
Mario Draghi, ovvero il capitale finanziario al comando. Un'analisi di Comune.info
Meno male che Draghi c’è, si sente un po’ dappertutto, ma in ansiosa attesa che sciolga la riserva sul nuovo governo. E sia. Con la composizione del nostro Parlamento, con la pandemia che ha gettato l’umanità nella peggior crisi economica mondiale dal ’29 del secolo scorso, il problema sembra diventato o Draghi o elezioni. E il secondo corno del dilemma – ce lo ha spiegato bene il presidente Mattarella – ci farebbe affondare ancora più in giù. E tuttavia non si può non chiedersi quali saranno le scelte di Draghi per riportare l’Italia sulla linea di galleggiamento. Ci si pò scommettere, quelle per la soravvivenza del sistema capitalistico più avanzato.
Ci «fanno sapere dai piani alti» (quelli in cui “abita” Draghi), scrive Massimo De Angelis su Comune.info, l’8 febbraio, che non saranno «dibattiti pubblici né scelte diverse di politica economica» a guidare le priorità sostanziali del governo Draghi, ma lo stesso «algoritmo sociale che ha portato alle devastanti crisi sociali e ambientali in corso: il mercato». «La designazione di Mario Draghi a presidente del Consiglio – spiega De Angelis del suo “La selezione naturale” – non sarà certamente l’occasione per cambiare modello. Al contrario, corona il capitale finanziario a guida del capitale in generale, in una fase critica attraversata da domande fondamentali e tensioni sociali profonde non solo per il destino dell’accumulazione capitalistica ma anche della sua modalità civilizzatrice».
Mario Draghi è parte del “Gruppo dei 30”, «un think tank internazionale composta da grandi capitali finanziari e personalità come Yi Gang (governatore della Banca Popolare della Cina), o Janet Yellen (di recente nomina a segretaria del tesoro dal presidente Biden). Il Gruppo dei 30 ha stilato un rapporto su come affrontare il dopo pandemia, presentato dallo stesso Draghi in un video sul sito del gruppo» dal quale si evince che la questione è la «solvibilità di imprese e settori del dopo pandemia» e dunque la «necessaria selezione che si dovrà operare per distribuire le risorse del Recovery Plan».
«In altre parole, se fanno profitti, anche se sono produzioni dalla bassa utilità sociale o ad alto impatto ambientale, lasciateli vivere e prosperare. E nella misura in cui ci sarà cogestione, ci sarà contrattazione sociale, si faranno sedere insieme rappresentanti sindacali e industriali, associazionismo socio-ambientale e politici, tutto ciò servirà non a definire scelte strategiche (quelle lo fa il mercato sulla base di considerazioni non sociali e ambientali, ma puramente economiche di crescita del PIL e dei profitti), ma a cercare di garantire una pace sociale affinché si lasci lavorare il mercato per operare quelle scelte strategiche».
«No, in questo approccio – si ribella De Angelis – non c’è risonanza con i desideri e le speranze del comune. Si selezionerà a quale imprese dare soldi e quali no, secondo criteri di prospettive di crescita e competitività e non di utilità sociale e ambientale. Una vecchia logica che i poteri forti del capitale hanno la faccia tosta di ripresentare. Le imprese che saranno giudicate insolventi, saranno mandate sotto, con gravi conseguenze occupazionali. Le imprese che riceveranno finanziamenti sulla base della loro futura competitività, saranno incoraggiate a innovare e ad aumentare la produttività, il che vuol dire che l’occupazione indotta, se non cala, non crescerà neanche in maniera significativa. Eccoci dunque che ci troveremo con gli stessi problemi di oggi ma ingigantiti ulteriormente: crisi occupazionale e di welfare, meccanismo economico di polarizzazione del reddito (competizione), e crisi ambientale dovuta alla natura estrattiva della competizione economica».
«In questo contesto», osserva infine l’autore, «la battaglia per un reddito di base universale è centrale. Ma anche una battaglia su cosa significhi veramente democrazia e libertà, perché affidare scelte fondamentali per la vita e la riproduzione sociale al mercato non è proprio parte di una concezione virtuosa né della democrazia né della libertà».
*Foto di Gerd Altmann da Pixabay, immagine originale e licenza
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