di genere?
In altri termini siamo proprio sicuri/e che il Patriarcato tutt’oggi imperante non abbia le sue responsabilità e non abbia ancora un atteggiamento troppo tiepido nel condannare la violenza di genere(4)? Una visione misogina, o anche soltanto androcentrica, della fede non può non influire negativamente sullo sviluppo psichico e comportamentale di ragazzi/e, contribuendo in qualche modo a far credere ai maschi che loro (e non le donne) sono immagine e somiglianza di Dio; ma se è così, è inevitabile poi che in qualche modo credano di essere re e signori delle “loro” creature, donne comprese, re buoni e giusti magari, ma pur sempre re, con diritto di dominio, perfino con diritto di vita e di morte.
Riconosco che la teologia femminista ha fatto e sta facendo straordinari passi avanti, offrendo un contributo essenziale alla rilettura delle Scritture e, anche se vedo la strada ancora molto lunga, ritengo che solo il reale superamento della dimensione patriarcale e l’affermazione di un “discepolato di uguali”(5), oltre a cogliere l’autentico messaggio del Maestro, potrà contribuire a un radicale cambiamento delle nostre comunità ecclesiali con conseguente reale contrasto alla violenza di genere.
Chiudo permettendomi il suggerimento di due passi concreti. Da un lato, dal basso, lo sviluppo e il sostegno di gruppi di autocoscienza maschile anche all’interno delle nostre parrocchie, esistono esperienze di questo tipo in diverse Chiese protestanti e in comunità cristiane di base, che hanno dato ritorni molto positivi. Dall’altro, dai vertici, l’adesione, non ancora dichiarata nonostante alcune aperture, da parte della Santa Sede alla “Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica” (cd. Convenzione di Istanbul) aperta alla firma ormai dall’11 Maggio 2011.
Si potrebbe cominciare da qui per costruire un cammino davvero comune, di uomini e donne, con pari dignità, uniti nella lotta a ogni forma di violenza.
Laura Tagliabue è redattrice della rivista Esodo e vicepresidente dell’Osservatorio Interreligioso sulla Violenza contro le donne
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(1) Estratto da: https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019- 12/quebec-impegno-chiesa-contro-violenza-donne-abusi.html
(2) Programma sul sito: https://salute.chiesacattolica.it/webinar-2020/
(3) Notizie in dettaglio sul sito: https://caritasambrosiana.it/aree-di-bisogno/ maltrattamento-donna
(4) Penso ad esempio alla cd. separazione terapeutica, da considerare “in casi estremi” affinché la donna tuteli se stessa e i figli, secondo la posizione di don Gentili già Direttore dell’ufficio per la Pastorale della famiglia della CEI; credo che in situazioni come queste la Chiesa potrebbe pensare ad assumere una posizione di condanna più ferma e a considerare ipotesi di scioglimento del vincolo matrimoniale più definitive.
(5) Faccio mia un’espressione e un concetto più volte ribadito da Elisabeth Schüssler Fiorenza cfr. ad es. In memoria di lei, Nuovi studi teologici/ Claudiana, 1990.
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