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Liturgia: oltre il “sacro” e la rigidità delle norme ecclesiastiche

Liturgia: oltre il “sacro” e la rigidità delle norme ecclesiastiche

Cambia il Messale

Dalla scorsa domenica è iniziato nelle nostre parrocchie l’uso del nuovo messale. Le modifiche, ampiamente diffuse sulla stampa cattolica e poi nelle celebrazioni eucaristiche domenicali, prevedono poche correzioni dei testi, anche importanti, ma discusse e definite da molto tempo. Le innovazioni sono state esaminate in modo critico dal liturgista Andrea Grillo e da padre Alberto Maggi, animatore del "Centro di Studi Biblici" di Montefano e ben noto esponente della riflessione “conciliare” nella Chiesa italiana (si leggano questi due testi sulla homepage di www.noisiamochiesa.org). Forse a chi partecipa alle funzioni parrocchiali queste modifiche non appaiono di così grande portata. Per chi è presente nella Chiesa dal punto di vista della necessità della riforma del suo modo di essere e quindi di pregare, ben altro sarebbe necessario. La liturgia in vigore è ingessata, uniforme ovunque nella Chiesa, non permette una partecipazione adeguata dei suoi protagonisti, cioè i partecipanti, i laici, i fedeli (come si vogliano chiamare). Scarso è non solo un loro protagonismo attivo ma è anche poco presente il loro “vissuto” di giorno in giorno, di settimana in settimana, le loro gioie, sofferenze, dubbi e attese. D’altronde la liturgia di tutti i giorni non è mai stata oggetto di troppa attenzione da parte del movimento che si ispira al Concilio impegnato su questioni più generali. Il momento centrale della normale vita ecclesiale, la Messa domenicale, non è stato quindi incalzato da proposte concrete, da sperimentazioni facilmente comprensibili a tutti, anche per la consapevolezza che l’intervento censorio delle autorità ecclesiastiche sarebbe inevitabile ed immediato. La liturgia è stata lasciata alla ripetitività dei canoni prescritti, con poca preoccupazione di usare un patrimonio di modi di pregare e di meditare che pure ci sono nella Chiesa, a partire dai Padri della Chiesa ai nostri “profeti” di oggi. Le Comunità cristiane di base, in questa direzione, da anni celebrano in modo libero senza la presenza del presbitero canonicamente in regola.

Alcune proposte concrete per la Messa domenicale nelle nostre parrocchie

Ciò premesso, prendendo atto della situazione e per dare un contributo concreto e molto “riformista”, abbiamo provato a ragionare su come rendere la Messa di oggi nelle nostre chiese meno passiva (e, per certi versi, meno noiosa) pensando a più spontaneità, meno solennità, meno rito, più partecipazione. Il metodo della sperimentazione graduale e prudente deve essere tenuto presente, è necessario per una crescita dal basso del consenso al cambiamento. Il numero delle messe va ridotto; nelle parrocchie di città sono quattro o cinque (sabato sera, due o anche tre alla mattina della domenica, una nel tardo pomeriggio). Va favorita, dove possibile, una messa con presenza omogenea, per esempio per i ragazzi-giovani che possano essere protagonisti da soli. La celebrazione eucaristica dovrebbe potersi tenere in via eccezionale fuori dal calendario liturgico e dagli orari consueti, con finalità particolari (per la pace, per i migranti...) o sospesa in segno di sofferenza, di estrema protesta, o per condizioni esterne (l’attuale pandemia è il prototipo delle situazioni eccezionali).

Queste proposte, essendo “riformiste”, accettano necessariamente il presbitero nel suo ruolo “ufficiale”, ma vogliono creare le condizioni per modificarne il ruolo di protagonista unico o principale. La presenza femminile sia la maggiore possibile, nelle letture, nei canti... in ogni ruolo. Un'ulteriore riflessione dovrà essere fatta per le celebrazioni durante i matrimoni, i funerali, in occasione dei battesimi ecc. Lo scopo di questi suggerimenti è quello di rendere più accolta la celebrazione, meno distante, più familiare, meno formale, meno “sacra”.

Un "decalogo"

Prima dell’inizio: Il saluto di accoglienza da parte del presbitero all’ingresso in chiesa (e di commiato all’uscita)  è già praticato in alcune messe domenicali soprattutto dove ci siano conoscenze e frequentazioni. Dall’altare si diano brevi informazioni sul periodo dell’anno liturgico, sulle letture, sui canti... Il foglietto che viene lasciato sui banchi o all’ingresso con lo svolgimento della celebrazione può essere anche preparato in parrocchia invece di essere quello tradizionale a stampa di alcune editrici cattoliche.

Omelia: il monopolio clericale dell’omelia è la questione principale. La situazione attuale è, mediamente, di basso livello. Con tante importanti eccezioni, l’omelia è ben poco preparata, troppo spesso prolissa (papa Francesco dice che deve essere di “non di più di dieci minuti”), generalgenerica, moralista, spesso è saccente, fuori dal tempo e dallo spazio, con scarsa attenzione a chi il prete ha davanti, ecc. Allo stato attuale essa è al riparo da qualsiasi verifica della qualità e della quantità dell’ascolto e del consenso che essa ha tra i partecipanti alla celebrazione e ciò facilita il disimpegno o la pigrizia da parte del presbitero. La scarsa attinenza al testo delle letture è un altro dei problemi. È cosa ragionevole pretendere e ottenere che essa sia preparata durante la settimana da un gruppo ristretto di parrocchiani che abbiano la volontà di cercare di capire  il Vangelo? Il prete se ne faccia poi portavoce (dando ovviamente il suo contributo) durante l’omelia. L’omelia deve essere possibilmente scritta e breve (al massimo due cartelle e mezzo) e successivamente diffusa in parrocchia. Non si accetti che essa non possa essere seguita da uno o due o tre brevi interventi programmati, come già avviene in qualche caso. Sono punti di cambiamento e di rottura difficili da ottenere, che esigono tenacia e contraddizione esplicita rispetto al pigro ritmo tradizionale e che devono possibilmente essere una iniziativa del consiglio pastorale.  Papa Francesco ha detto il meglio sulla omelia nella Evangelli Gaudium (par. 145-179). Ci sono online sussidi di grande interesse che possono aiutare questo “gruppo parrocchiale per l’omelia” che ipotizziamo e che può essere lo stesso per la preghiera dei fedeli. L’audio sia efficiente, chi dice l’omelia la pronunci in modo non precipitoso, la dizione sia curata, tutti devono capire bene, il linguaggio non sia ricercato con citazioni non facilmente afferrabili da tutti. Secondo un calcolo approssimativo (numero delle parrocchie e delle chiese, numero delle messe, frequenza ecc.) non sono meno di cinque milioni gli italiani che ascoltano ogni domenica un'omelia. È l’unica forma di comunicazione diretta che sfugga alla pervasività dei media. Di qui la sua importanza per la Chiesa (e anche per la società).

Preghiera dei fedeli: si può cambiare molto da subito, essa è anche formalmente di “proprietà” dei fedeli “laici”. La situazione attuale è, in genere, mediocre. Le preghiere  possono essere preparate da un gruppo di parrocchiani ben individuati durante la settimana (lo stesso per le omelie possibilmente). Esprimano sentimenti e desideri che abbiano anche relazione al momento e al luogo in cui le preghiere sono espresse. Ottica local-global, persone, attività, gioie e sofferenze della parrocchia, della città, del mondo. Non siano generalgeneriche magari solo lette, come ora, dai foglietti distribuiti all’ingresso che contengono le letture domenicali della Bibbia. Possono essere raccolte per la domenica successiva in un libro presente in chiesa durante la settimana. Devono essere preparate bene, magari distribuite all’inizio della messa e impegnare un certo tempo (sottratto alla omelia). Si curi che la dizione sia fatta da parte di chi sia preparato a ciò. Non si escludano come inaccettabili interventi estemporanei di chi si presenta al microfono senza che il fatto sia stato concordato.

Credo: quello consueto niceno-costantinopolitano può, anzi deve essere sostituito con altri “credi” (ne esistono di molto belli) (1). Quello previsto e letto ora riflette solo  i contenuti di dispute teologiche dei primi secoli ed è privo del racconto del messaggio di Gesù. Di qui la sua aridità.

Offertorio: oltre al pane e al vino siano portati in processione e deposti ai piedi dell’altare oggetti che esprimano un messaggio, un sentimento, un proposito (poesie e preghiere raccolte nella settimana, fiori, poster, cibi, oltre che la consueta raccolta in denaro che deve essere fatta nella prima parte della messa). Nel testo della consacrazione il nuovo messale continua come prima e dice: ”Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. È una questione teologica che dovrebbe finalmente essere risolta. Del “sacrificio” non si parla né in Matteo, Luca e Marco (e neppure in Paolo); la traduzione nelle altre lingue è corretta e ben diversa da quella italiana (2). Perché il nuovo messale non è cambiato?

Abbraccio di pace: non sia silenzioso come ora. Ognuno si abitui a dire “la pace sia con te“ o espressione equivalente, a volte con abbraccio e bacio.

Comunione: sia distribuita sotto le due specie, almeno più volte all’anno e sempre nelle solennità più importanti. Possibilmente avvenga recandosi in processione all’altare. Il “sapore” dell’ostia sia di pane e non di niente (come ora). È possibile trovare ostie di pane in chi le fornisce alle parrocchie. Ci si abitui a darsi la mano durante la recita del "Padre nostro".

Raccolta delle offerte: siano possibilmente finalizzate con informazione data all’inizio della celebrazione e nella domenica successiva si informi sull’entità della raccolta della domenica precedente. Le motivazioni siano coerenti con le iniziative parrocchiali o diocesane o con proposte che vengono dal territorio. Siano coerenti con l’ottica local-global (vedi sopra alla preghiera dei fedeli)

Annunci finali: essi siano a più voci e non solo sulle attività della parrocchia, ma anche su quelle civili che facciano parte del circuito parrocchiale. È il momento in cui laici possono esprimere proposte, iniziative, inviti, ecc. Possono anche impegnare cinque-dieci minuti “guadagnati” stringendo gli attuali momenti “morti” della celebrazione. Informazioni sui bilanci della parrocchia siano date periodicamente.

Benedizione: il prete dica che la benedizione scenda su di “noi”, non su di “voi” (il presbitero non si merita la benedizione?).

Milano, 9 dicembre 2020 

Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale NOI SIAMO CHIESA

(1) Per esempio quello scritto da don Michele Do: “Credo in un solo Dio che è Padre, fonte sorgiva di ogni vita, di ogni bellezza, di ogni bontà. Da lui vengono e a lui ascendono tutte le cose. Credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Immagine visibile e trasparente dell’invisibile volto di Dio; immagine alta e pura del volto dell’uomo, così come lo ha sognato il cuore di Dio. Credo nello Spirito santo che vive e opera nelle profondità del nostro cuore per trasformarci tutti a immagine di Cristo. Credo che da questa fede fluiscono le realtà più essenziali e irrinunciabili della nostra vita: la Comunione dei santi e delle cose sante, che è la vera Chiesa; la buona novella del perdono dei peccati, la fede nella Resurrezione che ci dona la speranza, che nulla va perduto della nostra vita, nessun frammento di bontà e di bellezza, nessun sacrificio per quanto nascosto e ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia. Amen.”

(2) in inglese si dice “This is my body, will be given up for you”, in francese “Ceci est mon corps livré pour vous”, in spagnolo “Tomad y comed todos de él, porque esto es mi Cuerpo, que será entregado por vosotros”.

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