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PRIMO PIANO. Com’è cambiato lo stile di vita degli italiani?

PRIMO PIANO. Com’è cambiato lo stile di vita degli italiani?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 14/11/2020

È bene domandarci cosa è cambiato dal primo lockdown ad oggi, a riguardo degli stili di vita degli italiani. Alcuni, forse diversi, tuttavia sempre una minoranza, hanno imparato bene la lezione provocata dalla pandemia e si sono aggiunti all'altra minoranza virtuosa che da anni aveva messo in pratica stili di vita responsabili, solidali e sostenibili per poter curare e custodire la casa comune, e quindi la vita di tutti gli esseri viventi. Un'altra parte, appena terminata la paura della prima fase del coronavirus, è tornata come prima in quanto si è illusa che fosse terminata la pandemia, riprendendo gli stessi stili di vita come se non fosse accaduto niente. Peggio ancora, ha annullato anche le precauzioni  di prevenzione come l'uso della mascherina e la distanza fisica. L'estate appena terminata ce lo testimonia bene mediante le tante immagini di assembramenti balneari, di movida, di discoteche piene, di vacanze poco responsabili.

Eccoci ricaduti in una seconda ondata del Covid 19, come era stato previsto. Ora è troppo facile rivolgerci alle istituzioni politiche solamente con toni accusatori. Esse avranno la loro parte di responsabilità, ma non si può nascondere la responsabilità personale e collettiva della gente che ha abbassato la guardia e si è goduta una libertà estiva non certo responsabile. Gettare la palla della responsabilità sugli altri non aiuta ancora una volta. Bisogna, invece, prendere coscienza che ci sono degli aspetti fondamentali per la vita della collettività, che partono dal basso, a livello personale fino a raggiungere l'alto delle istituzioni sociali, politiche, economiche e religiose. Questa ricaduta nel pieno della pandemia ci aiuta, forse, a non scherzare più con la vita, soprattutto quando essa vuole comunicarci qualcosa di essenziale per stare bene tutti oppure nessuno.

Voglio sottolineare due aspetti fondamentali per poter mettere in atto nuovi stili di vita a livello personale, comunitario e istituzionale, rivelateci dall'esperienza della pandemia e consolidatesi da questa ricaduta verso un nuovo lockdown.

Il primo riguarda la vita planetaria nella sua dimensione collettiva. Tutto è in relazione, tutto è connesso e tutto è collegato. Ce l'aveva rivelato eccellentemente l'enciclica Laudato si'. Siamo esseri relazionali e quindi non dobbiamo considerarci delle isole, ossia individui separati gli uni dagli altri, sperando che tutto quello che individualmente facciamo (scelte, comportamenti e prassi) non abbiano una ripercussione sugli altri.

Il Covid-19 ci ha rivelato che «siamo tutti sulla stessa barca e che la morte e la vita di ciascuno dipendono dalla responsabilità di tutti», ho sottolineato nel libro Nel domani del virus. Inoltre, ho utilizzato due note metafore che fanno capire molto bene questa interdipendenza gli uni con gli altri: il minimo "battito d'ali di una farfalla" che è capace di provocare un uragano dall'altra parte del mondo; la "teoria del cigno nero" che descrive eventi inaspettati che hanno grandi conseguenze e impatti, tali da travolgere tutto e da cambiare la storia.

Facciamo fatica, purtroppo, a capire questa realtà del tutto connesso, collegato e in relazione. E per questo abbiamo bisogno di forti scossoni come il trascorso e sofferto confinamento e come l'attuale situazione che rischia di condurci a una nuova "prigionia domestica", che sarà ancora più dolorosa.

Questa pandemia, l'emergenza ambientale e tante altre questioni sociali come le migrazioni, ci spronano a prendere coscienza che ogni scelta ha un risvolto positivo o negativo non solo verso se stessi, ma anche verso gli altri e verso la collettività. E quindi risveglia la verità che la mia libertà finisce dove incomincia quella dell'altro. Questo esige la responsabilità personale, comunitaria e istituzionale delle scelte messe in atto nel nostro quotidiano, come evidenziato nel libro Cambiamenti a km 0. L'opzione del quotidiano. «Prendere coscienza di questa dimensione globale significa rendersi conto della grande responsabilità degli uni verso gli altri, nel tenere presente le conseguenze delle azioni personali, collettive e istituzionali. Così come è accaduto durante la pandemia: la mancanza di rispetto dei dispositivi e delle precauzioni atte a isolare il virus ha causato il contagio non solo per sé ma per il prossimo, generando un effetto domino di dimensioni disastrose», sottolineavo nel libro Nel domani del virus.

Dobbiamo liberarci, quindi, dalla presunzione che quello che io faccio individualmente riguarda solo me e non ha conseguenze sugli altri. Questa liberazione ci aiuterà a passare dalla cultura del "me ne frego" a quella del "prendersi cura".

Il secondo aspetto è la questione della libertà. Quanta fatica nel vivere bene la propria e altrui libertà. È più facile il cambiamento nell'adottare comportamenti responsabili quando viene indotto dal lockdown o dalla paura. L'abbiamo sperimentato troppo bene durante la pandemia: l'obbligo di stare a casa e di adottare i dispositivi e le misure necessarie hanno indotto la collettività a cambiare in poco tempo, rispettando le norme sia perché c'era imposizione e sia per non incorrere in infrazioni che potrebbero avere risvolti anche penali. Questa modalità di cambiamento è facile perché viene provocata dalla costrizione normativa e dalle paure, anche quella di ammalarsi a causa del coronavirus. Mentre è molto faticoso mettere in atto una libertà che sfoggia atteggiamenti responsabili per se stessi e per gli altri quando non c'è la costrizione o la paura. L'abbiamo visto soprattutto durante l'estate, dopo c'è stato l'allentamento di misure restrittive, anche se eravamo ancora nell'emergenza pandemica.

È la dimensione etica difficile da coniugare nella vita quotidiana. Ossia fare scelte responsabili che vengono mosse dalla convinzione di una vita intrisa di valori proficui e non di norme costrittive. In altre parole, nuove prassi che vengono promosse dalla virtù e non dalla necessità. Pratiche eque e solidali che nascono dalla coscienza che non siamo individui, ma persone umane in relazione con tutte le altre creature, generando una interdipendenza che se è positiva può promuovere finalmente una vera comunità locale e mondiale.

Nel libro Nel domani del Virus evidenzio la seguente verità: la cultura individualista genera la massa e non il popolo. Una massa formata da tanti individui. Mentre la cultura del popolo promuove la comunità formata da persone umane che si prendono cura reciprocamente e responsabilmente. La massa viene manovrata generalmente da interessi economici e finanziari, mentre il popolo ha una identità, una storia e un progetto di vita comunitaria.

Dentro una realtà di popolo e comunità la libertà assume il volto della responsabilità a 360 gradi. Mentre la libertà coniugata con l'individuo e la massa diventa "libero arbitrio", che diventa poi una mina vagante nei confronti della collettività, minando la cultura del popolo e formando masse che si contrappongono fino a conflitti violenti, per poter difendere i propri interessi individuali o di categoria.

"Nuovi stili di vita" significa una scelta non indotta solamente dalla legge o dalla paura, ma voluta soprattutto dalla propria crescita personale nella responsabilità verso se stessi, gli altri e la comunità. Il cambiamento imposto dal lockdown e dalla paura è importante, ma è fragile e dura poco, come abbiamo constatato nella fase successiva. Mentre quello determinato da una scelta responsabile diventa duraturo. E quindi bisogna trasformare la necessità e il conseguente obbligo, causato in questo caso dal Covid con i suoi ripetuti lockdown, a una opportunità di crescita personale e comunitaria, in modo che le nuove scelte siano alimentate dall'etica e non solamente dalle norme costrittive.

Un cambiamento con il volto di un nuovo stile di vita indica, quindi, una nuova prassi che è solida, e non liquida, perché è fondata sull'esperienza della bellezza, ossia il percepire quanto è meglio, salutare, equo, sostenibile e felice il vivere una vita piena di buone relazioni, di sobrietà felice, di un natura che sprigiona vita in abbondanza.

Ma è anche vero che per arrivare a questa maturazione e traguardo del ben vivere, ci vogliono degli scossoni che partono dalle necessità, dalle emergenze e da situazioni a volte gravi. Penso a coloro che sono stati scossi dalla malattia, anche grave, e che hanno rivisto i propri stili di vita fino al coraggio di cambiare la propria alimentazione per una più salutare, i ritmi sempre più veloci e stressanti per una lentezza del vivere, ecc.. È proprio vero: le persone umane cambiano più per necessità che per virtù.

E allora, questo eventuale secondo lockdown possa diventare uno scossone tale da convincerci finalmente che non si può continuare così, e tanto meno tornare come prima, ma bisogna impegnarsi per un nuovo modo di vivere alimentato dalla sua bellezza e felicità. Un processo che farà crescere quella percentuale, seppure ancora in minoranza, la quale ha trasformato la necessità in opportunità del ben vivere. Sarà questo processo di cambiamento che riuscirà, piano piano, far diventare la minoranza in maggioranza, fino al punto di riscattare la cittadinanza di tutti e di tutte per una vita responsabile, equa, sostenibile e felice per tutti gli esseri viventi. 

Educatore, scrittore e conferenziere nella promozione dei nuovi stili di vita, Adriano Sella è promotore del Movimento nazionale dei nuovi stili di vita  

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