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La giustizia di genere nella vita religiosa femminile

La giustizia di genere nella vita religiosa femminile

Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 07/11/2020

Sul fronte della tutela dei minori la Chiesa italiana si sta muovendo anche se a passi inevitabilmente molto differenziati: in alcune Regioni e diocesi si lavora di più (tavoli di confronto, sportelli, linee guida…), in altre ancora non si è riusciti ad attivare équipe e Centri di ascolto. Credo si debba però dare credito al fatto che, pur a fatica, ci si sta attivando per creare una giusta e corretta informazione e formazione in vista del creare una rete di prevenzione affinché la tutela delle persone più fragili entri nel tessuto concreto delle comunità cristiane e da lì sia motivo per ulteriori passaggi di consapevolezza nella società civile.

Sul fronte della tutela degli adulti vulnerabili il discorso è molto più complesso e più faticosa è la ricerca per trovare vie di coscientizzazione circa questa ferita nel corpo della Chiesa. All’interno di questa ampia realtà merita un’attenzione particolarmente urgente la realtà degli abusi delle donne consacrate. È bene ricordare qui che la “parola” abuso include l’abuso di potere, di coscienza, sessuale e ogni forma di molestia verso coloro che possono trovarsi in uno stato di vulnerabilità, inferiorità, bisogno esistenziale. In questo senso credo vada compresa la realtà della violenza di genere. È violenza ogni ingiustizia, prevaricazione, sfruttamento che viene compiuto da una persona o più persone verso coloro che si trovano in uno stato di inferiorità e di bisogno o che sono ad essi legati da forme di servizio che avendo perso la sua essenziale natura si manifesta come servilismo verso chi detiene ogni forma di potere: psicologico, spirituale, economico…

Le ingiustizie di genere, anche nelle comunità cristiane e nelle comunità di vita consacrata sono purtroppo presenti, diffuse e nascoste, alle volte non sono neppure riconosciute come tali, non solo da chi le agisce, ma anche dai fedeli e spesso anche da chi le subisce se viene a trovarsi in una situazione di solitudine e di emarginazione per nazionalità, preparazione culturale, sofferenze pregresse. Certi “sfruttamenti” anche di mansioni umili da parte dei sacerdoti, senza riconoscere il vero carisma delle religiose, sono forse le più frequenti. Pensiamo per esempio ad alcuni Paesi in cui vengono fatti sorgere gruppi di consacrate alle dirette dipendenze di un sacerdote o di un vescovo senza che nessuno possa verificarne la formazione, lo stile di vita, il carisma e la finalità del servizio. A queste tristi realtà si aggiungono veri e propri abusi di potere in cui spesso viene calpestata la dignità delle donne e delle religiose, ignorando le loro competenze, la capacità di ascolto, di cura e di attenzione agli altri. Lo stesso Papa Francesco due anni fa ebbe a dire ad alcune Superiore generali: «Perché le suore fanno da domestiche del prelato? Servizio alla Chiesa sì, servitù no!».

Vi sono anche forme di violenza subdola, compiuta attraverso gesti, atteggiamenti e parole che feriscono altrettanto profondamente le donne, spesso molto sensibili e vulnerabili. Giochi di potere e di manipolazione che alcuni sacerdoti o leader carismatici attivano per raggiungere i loro scopi, a discapito non solo delle persone che cadono nella trappola, ma anche della comunità ecclesiale e religiosa. Pensiamo al delicato servizio dell’accompagnamento spirituale, della predicazione e dell’esercizio del sacramento della confessione. Nulla è più sacro e inviolabile della coscienza, luogo in cui si svolge il dialogo tra Dio e la sua creatura, eppure purtroppo accade che anche la parola di Dio venga manipolata con tragiche conseguenze di forme diverse violenza che crea vere e proprie ferite di abuso nell’interiorità e nella coscienza delle persone. Forse questa è una delle piaghe più diffuse del clericalismo: sentirsi e vivere come padroni della fede degli altri e non servi del vangelo. Questo è un vero scandalo!

Papa Francesco ha più volte parlato del genio femminile, della capacità di meditazione  delle donne, della loro sensibilità e intuizione. Non solo, il Pontefice riconosce anche il ruolo di governo che le donne potrebbero svolgere dimostrando grandi doti, anche a questo motivo ha assegnato loro alcuni incarichi di rilevanza anche “strategica” in Vaticano. Non a caso il Papa più volte ha insistito sulla necessità di una maggiore presenza femminile nella Chiesa, in ambito pastorale, ma anche ai livelli decisionali e di governo. Così come anche continua a sollecitare le stesse consacrate ad assumere, senza timore, la responsabilità di fare sentire la loro voce sapendola coniugare con scelte coraggiose a favore dei più deboli e dimenticati. In questo senso la profezia non va mai disgiunta dal ruolo istituzionale e, credo, che anche su questo ci sia molta strada da fare.

Si fatica ancora in Italia a lasciare un degno e concreto spazio al genio femminile, purtroppo non si può negare che, sia nelle comunità sia nelle curie, il potere è spesso nelle mani degli uomini (possibilmente pochi) e rappresenta uno status, più che un servizio al prossimo e alla Chiesa. Lo si vede chiaramente anche in ambito civile, quello che manca è un cambio culturale, un cambio di mentalità, so soprattutto in Occidente. Molto avrebbero da insegnare le giovani Chiese (a cominciare da quelle dell’America Latina) in cui lo stesso ruolo dei laici e delle donne in particolare è riconosciuto a pieno titolo e non potrebbe essere altrimenti, perché è intorno alle donne che si svolge la vita, familiare, sociale ed ecclesiale.

Si deve riconoscere che una mentalità di reciprocità, partecipazione e corresponsabilità alle volte trova voce, pensiamo al gruppo delle teologhe, all’operato della Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg), a scelte decisamente profetiche che piccoli nuclei di donne consacrate stanno attivando nel mondo intero e anche qui in Italia, per esempio a favore della piaga della tratta e dell’accoglienza dei migranti. Qui bisogna assolutamente credere che si stanno aprendo vie nuove e, credo, avere il coraggio di portarle avanti anche senza riconoscimenti ufficiali della gerarchia, anzi, direi, senza cadere nel tranello di attendere tali riconoscimenti. Nel medesimo tempo mi chiedo come interpretare la latitanza rispetto all’impegno per attivare vie di vera giustizia e compartecipazione da parte della Chiesa istituzione. È una domanda che ci deve inquietare. Deve inquietare le coscienze di coloro che hanno responsabilità ecclesiale.

Dov’è la coscienza di chi tace?

Non è più possibile tacere e nascondere ingiustizie, sfruttamento, umiliazioni che le donne ancora subiscono. E se c’è ancora chi lo fa, dove è la sua coscienza? Qui si tratta di giustizia, virtù cardinale di cui è colma la Bibbia e che il Vangelo ripropone in forma nuova con Gesù, il vero giusto. Giustizia e verità viaggiano a braccetto, non si dà l’una senza l’altra. La giustizia quindi non è una concessione, un’eccezione o un favore, ma è un valore fondamentale e costitutivo della Chiesa stessa. E se viene negata, in particolare alle donne in quanto tali, ciò scandalizza e merita condanna. La vita religiosa femminile ha diritto, secondo il vangelo, di essere non solo rispettata, ma onorata. Lo crediamo? 

Esponente dell’Istituto delle Ausiliarie Diocesane di Milano, formatrice vocazionale e da diversi anni impegnata nel servizio di ascolto e accompagnamento delle religiose abusate al Centro per l'accompagnamento vocazionale di Milano, Anna Deodato è membro del Servizio Nazionale per la Tutela dei Minori della Cei, nel 2016 ha scritto il libro Vorrei risorgere dalle mie ferite. Donne consacrate e abusi sessuali (Dehoniane).

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