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Una montagna in alto mare

Una montagna in alto mare

Tratto da: Adista Documenti n° 4 del 30/01/2021

Per l'introduzione a questo articolo, clicca qui

Compagne, compagni e compañeroas,

Noi popoli originari maya e zapatisti vi salutiamo e vi diciamo ciò che è arrivato nel nostro pensiero comune, secondo quanto vediamo, ascoltiamo e sentiamo.

Primo. Osserviamo e ascoltiamo un mondo malato nella sua vita sociale, frammentato in milioni di persone estranee tra loro, impegnate nella propria sopravvivenza individuale, ma unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a tutto pur di placare la sua sete di profitto, anche quando è chiaro che il suo percorso va contro l’esistenza del pianeta Terra. L’aberrazione del sistema e la sua stolta difesa del “progresso” e della “modernità” si scontra con una realtà criminale: i femminicidi. L’omicidio delle donne non ha colore né nazionalità, è mondiale. Se è assurdo e irragionevole che qualcuno venga perseguitato, fatto sparire, ucciso a causa del colore della sua pelle, della sua razza, della sua cultura, delle sue convinzioni, non si può credere che essere donna equivalga a una condanna all’emarginazione e alla morte.

In una prevedibile escalation (molestie, violenza fisica, mutilazioni e omicidi), con l’avallo dell’impunità strutturale (“se lo meritava”, “aveva dei tatuaggi”, “cosa ci faceva in quel posto a quell’ora?”, “con quei vestiti, c’era da aspettarselo”), gli omicidi delle donne non hanno logica criminale se non quella del sistema. Di diversi strati sociali, razze diverse, età che vanno dalla prima infanzia alla vecchiaia e in aree geografiche distanti tra loro, il genere è l’unica costante. E il sistema non è in grado di spiegare perché questo vada di pari passo con il suo “sviluppo” e “progresso”. Nella scandalosa statistica delle morti, più una società è “sviluppata”, maggiore è il numero di vittime in questa autentica guerra di genere. E la “civiltà” sembra dire ai popoli indigeni: “la prova del tuo sottosviluppo è nel tuo basso tasso di femminicidi. Prendete i vostri megaprogetti, i vostri treni, le vostre centrali termoelettriche, le vostre miniere, le vostre dighe, i vostri centri commerciali, i vostri negozi di elettrodomestici – con un canale televisivo compreso –, e imparate a consumare. Siate come noi. Per saldare il debito di questo aiuto progressista, non bastano le vostre terre, le vostre acque, le vostre culture, le vostre dignità. Dovete completare con la vita delle donne”.

Secondo. Guardiamo e ascoltiamo la natura ferita a morte, che, nella sua agonia, avverte l’umanità che il peggio deve ancora venire. Ogni catastrofe “naturale” annuncia la seguente e dimentica, convenientemente, che è l’azione di un sistema “umano” a provocarla.

La morte e la distruzione non sono più una cosa lontana, che si limita ai confini, rispetta i costumi e le convenzioni internazionali. La distruzione in ogni angolo del mondo si ripercuote sull’intero pianeta.

Terzo. Osserviamo e ascoltiamo i potenti che si ritirano e si nascondono nei cosiddetti Stati nazionali e nelle loro mura. E, in quell’impossibile balzo indietro, rinascono nazionalismi fascisti, ridicoli sciovinismi e assordanti chiacchiericci. In questo avvertiamo le guerre a venire, quelle che si nutrono di storie false, vuote, menzognere e che si traducono nella supremazia di nazionalità e razze che si imporrà attraverso la morte e la distruzione. In diversi Paesi c’è una disputa tra i capi e coloro che aspirano a succedere loro, come se il capo, il padrone, non fosse lo stesso e non avesse altra nazionalità che quella del denaro. Nel frattempo, le organizzazioni internazionali languono e restano appena dei nomi, come pezzi da museo… o nemmeno questo.

Nell’oscurità e nella confusione che precedono le guerre a venire, ascoltiamo e vediamo l’attacco, l’assedio e la persecuzione nei confronti di ogni accenno di creatività, intelligenza e razionalità. Di fronte al pensiero critico i potenti chiedono, esigono e impongono il proprio fanatismo. La morte che progettano, coltivano e raccolgono non è solo fisica; include anche l’estinzione dell’universalità propria dell’umanità – l’intelligenza –, dei suoi progressi e delle sue conquiste. Nuove correnti esoteriche rinascono o vengono create, laiche o meno, mascherate da mode intellettuali o pseudo-scienze, e le arti e le scienze cercano di essere sottomesse alla militanza politica.

Quarto. La pandemia da Covid-19 non solo ha mostrato le vulnerabilità dell’essere umano, ma anche l’avidità e la stupidità dei diversi governi nazionali e delle loro presunte opposizioni. Le misure di più elementare buon senso sono state disprezzate, puntando sul fatto che la pandemia sarebbe stata di breve durata. Quando il passaggio della malattia si è prolungato, i numeri hanno cominciato a sostituire le tragedie. La morte è diventata così un numero che si perde quotidianamente tra scandali e dichiarazioni. Un cupo confronto tra ridicoli nazionalismi. La percentuale di battute e punti guadagnati che determina quale squadra, o nazione, sia migliore o peggiore.

Come già precisato anteriormente, nei territori zapatisti abbiamo optato per la prevenzione e l’applicazione di misure sanitarie che, all’epoca, sono state adottate con la guida e l'aiuto offerto, senza esitazione, dagli scienziati e dalle scienziate. I popoli zapatisti sono loro grati ed è così che abbiamo voluto dimostrarlo. Dopo 6 mesi dall’applicazione di queste misure (mascherine o equivalenti, distanziamento tra le persone, chiusura dei contatti diretti con le aree urbane, quarantena di 15 giorni per chi fosse entrato in contatto con persone infette, lavaggio frequente con acqua e sapone), lamentiamo la morte di 3 compagni che hanno presentato due o più sintomi associati al Covid 19 e che hanno avuto contatti diretti con contagiati.

Altri 8 compagni e una compagna, morti in quel periodo, presentavano uno dei sintomi. Poiché non abbiamo la possibilità di effettuare test, presumiamo che tutti e 12 siano morti a causa del nuovo coronavirus (...). Queste 12 perdite sono una nostra responsabilità. Non sono colpa della Quarta Trasformazione o dell’opposizione, dei neoliberisti o dei neo-conservatori, degli attivisti da tastiera o snob, delle cospirazioni o complotti. Pensiamo che avremmo dovuto prendere ancora più precauzioni.

Attualmente, abbiamo migliorato le misure di prevenzione in tutte le comunità, ora con il supporto di organizzazioni non governative e di scienziati che, individualmente o collettivamente, ci orientano sul modo di affrontare con maggiore forza una possibile recrudescenza. (...).

I dettagli di quella che è stata ed è la nostra strategia potranno essere consultati a tempo debito. Per ora diciamo che, secondo la nostra valutazione (che potrebbe essere sbagliata), affrontando la minaccia a livello comunitario e non come una questione individuale, e indirizzando il nostro sforzo principale alla prevenzione, ci permettiamo di dire, come popoli zapatisti: noi siamo qui, resistiamo, viviamo, combattiamo.

E ora, in tutto il mondo, il grande capitale vuole che si torni in strada in modo che le persone possano riprendere il loro status di consumatori. Perché a preoccuparlo sono i problemi del Mercato: il letargo nel consumo delle merci.

Bisogna riprendere le strade, sì, ma per lottare. Perché, come abbiamo detto, la vita, la lotta per la vita, non è una questione individuale, ma collettiva. Ora è chiaro che non è neppure una questione di nazionalità, è mondiale. (...).

Quinto. Ascoltiamo e vediamo anche le resistenze e le ribellioni che, malgrado siano messe a tacere o dimenticate, non cessano di rimandare a un’umanità che rifiuta di seguire il sistema nella sua veloce corsa verso il collasso: il treno mortale del progresso che avanza, superbo e impeccabile, in direzione del precipizio. Con il macchinista che dimentica di essere solo un altro impiegato e crede, ingenuamente, di decidere il percorso, mentre non fa altro che seguire la prigione dei binari verso l’abisso.

Resistenze e ribellioni che, senza dimenticare il dolore per chi non c'è più, insistono a lottare – chi lo direbbe – per la cosa più sovversiva che ci sia in questi mondi divisi tra neoliberisti e neo-conservatori: la vita.

Ribellioni e resistenze consapevoli, ognuna secondo il proprio modo, il proprio tempo e la propria geografia, che le soluzioni non si basano sulla fede nei governi nazionali, che non sono protette dai confini né vestono bandiere e lingue diverse.

Resistenze e ribellioni che insegnano a noi zapatisti/e che le soluzioni potrebbero essere in basso, negli scantinati e negli angoli del mondo. Non nei palazzi governativi. Non negli uffici delle grandi aziende.

Ribellioni e resistenze che ci dimostrano che, se quelli in alto rompono i ponti e chiudono i confini, non resta che navigare fiumi e mari per ritrovarsi. Che la cura, se c’è, è mondiale, e ha il colore della terra, del lavoro che vive e muore nelle strade e nei quartieri, nei mari e nei cieli, nelle montagne e nelle sue viscere. Che, come il mais originario, molti sono i suoi colori, le sue sfumature e i suoi suoni.

Tutto questo e altro ancora, guardiamo e ascoltiamo. E ci guardiamo e ci ascoltiamo per quello che siamo: un numero che non conta. Perché la vita non importa, non vende, non fa notizia, non entra nelle statistiche, non compete nei sondaggi, non ha rating sui social, non provoca, non rappresenta capitale politico, bandiera di partito, scandalo alla moda. A chi importa che un piccolo, minuscolo gruppo di nativi, di indigeni, viva, cioè che combattano? Perché risulta che viviamo. Che, nonostante paramilitari, pandemie, megaprogetti, bugie, calunnie e oblii, viviamo. Cioè, lottiamo.

Questo è ciò a cui pensiamo: che continuiamo a lottare. Cioè, continuiamo a vivere. E pensiamo che durante tutti questi anni abbiamo ricevuto l’abbraccio fraterno di persone del nostro Paese e del mondo. E pensiamo che se la vita qui resiste e, non senza difficoltà, fiorisce, è grazie a queste persone che hanno sfidato distanze, procedure, frontiere e differenze culturali e linguistiche. Grazie a tutti e tutte loro – ma soprattutto a tutte loro – che hanno sfidato e sconfitto calendari e geografie.

Nelle montagne del sud-est messicano, tutti i mondi del mondo hanno trovato, e trovano, ascolto nei nostri cuori. La loro parola e la loro azione sono state cibo per la resistenza e la ribellione, che non sono altro che la continuazione di quelle dei nostri predecessori. (...).

E abbiamo pensato a tutto questo nel nostro cuore collettivo, e abbiamo pensato che ora è tempo per noi, le/gli zapatisti, di corrispondere all’ascolto, alla parola e alla presenza di quei mondi. Vicini e lontani nella geografia.

Sesto. E così abbiamo deciso:

Che è di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione.

Che diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e otroas del colore della nostra terra, viaggeranno nel mondo, cammineranno o navigheranno verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno il perdono e la pietà.

Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali.

Non solo l’umanità che anima le nostre diverse pelli, i nostri diversi modi, i nostri diversi linguaggi e colori. Anche e soprattutto, il sogno comune che, come specie, condividiamo da quando, in un’Africa che sembra lontana, abbiamo iniziato a camminare dal grembo della prima donna: la ricerca della libertà che ha animato quel primo passo… e che continua a camminare.

Che la prima destinazione di questo viaggio planetario sarà il continente europeo.

Che navigheremo verso le terre europee. Che partiremo e che salperemo dalle terre messicane, nel mese di aprile dell’anno 2021.

Che, dopo aver attraversato vari angoli d’Europa in basso e a sinistra, arriveremo a Madrid, la capitale spagnola, il 13 agosto 2021, 500 anni dopo la presunta conquista di quello che oggi è il Messico. E che, subito dopo, proseguiremo il percorso.

Che parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare, insultare o chiedere. Non per domandare di chiederci perdono. (...).

Diremo al popolo spagnolo due semplici cose:

Uno: Che non ci hanno conquistato. Che continuiamo nella resistenza e nella ribellione. Due: Che non devono chiederci di perdonarli di nulla. Basta giocare con il lontano passato per giustificare, con demagogia e ipocrisia, i crimini attuali e in corso: l’omicidio di attivisti sociali, come il fratello Samir Flores Soberanes, i genocidi nascosti dietro megaprogetti, concepiti e realizzati per la felicità dei potenti – flagellando ogni angolo del pianeta –, il supporto economico e l’impunità per i paramilitari, il mercanteggiamento di coscienze e dignità con 30 denari.

Noi zapatiste e zapatisti NON vogliamo tornare a quel passato, non da soli, tanto meno per mano di chi vuole seminare risentimento razziale e intende alimentare il proprio antiquato nazionalismo con il presunto splendore di un impero, quello azteco, che crebbe a costo del sangue dei loro simili (...).

Né lo Stato spagnolo né la Chiesa cattolica devono chiederci perdono di nulla. Non ci faremo eco dei commedianti che cavalcano sul nostro sangue e così nascondono le mani che ne sono macchiate.

Di cosa dovrebbe scusarsi la Spagna? Di aver partorito Cervantes? José Espronceda? León Felipe? Federico García Lorca? Manuel Vázquez Montalbán? Miguel Hernández? Pedro Salinas? Antonio Machado? Lope de Vega? Bécquer? Almudena Grandes? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Aute? Buñuel, Almodóvar e Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León, Bardem? Dalí, Miró, Goya, Picasso, el Greco e Velázquez? Alcuni dei migliori pensieri critici mondiali contrassegnati dalla “A” libertaria? La repubblica? L’esilio? Il fratello maya Gonzalo Guerrero?

Di cosa dovrebbe scusarsi la Chiesa cattolica? Del passo di Bartolomé de las Casas? Di Don Samuel Ruiz García? Di Arturo Lona? Di Sergio Méndez Arceo? Della sorella Chapis? Dei passi dei sacerdoti, delle religiose e delle suore laiche che hanno camminato al fianco dei popoli originari senza dirigerli o soppiantarli? Di chi rischia la libertà e la vita per difendere i diritti umani?

Il 2021 segnerà il 20° anniversario della Marcia del Colore della Terra, che portiamo avanti, insieme ai popoli fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, per rivendicare un posto in questa Nazione che si sta sgretolando.

20 anni dopo navigheremo e cammineremo per dire al pianeta che, nel mondo che sentiamo nel nostro cuore collettivo, c’è spazio per tutti, tutte, todoas. Molto semplicemente perché quel mondo è possibile solo se tutti, tutte, todoas, lottiamo per risollevarlo.

Le delegazioni zapatiste saranno composte principalmente da donne. Non solo perché intendono ricambiare l’abbraccio ricevuto nei precedenti incontri internazionali. Ma anche e soprattutto perché noi uomini zapatisti sappiamo bene che siamo quello che siamo, e non siamo, grazie a loro, per loro e con loro.

Invitiamo il CNI-CIG a formare una delegazione che ci accompagni e che così sia più ricca la nostra parola per l’altro che combatte lontano. Invitiamo in particolare una delegazione dei popoli che innalzano il nome, l’immagine e il sangue del fratello Samir Flores Soberanes, affinché il suo dolore, la sua rabbia, la sua lotta e resistenza arrivino più lontano. Invitiamo coloro che hanno come vocazione, impegno e orizzonte, le arti e le scienze, ad accompagnare, a distanza, le nostre navigazioni e i nostri passi. E così ci aiutano a far capire che nelle scienze e nelle arti c’è la possibilità non solo della sopravvivenza dell’umanità, ma anche di un nuovo mondo.

Insomma: partiremo per l’Europa nell’aprile del 2021. La data e l’ora? Non lo sappiamo… ancora. (...).

Questo è il nostro impegno:

Di fronte ai potenti treni, le nostre canoe.

Di fronte alle centrali termoelettriche, le lucine che gli zapatisti hanno affidato in custodia alle donne che combattono nel mondo.

Di fronte a muri e frontiere, la nostra navigazione collettiva.

Di fronte al grande capitale, una milpa (agroecosistema che coinvolge anche relazioni tra le persone e fra coltivazioni e terreno, ndr) comune.

Di fronte alla distruzione del pianeta, una montagna che naviga nell’alba.

Siamo zapatisti, portatori e portatrici del virus della resistenza e della ribellione. In quanto tali, andremo nei 5 continenti. È tutto… per ora.

………………………………………………………………………………………………………………

UNA DICHIARAZIONE… PER LA VITA

Ai popoli del mondo.

Alle persone che lottano in Europa.

Fratelli e sorelle, compagni e compagne,

Durante questi mesi, ci siamo messi/e in contatto con vari mezzi. Siamo donne, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, travestiti, transessuali, intersessuali, queer e altro ancora, uomini, gruppi, collettivi, associazioni, organizzazioni, movimenti sociali, popoli originali, associazioni di quartiere, comunità e un lungo eccetera di identità.

Ci differenziano e ci allontanano terre, cieli, montagne, valli, steppe, giungle, deserti, oceani, laghi, fiumi, torrenti, lagune, razze, culture, lingue, storie, età, geografie, identità sessuali e non, radici, confini, forme di organizzazione, classi sociali, potere d’acquisto, prestigio sociale, fama, popolarità, follower, like, valute, grado di scolarizzazione, modi di essere, mestieri, virtù, difetti, pro, contro, ma, eppure, rivalità, inimicizie, concezioni, argomentazioni, contro argomentazioni, dibattiti, controversie, denunce, accuse, disprezzo, fobìe, filiazioni, elogi, ripudi, fischi, applausi, divinità, demoni, dogmi, eresie, simpatie, antipatie, modi, e un lungo eccetera che ci rende diversi e, non di rado, contrari. Solo poche cose ci uniscono:

Che facciamo nostri i dolori della terra: la violenza contro le donne; la persecuzione e il disprezzo delle diversità nelle loro identità affettive, emotive e sessuali; l’annientamento dell’infanzia; il genocidio contro i popoli originari; il razzismo; il militarismo; lo sfruttamento; il saccheggio; la distruzione della natura.

La consapevolezza che il responsabile di questi dolori è un sistema. Il carnefice è un sistema sfruttatore, patriarcale, piramidale, razzista, ladro e criminale: il capitalismo.

La consapevolezza che non è possibile riformare questo sistema, educarlo, attenuarlo, limarlo, addomesticarlo, umanizzarlo.

L’impegno a lottare, ovunque e in ogni momento – ognuno nel proprio campo – contro questo sistema fino alla sua completa distruzione. La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla distruzione del capitalismo. Non ci arrendiamo, non siamo in vendita e non claudichiamo.

La certezza che la lotta per l’umanità è mondiale. Così come la distruzione in corso non riconosce confini, nazionalità, bandiere, lingue, culture, razze, così la lotta per l’umanità è ovunque, sempre.

La convinzione che sono molti i mondi che vivono e lottano nel mondo. E che ogni pretesa di omogeneità ed egemonia attenta all’essenza dell’essere umano: la libertà. L’uguaglianza dell’umanità sta nel rispetto della differenza. Nella sua diversità sta la sua somiglianza.

La consapevolezza che non è la pretesa di imporre il nostro sguardo, i nostri passi, le nostre compagnie, i nostri percorsi e i nostri destini che ci permetterà di avanzare, ma l’ascolto e lo sguardo dell’altro che, diverso e distinto, ha la stessa vocazione di libertà e di giustizia. Per queste coincidenze, e senza abbandonare le nostre convinzioni o cessare di essere ciò che siamo, abbiamo accordato:

Primo. Che si realizzino incontri, dialoghi, scambi di idee, esperienze, analisi e valutazioni tra quanti si sono impegnati, da concezioni diverse e in campi differenti, nella lotta per la vita. Poi, ognuno seguirà o meno la propria strada. Guardare e ascoltare l’altro può aiutarci o meno nel nostro viaggio. Ma conoscere il diverso fa parte anche della nostra lotta e del nostro impegno, della nostra umanità.

Secondo. Che questi incontri e queste attività si svolgano nei cinque continenti. Che, per quanto riguarda il continente europeo, si concretizzeranno nei mesi di luglio, agosto, settembre e ottobre del 2021, con la partecipazione diretta di una delegazione messicana composta dal CNI-CIG, dal Fronte del Popolo in Difesa dell’Acqua e della Terra di Morelos, Puebla e Tlaxcala, e dall’EZLN. E, in date successive da specificare, fare in modo, secondo le nostre possibilità, che si svolgano in Asia, Africa, Oceania e America.

Terzo. Che si invitino coloro che condividono le stesse preoccupazioni e lotte simili, tutte le persone oneste e tutti los abajos che si ribellano e resistono nei molti angoli del mondo, a unirsi, a offrire il proprio contributo, a sostenere e a partecipare a questi incontri e attività; e a firmare e a fare propria questa dichiarazione PER LA VITA.

Da uno dei ponti di dignità che unisce i cinque continenti.

Noi.

Pianeta Terra. 1° gennaio 2021  

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