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Come siamo arrivati a Jair Bolsonaro?

Come siamo arrivati a Jair Bolsonaro?

Tratto da: Adista Documenti n° 6 del 13/02/2021

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Sono innumerevoli le analisi eccellenti del fenomeno Jair Messias Bolsonaro, soprattutto di tipo sociologico, storico ed economico. Ma credo si debba scavare più a fondo per cogliere l'irruzione di questa forza negativa nella nostra storia.

La riflessione occidentale, a causa dei limiti culturali del nostro radicato individualismo, quasi non ha sviluppato categorie analitiche nello studio della storia nella sua totalità. La Filosofia della storia di Hegel è piena di pregiudizi, anche sul Brasile e presenta poche categorie utilizzabili. Arnold Toynbee, nei suoi 10 volumi sulla storia del mondo, lavora sulla base di uno schema fertile ma limitato: sfida e risposta (challenge and response), con l'inconveniente di non dare rilevanza ai conflitti di ogni tipo inerenti alla storia. La scuola francese delle Annales, nelle sue varianti (Lefbre, Braudel, Le Goff), includeva varie scienze, ma non ha offerto una lettura della storia nel suo insieme, mentre risultano ispiratrici le categorie sviluppate da Ortega y Gasset nel suo famoso Schema delle crisi e altri saggi (1942).

Siamo noi allora che dobbiamo chiederci, con atteggiamento filosofico, cioè cercando cause più profonde di quelle meramente analitiche degli scienziati, come in Brasile sia potuto diventare presidente questo sinistro personaggio storico che sfida qualunque comprensione psicologica, etica e politica.

Dobbiamo premettere che nulla di ciò che esiste è for tuito, perché è il frutto di qualcosa di preesistente, di lunga durata, che spetta alla ragione chiarire. Bisogna inoltre pensare sempre in maniera dialettica: insieme al negativo e alle ombre, esistono sempre le dimensioni positive e portatrici di luce. Non ci è concesso avere solo luce o solo tenebre. Tutte le realtà sono crepuscolari, mescolando luci e ombre. Ma in questa riflessione il nostro approccio riguarda le ombre, perché sono queste a causare gli attuali problemi.

Ricorrerò ad alcune categorie: le ombre represse, la teoria del caos distruttivo e generativo, la comprensione transpersonale del karma nel dialogo tra Toynbee e il filosofo giapponese Daisaku Ikeda e i principi di thanatos ed eros, associati alla condizione umana al tempo stesso sapiens e demens.

Le quattro ombre represse dalla coscienza collettiva

La coscienza brasiliana è dominata da quattro ombre finora mai riconosciute e integrate. Intendo “ombra” nel senso psicoanalitico della scuola di Carl Gustav Jung e dei suoi discepoli, che ne hanno fatto una categoria ampiamente accettata da altre scuole. L'ombra sarebbe data dai contenuti oscuri e negativi che una cultura nel suo conscio/inconscio collettivo si rifiuta di assimilare, reprimendoli e cercando di allontanarli dalla memoria collettiva.

La prima ombra è quella del genocidio indigeno. Secondo Darcy Ribeiro, di una popolazione iniziale di 5-6 milioni di indigeni con centinaia di lingue, ne sono rimasti appena 900.000. Ricordiamo i massacri di Mem de Sá del 31 maggio 1580, con cui furono liquidati i Tupiniquim della Capitania di Ilhéus. Per un chilometro e mezzo lungo la spiaggia, a pochi metri di distanza gli uni dagli altri, giacevano centinaia di corpi di indigeni assassinati, motivo di gloria per il re del Portogallo.

Peggio ancora fu la guerra dichiarata ufficialmente da Giovanni VI, appena giunto in Brasile per sfuggire alle truppe di Napoleone, che decimò i Botocudos (Krenak) nella valle del Río Doce, nella convinzione che fossero incivili e non evangelizzabili. Una guerra che macchierà per sempre la memoria nazionale. Ailton Krenak, i cui antenati sopravvissero, ci ricorda questa vergognosa guerra di un imperatore spietato che pure era considerato buono.

L'attuale governo, le cui conoscenze antropologiche sono nulle, considera i popoli indigeni come subumani che vanno forzati ad assumere i nostri codici culturali per divenire umani e civilizzati. L'incuria dimostrata di fronte alle invasioni delle aree indigene e l'abbandono in cui vengono lasciate dinanzi alla pandemia sfiorano il genocidio, esponendo il governo alla possibilità di un giudizio da parte del Tribunale Penale Internazionale per crimini contro l'umanità.

La seconda ombra è il nostro passato coloniale. Non c'è stata una scoperta, ma un'invasione pura e semplice, con cui è stato distrutto l'idillio pacifico iniziale descritto da Pero Vaz de Caminha. Un incontro profondamente diseguale di civiltà. Ben presto è cominciato il processo di occupazione e violenza a causa delle ricchezze qui presenti. Ogni processo colonialista è violento. Perché significa invadere terre, sottomettere i popoli, obbligarli a parlare la lingua dell'invasore e a incorporarne le forme di organizzazione sociale. Significa la completa sottomissione disumanizzante dei dominati, da cui è sorto il complesso del meticcio, la tendenza a pensare che sia buono solo ciò che viene da fuori o da sopra, a piegare sempre la testa e ad abbandonare qualunque velleità di autonomia e di progetto personale.

La mentalità di molte delle classi dirigenti appare ancora in certo modo coloniale, in quanto rivolta ad assumere stili di vita e valori dei detentori del potere, i quali sono cambiati nel corso della nostra storia. È umiliante per tutta la nazione che l'attuale capo di Stato sia andato negli Stati Uniti, abbia reso omaggio alla bandiera Usa e abbia compiuto un rito esplicito di vassallaggio nei confronti di Donald Trump, l'egocentrico presidente considerato da prestigiosi analisti statunitensi come il più stupido della storia politica di questo Paese.

La terza ombra, la più perversa, è quella della schiavitù, la nostra vera barbarie. Lo scrittore e storico Laurentino Gomes, nei suoi due volumi su La schiavitù (2019/2020), ci racconta l'inferno di questo processo di disumanità. Il Brasile è stato campione di schiavitù, importando da solo, a partire dal 1538, circa 4,9 milioni di africani: su 36mila viaggi transatlantici, 14.910 avevano come destinazione i porti brasiliani.

Queste persone schiavizzate erano trattate come merci. La prima cosa che faceva il compratore per “addomesticarle e disciplinarle” era castigarle, con frustate, catene e ceppi. La storia della schiavitù è stata scritta da mani bianche, che hanno evitato di presentarla come la realtà crudelissima che è stata, e che si prolunga oggi nella situazione della popolazione nera, mulatta (54,4% della popolazione) e povera, come ha dimostrato irrefutabilmente Jessé Souza nel suo libro A Elite do atraso: da escravidão a Bolsonaro (2020). Una volta abolita la schiavitù nel 1888, gli ex schiavi non hanno ricevuto alcun risarcimento, sono stati lasciati a se stessi e oggi costituiscono la maggior parte degli abitanti delle favelas. Mai è stata riconosciuta loro la minima umanità. La classe dominante ha trasferito su di loro l'odio verso gli schiavi, abituata a umiliarli e a offenderli fino a far perdere loro il senso della dignità.

Questa ombra pesa enormemente sulla coscienza collettiva ed è la più repressa, sulla base della menzogna che qui non ci sarebbe razzismo né discriminazione. Se a livello governativo, tale menzogna è stata svelata dalla violenza sistematica contro la popolazione nera, alimentata dalla stessa politica necrofila del capo dello Stato, la disumanità legata a quest'ombra ha ispirato persone sen sibili come il poeta Castro Alvez: «Dio! Oh Dio, dove sei che non rispondi? / In quale mondo, in quale stella ti nascondi / Celato nei cieli? / Duemila anni fa ti mandai il mio grido / Che invano da allora percorre l'infinito / Dove sei, Signore Dio?».

Un grido che oggi risulta lacerante come allora.

Jessé Souza, nella sua opera già citata, ha mostrato in maniera convincente come la classe dominante, per impedire qualunque avanzata delle maggioranze emarginate, abbia proiettato su di esse tutto il carico di negatività accumulata nei riguardi degli schiavi, “massa dannata”: esclusione, discriminazione e odio, con incredibili livelli di disumanizzazione.

La quarta ombra è quella di un Brasile solo per pochi. Raymundo Faoro (Os Donos do Poder, 1958) e lo storico e accademico José Honório Rodrigues (Conciliação e reforma no Brasil, 1982) ci hanno parlato della violenza ai danni del popolo come frutto della conciliazione tra classi benestanti.

Scrive José Honório Rodrigues: «La maggioranza dominante è sempre stata alienata, antiprogressista, antinazionale e arretrata. La leadership non si è mai riconciliata con il popolo; gli ha negato diritti, ne ha distrutto la vita e, di fronte alla sua avanzata, ha cospirato per respingerlo in periferia, il luogo che ritiene gli appartenga» (Reconciliação e Reforma no Brasil, 1982, p.16). Non è questo esattamente ciò che i ceti dominanti hanno fatto prima con Dilma Rousseff e poi con il candidato Lula? Cambiano le strategie ma non l'obiettivo di un Brasile solo per loro.

Non c'è mai stato un progetto nazionale che includesse tutti. Si è sempre pensato a un Brasile per pochi. In tal modo, non è nata una nazione, ma – come ha mostrato dettagliatamente Luiz Gonzaga de Souza Lima in un libro che diventerà sicuramente un classico, A Refundação do Brasil: rumo a uma civilização biocentrada (2011) – la Grande Impresa Brasile, internazionalizzata dagli inizi, in funzione della soddisfazione delle richieste dei mercati mondiali, fino all'attualità. È così che abbiamo un Brasile profondamente diviso tra pochi ricchi e le grandi maggioranze povere, uno dei Paesi più diseguali del mondo, vale a dire un Paese violento e pieno di ingiustizie sociali. Già Machado de Assis aveva osservato che esistono due Brasile, quello ufficiale (quello di pochi) e quello reale (quello delle grandi maggioranze escluse).

Una società basata su una biforcazione, su una ingiustizia sociale perversa, non creerà mai una coesione interna che le consenta di passare a forme di convivenza più civili. Qui ha sempre dominato un capitalismo selvaggio estraneo a ogni senso di civiltà. E quando i figli e le figlie della povertà hanno potuto accumulare una forza politica sufficiente a conquistare il potere centrale e a soddisfare le richieste essenziali delle popolazioni umiliate e offese, i discendenti della Casa Grande e la nuova borghesia nazionale si sono organizzati per rendere impossibile un governo di inclusione sociale. E così hanno promosso un golpe vergognoso, parlamentare, mediatico e giuridico, in maniera da garantirsi livelli di accumulazione tra i più alti al mondo e mantenere i poveri nel posto ritenuto loro proprio, la periferia emarginata, povera e miserabile.

In un twitter del 6 settembre 2020, lo scrittore Luiz Fernando Veríssimo lo ha riassunto molto bene: «L'odio è nel DNA della classe dominante brasiliana, che storicamente rimuove, anche con le armi se necessario, qualunque minaccia al suo dominio, quale che sia la sua sigla». È questa classe ricca, che non è neppure un'élite, perché questa presuppone un certo senso di umanità e di cultura, a sostenere l'attuale governo di estrema destra, il quale non minaccia la sua illecita modalità di accumulazione. Il ministro dell'Economia Guedes, discepolo della scuola di Vienna e di Chicago, appare anzi come il grande demolitore della sovranità nazionale. Il presidente non sa né intende nulla di ciò che significa sovranità nazionale.

Il caos distruttivo e quello generativo

Un'altra categoria che potrebbe aiutarci a comprendere meglio la nostra attuale situazione è quella del caos con la sua doppia funzione distruttiva e costruttiva.

Tutto è cominciato con l'osservazione di fenomeni imprevedibili come la formazione di nubi o, in particolare, quello che è stato definito "effetto farfalla" (piccole modifiche iniziali, come il battito d'ali di una farfalla in Brasile, possono alla fine provocare una tempesta a New York a causa dell'interdipendenza di tutti i fattori). Insieme alla constatazione della crescente complessità presente alla radice della comparsa di forme di vita sempre più alte (cfr. J. Gleick, Caos: criação de uma nova ciência, 1989). L'universo è stato originato da un tremendo caos iniziale, la grande esplosione. L'evoluzione è diretta a porre ordine in questo caos.

Il significato originario è il seguente: il caos possiede una dimensione distruttiva, mettendo fine a un certo tipo di ordine arrivato al culmine. Ma dietro al caos distruttivo si nascondono dimensioni costruttive di un nuovo ordine. E, viceversa, dietro l'ordine si nascondono dimensioni di caos in virtù delle quali la realtà appare dinamica e fluttuante e sempre in cerca di equilibrio. Secondo Ilya Prigogine (1917-2993), premio Nobel della Chimica nel 1977, il quale ha studiato in particolare le condizioni che permettono l'emergere della vita, ogni qualvolta esiste un sistema aperto, una situazione di caos (lontana dall'equilibrio) e una non-linearità dei fattori, la connessione tra le parti genera un nuovo ordine (cfr. Order out of Chaos, 1984). Un contesto in cui la vita ha fatto irruzione come un imperativo cosmico.

È innegabile che in Brasile si stia vivendo una situazione di gravissimo caos. Nel contesto della pandemia da Covid-19 che ha falciato 200mila vite, abbiamo un presidente totalmente inoperante e indifferente al destino crudele del suo popolo, un negazionista dai tratti di stupidità e arroganza propri di persone autoritarie con tracce di insanità mentale. Un capo di Stato deve essere una persona di sintesi (simbolico) e non di divisione (diabolico) e vivere personalmente le virtù etiche e civiche che vuole vedere nei cittadini. Nel suo caso è invece il contrario: alimenta odio, mente spudoratamente e perde totalmente il senso di dignità della carica che ricopre.

Le istanze di potere, come il Congresso Nazionale, il Ministero Pubblico Federale e la Corte Suprema, si rivelano negligenti, assistendo inerti e irresponsabili al genocidio in corso. Credo che la storia sarà implacabile rispetto alle omissioni di tali autorità, al disinteresse da esse mostrato nei riguardi del destino di milioni di famiglie che piangono i loro morti. Il presidente ha compiuto talmente tanti atti di grave irresponsabilità da meritare giuridicamente ed eticamente un impeachment o una pura e semplice destituzione sulla base di un accordo tra leader sostenuti da moltitudini in piazza.

Ci consola il fatto che all'interno di questo caos umanitario ci sia un ordine più alto e migliore. Chi è che farà sì che il caos venga superato?

Dobbiamo dare vita a un fronte ampio di forze progressiste contrarie alle privatizzazioni e alla neocolonizzazione del Paese per dipanare il nuovo ordine, nascosto nel caos attuale, che vuole nascere. Bisogna arrivare a questo parto benché sia doloroso. In caso contrario, continueremo ad essere ostaggi e vittime di quelli che hanno sempre pensato solo ai propri interessi, dando le spalle al popolo.

L'interpretazione occidentale del Karma transpersonale

Infine intendo servirmi di una categoria proveniente dall'Oriente, che, riletta alla luce delle nuove scienze della Terra e della vita, può offrirci elementi chiarificatori. Si tratta della categoria del Karma, oggetto di un lungo dialogo di tre giorni tra lo storico Arnold Toynbee e il filosofo giapponese Daisaku Ikeda (cfr. Elige la vida, Emecé, Buenos Aires, 2005).

Karma è un termine sanscrito che significa forza e movimento, centrato sull'"azione" che provoca una corrispondente “reazione”. Un'interpretazione transpersonale appare di grande importanza, perché, come già evidenziato, in Occidente non disponiamo di categorie concettuali relative al senso del divenire storico di tutta una comunità e delle sue istituzioni nelle loro dimensioni positive e negative.

Ogni persona è segnata dalle azioni praticate nella sua vita. Questa azione non è limitata alla persona ma connota tutto il suo ambiente. È una specie di conto corrente etico il cui saldo cambia costantemente secondo le buone o le cattive azioni realizzate, cioè i “crediti e debiti”. Anche dopo la morte, la persona, nella visione buddista, porta questo conto nelle eventuali rinascite, finché non riesca ad azzerarlo.

Il grande storico e intellettuale Toynbee offre un'altra versione, nel quadro del paradigma occidentale, che mi sembra illuminante e ci aiuta un po' anche a intendere la nostra storia. La storia si compone di reti di relazioni in cui si inserisce ogni persona, legata a quelle che l'hanno preceduta e a quelle che sono presenti. C'è un funzionamento karmico nella storia di un popolo e delle sue istituzioni in base ai livelli di bontà e giustizia o di malvagità e ingiustizia prodotti nel corso del tempo. Questa la riflessione di Toynbee.

Si tratterebbe di una specie di campo morfico che impregnerebbe tutto. L'ipotesi di molte rinascite non è necessaria come presuppone la tradizione orientale, perché la rete di vincoli garantisce la continuità del destino di un popolo (p. 384). Le realtà karmiche permeano le istituzioni, configurano le persone e lasciano le loro impronte nella cultura di un popolo. Questa forza karmica opea nei processi socio-storici, segnando gli eventi benefici o malefici. C.G. Jung, nella sua psicologia archetipica, aveva notato in qualche modo tale realtà.

Applichiamo questa legge karmica alla nostra situazione sotto il nefasto governo Bolsonaro. Non sarà difficile riconoscere che abbiamo un karma molto pesante a larga scala, a causa del genocidio indigeno, dello sfruttamento della forza lavoro schiava, della colonizzazione predatoria, delle ingiustizie perpetrate da una borghesia ricca e insensibile contro gran parte della popolazione nera, meticcia e povera, scaricata in periferia, con famiglie distrutte e colpite dalla fame e dalle malattie.

Tanto Toynbee quanto Ikeda concordano su questo: la società moderna (inclusi noi) può essere sollevata dal suo peso karmico attraverso una rivoluzione spirituale nel cuore e nella mente (p. 159), nella linea della giustizia compensatoria e di politiche risanatrici portate avanti da istituzioni giuste, come sollecita insistentemente papa Francesco nelle sue encicliche sociali ed ecologiche Laudato si' e Fratelli tutti. Senza questa giustizia minima il peso karmico non si scioglierà.

Ma non basta. Sono necessari l'amore, la solidarietà e una compassione universale, specialmente nei confronti delle vittime. È la proposta centrale e paradigmatica della Fratelli tutti. L'amore sarà il motore più efficace perché, in fondo, esso è la realtà ultima. Una società incapace di amare effettivamente e di ridurre la negatività non riuscirà mai a decostruire una storia segnata da un karma così pesante, accumulato stranamente all'interno di una cultura modellata dal cristianesimo, tradito giorno dopo giorno. È questa la sfida sollevata dall'attuale crisi sistemica.

Non hanno predicato altro che questo i maestri dell'umanità come Gesù, Buddha, Isaia, San Francesco, il Dalai Lama, Gandhi, Luther King Jr e papa Francesco. Solo il karma del bene redime la realtà dalla forza karmica del male. E se il Brasile non opera questa inversione karmica passerà di crisi in crisi, distruggendo il proprio futuro come sta facendo ora, tra menzogne, fake news e ironie del necrofilo e insano presidente di questo Paese.

La funzione chiarificatrice dei principi thanatos e demens

Si tratta di espressioni ben note in Occidente e non richiedono ulteriori spiegazioni. È stato Sigmund Freud a sviluppare il principio del thanatos che accompagna quello dell'eros, l'uno e l'altro presenti in ogni essere umano. Il thanatos emerge come la pulsione che porta alla violenza, alla distruzione e, infine, alla morte. Nella condizione umana è presente il Negativo accanto alla forza positiva e luminosa, che riteniamo trionferà alla fine.

Lo scambio di lettere tra Freud ed Einstein dal 1932 sulla possibilità di superare la violenza e la guerra è ben noto. Freud sostenne che era possibile superare direttamente il thanatos solo rafforzando il principio dell'eros attraverso legami emotivi e il lavoro umanizzatore della cultura. (cf. Obras completas III: 3, 215). Ma termina con una frase desolante: «Affamati, pensiamo al mulino che macina così lentamente che potremmo morire di fame prima di ricevere la farina».

Entrambi i principi per Freud hanno qualcosa di eterno e lasciano il dubbio riguardo a quale principio scriverà l'ultima pagina della vita. Ma il principio del thanatos può a volte nella storia impregnare un intero popolo e inondare la coscienza dei suoi leader, producendo tragedie politico-sociali.

Questi comportamenti rivelano allo stesso modo il principio demens presente insieme al sapiens nell'essere umano. Viviamo in una civiltà globalizzata che è sotto il dominio del demens. Basta ricordare i 200 milioni di morti nelle guerre degli ultimi due secoli e il principio di autodistruzione già attivo attraverso armi nucleari, chimiche e biologiche capaci di porre fine alla vita umana e alla nostra civiltà.

Questo principio del demens si manifesta chiaramente negli omicidi intenzionali di persone nere, povere e di altro orientamento sessuale e nei femminicidi. E viene alimentato da un presidente con chiari sintomi di psicopatia, vergognosamente tollerato da quelle autorità che potrebbero e dovrebbero denunciarlo per reati di responsabilità sociale, costringerlo alla rinuncia o sottoporlo democraticamente a un impeachment. Ma che forse sono anch'esse infettate dal virus del demens, che spiegherebbe la loro indulgenza e la loro colpevole omissione.

Conclusione: il nascosto e il represso sono usciti dai sotterranei e una luce si è accesa

Ecco allora il senso della nostra disquisizione: tutto ciò che era nascosto e represso nella nostra società è uscito dai sotterranei in cui era stato confinato da secoli nel vano tentativo di rimuoverlo o di renderlo socialmente accettabile, o persino di tingerlo di rosa, come fanno diversi ministri indegni individuando addirittura un guadagno nella schiavitù e nello Stato coloniale. Ma basta un po' di luce per diradare questa densa oscurità. Ora tutto è diventato visibile e chiaro. Non c'è più modo di nasconderlo.

Siamo una società contraddittoria in cui assistiamo a una grande vivacità nella scienza, nella letteratura, nelle arti visive, nella musica e nella ricchissima cultura popolare, promossa generalmente controcorrente rispetto all'oppressione, e in cui, allo stesso tempo, interiorizziamo l'oppressore, facendo eco alla voce della classe dominante, conservatrice e arretrata anche rispetto a Paesi simili al nostro. In un certo senso, siamo crudeli e spietati con i nostri simili colpiti dai mali perpetrati dalle fasce ricche, prive di qualsiasi senso di compassione per i milioni di persone che, abbandonate ai margini della strada, non incontreranno nessun Samaritano che abbia pietà di loro. Passano senza vederli e, ancor peggio, disprezzandoli come se non appartenessero alla stessa nazione o alla stessa famiglia umana. E ciononostante si professano ancora cristiane, pur senza aver nulla a che fare con il messaggio del Maestro di Nazaret. Gli atei con un'etica e un senso di umanità sono più vicini al Dio di Gesù, alla tenerezza dell'umile difensore degli umiliati e offesi, di questi pseudo-cristiani che usano il nome di Dio per difendere le loro nefaste politiche individualiste, il progetto di un Brasile solo per loro.

A ragione, la filosofa Marilena Chaui ha scritto che «la società brasiliana è una società autoritaria, una società violenta con un'economia predatoria delle risorse umane e naturali, che convive in maniera naturale con l'ingiustizia, la disuguaglianza e l'assenza di libertà, e con spaventosi indici di sterminio fisico e psichico e di esclusione sociale e culturale da parte delle varie istituzioni, formali e informali» (“500 años. Cultura y política en Brasil”, in Revista Critica de Ciencias Sociais, nº 38, 1993, p. 32-33). L'idilliaco sogno di Darcy Ribeiro che il Brasile si trasformi nella Roma tropicale svanisce nelle dense ombre di cui parla papa Francesco in Fratelli tutti (cap. I). Celso Furtado, rattristato, alla fine della sua vita scrisse un libro intitolato Brasil: a construção interrompida (1992).

Tutte queste nuvole scure si sono addensate negli ultimi anni, incontrando sacerdoti e accoliti pronti ad assumerle consapevolmente, decisi a riportare il Brasile ai tempi premoderni. Neppure al Medioevo, che perlomeno poteva contare su maestose cattedrali e grandi teologie. Il Brasile di questo progetto arretrato e irrealizzabile è diventato una farsa grottesca, oggetto di irrisione nel mondo.

L'insieme di queste vaste ombre e il predominio del Negativo si sono fatti più densi nella figura dell'attuale capo di Stato e del suo governo. È la conseguenza di questa an ti-storia e della sua incarnazione più perversa. Rappresenta il peggio della nostra storia, che, inconsciamente o meno, vuole portare al culmine. Ma non ci riuscirà, perché i meccanismi della morte e dell'odio non hanno mai potuto realizzare il loro scopo: nemmeno Hitler, con tutta la sua potenza militare e scientifica, è riuscito a gettare le basi del Regno dei Mille Anni che egli sognava.

I processi storici non sono ciechi e senza finalità. Conservano un Logos segreto che segna il cammino in linea con il processo di cosmogenesi, generando, a partire dal caos, ordini superiori con nuove possibilità e orizzonti insospettati. Quale sarà il nostro posto, come popolo e come nazione, in tutti questi processi? Questi indicano una direzione, ma siamo tutti noi a doverla seguire e costruire. Non ci è permesso calpestare pigramente le impronte già presenti, dobbiamo lasciare le nostre. Né possiamo arrivare troppo tardi, perché questa volta non si torna indietro.

Facciamo attenzione a ciò che la storia ci richiederà, nonostante il protofascismo di Bolsonaro e dei suoi seguaci. Come disse una volta Platone, «tutte le grandi cose sorgono dal caos». Le nostre possono avere la stessa origine.  

* Il presidente Jair Bolsonaro in una foto [ritagliata del 2019] del Senado Federal, tratta da wikimedia commons, licenza Creative Commons

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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