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Viaggio di Francesco in Iraq: un urgente atto d'amore, malgrado il crescente rischio contagio

Viaggio di Francesco in Iraq: un urgente atto d'amore, malgrado il crescente rischio contagio

Sulle preoccupazioni di un aumento di contagio da Covid-19 destate dall’imminente viaggio di papa Francesco in Iraq (5-8 marzo) è stato interpellato il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni. Gli è stato chiesto, il 2 marzo, come il Vaticano possa giustificare l'esposizione degli iracheni a un tale rischio di infezione, dal momento che cristiani e no accorreranno all’evento che non può che definirsi storico: è la prima volta di un pontefice in un Paese a maggioranza sciita e segnerà il primo incontro papale in assoluto con un grande ayatollah, il religioso sciita di origine iraniana Ali al-Sistani.

Bruni ha ricordato il già noto: tanto il pontefice, quanto il suo seguito e i giornalisti ammessi al volo sono stati tutti vaccinati, dunque non potranno né contagiare, né essere contagiati; per quanto riguarda gli iracheni, ha detto che il viaggio è stato progettato per limitare le folle e che tutti gli eventi papali seguiranno i protocolli sanitari del Paese ospite che includono partecipazione limitata, distanziamento sociale e uso di mascherine (solo in 4mila potranno entrare nello stadio di Erbil, che pure ne contiene 20 mila; il papa passerà in un’auto probabilmente blindata, rinunciando alle ali di folla osannante; e userà probabilmente l’aereo o l’elicottero per sorvolare zone con ancora significativa presenza di affiliati all’Isis).

D’altronde «l'intera comunità e l’intero Paese potranno seguire questo viaggio attraverso i media», potranno «sapere che il Papa è lì per loro, latore del messaggio che è possibile sperare anche nelle situazioni più complicate», ha aggiunto.

Non si sarebbe potuta posticipare questa visita in un momento così difficile? È stata una delle domande. Alla quale Bruni ha risposto che questo periodo è stato «il primo momento possibile per un viaggio come questo» e che c'è «urgenza» di andare nel Paese mediorientale. Lo scopo del viaggio, infatti, è incoraggiare le comunità cristiane in declino dell'Iraq che sono state violentemente perseguitate dallo Stato Islamico, oltre che promuovere un dialogo più ampio con la maggioranza sciita irachena.

Il direttore della Sala Stampa ha riconosciuto che potrebbero esserci delle conseguenze sull’espansione pandemica (già in aumento, con il picco di circa 4mila contagiati al giorno), ma ha detto che il Vaticano ha considerato la necessità per gli iracheni di sentire che il papa è vicino a loro e li ama. «Ovviamente – ha sottolineato – il papa guarda anche a questa esigenza». Perciò, «forse – ha spiegato – il modo migliore per interpretare questo viaggio è come un atto d'amore per questa terra, per la sua gente e per i suoi cristiani», e «ogni atto d'amore può essere interpretato come estremo», «come una conferma estrema» di amore.

«Siamo felicissimi dell'arrivo di Papa Francesco», ha detto all’Agence France Presse (1 marzo) uno dei funzionari responsabili dell'organizzazione all'interno della presidenza irachena, ma ha ammesso senza mezzi termini che «arriva in un momento piuttosto complicato» dal punto di vista sanitario. Fra i contagiati risulta, a Baghdad, anche il nunzio, Mitja Leskovar. Comunque per evitare il peggio, ha rassicurato il viceministro degli Esteri Nizar Kheirallah dal 5 all’8 marzo saranno in vigore a livello nazionale misure di contenimento degli spostamenti e le forze di sicurezza presidieranno le strade ha detto.

*Villaggio nel Kurdistan. Foto tratta da wallpaperflare.com, immagine originale e licenza

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