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PRIMO PIANO: Alexandria e le altre

PRIMO PIANO: Alexandria e le altre

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 42 del 28/11/2020

Mesi fa le hanno chiesto: «È pronta a ricominciare a lavorare in un bar quando scadrà il suo mandato il 3 novembre?». «Sono pronta tutti i giorni a lavorare di nuovo in un bar – è nota per le risposte fulminanti alle provocazioni – perché non sono classista, e non credo che il lavoro determini il valore di una persona. E tanti miei colleghi nei ristoranti erano molto migliori di parecchi dei miei attuali colleghi deputati. Anche più intelligenti». Ma non è dovuta tornare a lavorare in un bar di New York, Alexandria Ortasio Cortez, AOC, come la chiamano tanto i suoi appassionati fan che i suoi feroci detrattori. Ha stravinto, come la NBC dichiarava già un’ora dopo la chiusura dei seggi: il 69% dei consensi nel 14° distretto (Queens – Bronx), contro un forte candidato repubblicano, John Cummings, che aveva raccolto milioni di dollari e fatto campagna a tappeto contro di lei, anche con 700.000 lettere. Alexandria, invece, per scelta da sempre, fa, con molto successo, fundraising solo dal basso, puntando sui piccoli contributi dei tanti sostenitori e rifiutando, come Sanders, il sostegno di grosse aziende. Nata a New York da genitori portoricani, studentessa brillante, si era trovata però, dopo la morte del padre, in difficoltà burocratiche ed economiche. Lanciata nel 2018 nelle competizioni interne da Bernie Sanders, leader dell’ala sinistra del partito, di cui condivide le posizioni socialiste, aveva incredibilmente vinto contro un candidato di centro del gotha del partito democratico, Joseph Crowley, diventando, a ventotto anni, la più giovane rappresentante mai eletta al parlamento degli Stati Uniti. Poi una carriera politica in ascesa: è ora il punto di riferimento della sinistra del partito e dei movimenti che si muovono alla sua base. Ma non è sola. Hanno tutte mantenuto il loro seggio le deputate del suo gruppo, The Squad, “La squadra”, come lei radicali/socialiste e appartenenti a minoranze etniche: Ilhan Omar, confermata nel Minnesota, nata a Mogadiscio e arrivata come rifugiata nel 1995, musulmana, Rashida Tlaib, anche lei musulmana, con genitori palestinesi, la madre di Ramallah e il padre di Gerusalemme Est, di origini operaie, che ha prestato giuramento con un abito tradizionale palestinese e il Corano in mano, rieletta nel Michigan, Ayanna Pressley, prima donna afroamericana eletta in Massachussets. Tutta l’ala radicale è andata bene, ed è anche cresciuta. Riconfermati i candidati afroamericani di New York Jamaal Bowman e Mondaire Jones, il primo deputato afromericano dichiaratamente omosessuale suale, e Cori Bush, attivista nonviolenta e prima donna nera eletta in Missouri, mentre ha riconquistato il suo seggio anche Marie Newman di Chicago.

Ma non sono eventi isolati. Il peso della sinistra del partito esce rafforzato da queste elezioni anche per il forte contributo che l’attivismo di base ha dato alla vittoria di Biden. E nel quale hanno avuto un ruolo forte le donne e le minoranze. Lo ha riconosciuto nel suo primo discorso di grande efficacia retorica la vice-presidente Kamala Harris, figlia di una donna indiana e di un nero giamaicano: «La democrazia non è uno stato, è un atto. Non è garantita, è forte solo se non la diamo mai per scontata e la difendiamo praticandola. Per quattro anni avete lottato per le nostre vite e per il nostro pianeta, e poi avete votato». Non era scontato. La Harris, nella sua folgorante carriera politica e professionale, ricca di primati come procuratrice e come politica (prima senatrice nera della California) ha però anche gravi ombre, vista da sinistra: nel decennio scorso da procuratrice sosteneva la scelta di rafforzare la presenza delle forze dell’ordine in strada e per la sua debolezza nei confronti di poliziotti autori di omicidi di neri veniva duramente attaccata dagli attivisti di Oakland e poi di San Francisco: un tema su cui dovrà confrontarsi presto. In generale, anche nei suoi libri sembra mancare di quella sensibilità sociale che, dopo Black Lives Matter, i tempi impongono. Ma per ora ha scelto un’immagine che apre a questi settori: per il primo discorso il colore bianco del tailleur, che evocava simbolicamente le suffraggette; e le parole intense sulle donne anche di minoranze etniche: «Penso alle donne, alle donne nere, asiatiche, bianche, ispaniche, nativo americane, che nel corso della storia di questo Paese hanno aperto la strada per questo momento, si sono sacrificate, per la giustizia, per tutti; penso alle donne nere che non sono considerate ma sono la spina dorsale della nostra democrazia. Penso a tutte le donne che hanno lavorato per garantire il diritto di voto e che ora nel 2020 con una nuova generazione hanno votato e continuano a lottare per farsi ascoltare. Stasera penso alle loro battaglie, alla loro determinazione, alla loro capacità di vedere il futuro…». Il futuro: «Anche se sono la prima a ricoprire questa carica, non sarò l’ultima. Ogni bambina, ragazza che stasera ci guarda vede che questo è un Paese pieno di possibilità. Il nostro Paese vi manda un messaggio: sognate con grande ambizione, indirizzate la vostra vita con consapevolezza, guardatevi in un modo in cui gli altri potrebbero non vedervi. Noi saremo lì con voi». Anche la scelta della responsabile del suo staff va in questa direzione: Karine Jean-Pierre, attivista con Obama, afroamericana e lesbica, autrice del libro militante Moving Forward. Nel 2008 divenne popolarissima una frase scritta in una email da una mamma diciannovenne per la vittoria di Obama: «Rosa è rimasta seduta, in modo che Martin ha potuto marciare, in modo che Obama ha potuto “correre” (candidarsi alle elezioni), in modo che i nostri figli hanno potuto volare ». Un filo diretto tra il movimento per i diritti civili (Rosa è la donna che il primo dicembre 1955 a Montgomery, Alabama, restò seduta in autobus, senza lasciare il posto a un bianco, facendosi arrestare, episodio da cui scaturì la mobilitazione) e le vittorie di ora. Oggi quella frase si legge al femminile. «Rosa è rimasta seduta, in modo che Ruby ha potuto camminare, in modo che Kamala ha potuto “correre”» (Ruby Bridges, di New Orleans, è la prima bambina afroamericana ad essere andata, scortata dalla polizia tutto l’anno, in una scuola “desegregata”, prima per soli bianchi).

L’establishment moderato del partito democratico farà del tutto per ridimensionare l’agguerrita minoranza radicale e tenere saldo Biden al centro. Ma un’analisi dettagliata dei risultati (cfr. B. Cartosio, il manifesto 6/11/2020) conferma il forte peso delle minoranze (il 90% delle donne nere, ad esempio) in questa vittoria e non sarà facile non tenerne conto. L’affluenza più alta mai registrata (il 65%) racconta in modo chiaro che finalmente sono arrivati al voto anche i nonbianchi di diverse età, coronando gli sforzi di generazioni di attivisti per la “registrazione” necessaria per andare alle urne. In Georgia una donna nera dirigente del partito, Stacey Abrams, con una campagna appassionata (la chiamavano “The Goddess”, la dea) ha portato a votare masse di afroamericani che prima si astenevano, facendo cambiare segno a uno Stato storicamente repubblicano. L’agenda è impegnativa. La questione razziale, innanzi tutto, con tutti i suoi risvolti sociali, perché come dice AOC, «Se pretendi che finiscano i disordini, ma non credi che l'assistenza sanitaria sia un diritto umano, se hai paura di dire che le vite dei neri contano e hai paura di denunciare la brutalità della polizia, allora non stai davvero chiedendo che cessino i disordini: stai chiedendo che l'ingiustizia continui. L'unico modo per risolvere questa situazione e uscirne definitivamente è garantendo giustizia».

E poi il tema ambientale, di portata planetaria. E, in generale, la consapevolezza che bisogna «curare una nazione spezzata e divisa come non era mai stata dai tempi della Guerra Civile», come ha detto il National Catholic Reporter. Ora che la catastrofe è scongiurata, un’altra partita si è aperta all’interno. E avrà molto da dire anche a noi, che di ritrovare una spinta dal basso avremmo così tanto bisogno. 

Cristina Mattiello insegnante, saggista e giornalista, dirige il Centro Interconfessionale per la Pace (Cipax)  

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