
Le ragioni dei una crisi nell’eclissi di partiti
Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 06/02/2021
Gli italiani (ma anche gli europei), afflitti da ben altri e concreti problemi, hanno assistito increduli e sgomenti all’apertura di una crisi di governo nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria ed economica senza precedenti e nella stretta decisiva del varo del piano con il quale il nostro Paese dovrebbe ottenere oltre 200 miliardi di risorse europee grazie alle quali propiziare la ripartenza. Un’occasione storica, un treno che passa ora e mai più. Dunque, una crisi sconcertante, scellerata, suicida. Non però, come usa dire, inspiegabile. Anzi, spiegabilissima nella logica della politica intesa come lotta di potere. Attore protagonista, Renzi. Dopo lunghe settimane di sistematico logoramento del governo Conte, paradossalmente da lui voluto. Egli dapprima ha appuntato le sue critiche sulla bozza (sottolineo: solo la bozza) del piano italiano per il Recovery Fund, poi abbondantemente integrato e corretto nella direzione suggerita da lui e da altri, ma poi, a seguire, ha sollevato una valanga di questioni, nella logica incrementale del “più uno” ogni giorno. Questioni spesso eccentriche e accuratamente scelte tra le più divisive della maggioranza. In un crescendo iperbolico, Renzi si è spinto sino a dipingere Conte come un despota, un emulo di Salvini incline a intestarsi pieni poteri. Come non bastasse, significativo il metodo: un mese e più di bombardamento mediatico, anziché la leale discussione ai tavoli della maggioranza della quale Italia Viva faceva parte. Con lo stucchevole tormentone delle dimissioni di due ministre usate come pedine di un gioco di potere.
Tutti gli osservatori, alleati e avversari, hanno perfettamente inteso il carattere strumentale e pretestuoso della polemica. Offende la comune intelligenza dare a credere che a determinare la crisi siano state questioni di merito. Vero bersaglio: il premier Conte, ma anche Zingaretti. Per una ragione tutta politica: il partitino di Renzi, Italia Viva, non è decollato; i sondaggi lo danno tra il 2 e il 3 per cento; Conte gode di un discreto consenso di opinione che potrebbe un giorno capitalizzare proprio in quell’area politica centrale cui ambisce di insediarsi Renzi, ma soprattutto – questo il punto cruciale – Conte rappresenta oggi il punto di equilibrio dell’attuale maggioranza e domani il perno dell’asse tra i due partiti Pd e M5S sui quali costruire lo schieramento alternativo alla destra sovranista oggi largamente favorita. In un quadro che ripristini un sano bipolarismo, una competizione aperta, senza la quale l’esito è già scritto: una vittoria a mani basse della nostra destra trumpiana. Obiettivo di Renzi è disarticolare tale incipiente bipolarismo, con la speranza di dischiudere così a se stesso, oggi ai margini, un nuovo protagonismo. Con lucido cinismo, coltivato da lontano, sin dal tempo della scissione a freddo con la quale ha sottratto un manipolo di parlamentari eletti nel Pd, Renzi ha fatto leva su tre elementi: 1) sulla rassicurazione data ai suoi seguaci che, complice l’emergenza, non si sarebbe andati a elezioni che li metterebbero fuori dal Parlamento; 2) sull’affidamento circa la presa tuttora da lui esercitata su una parte cospicua dei parlamentari del Pd da lui stesso a suo tempo nominativamente selezionati, con il proposito, in parte riuscito, di dividere e umiliare il Pd, a cominciare dalla leadership di Zingaretti che ha scommesso sull’alleanza strategica Pd- M5S; 3) e dunque sul potere di ricatto assicuratogli dai numeri risicati della maggioranza al Senato. Una logica spregiudicata alla Ghino di Tacco ma, insieme, lucida. Tutt’altro che inspiegabile. Va detto che a questa politica corsara il varco è aperto dalla debolezza e dalle contraddizioni delle due formazioni cardine della maggioranza: il M5S con la sua identità irrisolta, la sua condizione acefala e le sue convulsioni interne; e il Pd con la sua confederazione di cordate personali, una leadership ostaggio del retaggio renziano e, conseguentemente, una linea incerta e ondivaga.
Scrivo queste note a crisi in corso. Non so come se ne uscirà. Prendendo le distanze dalla cronaca avvilente della politica politicante che ha contraddistinto la crisi e il suo svolgimento, merita solo menzionare il serio problema alla radice: quello dello sfarinamento del panorama politico a motivo dell’eclissi di partiti degni di questo nome. Esso non giustifica l’immoralità dei singoli, ma spiega le patologie del sistema e il degrado della qualità della politica, che aprono la strada a mediocri ed effimere avventure personali.
Ex parlamentare del PD, Franco Monaco è stato presidente dell’Azione Cattolica ambrosiana ai tempi del card. Martini, già presidente dell’associazione “Città dell’uomo” fondata da Giuseppe Lazzati
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