Nessun articolo nel carrello

Le colpe del marxismo e dei preti operai: surreale dibattito sul settimanale diocesano di Torino

Le colpe del marxismo e dei preti operai: surreale dibattito sul settimanale diocesano di Torino

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 13/03/2021

40574 TORINO-ADISTA. Sulla Voce e il Tempo, settimanale diocesano di Torino, sembra di essere tornati agli anni ‘70: da un paio di mesi si parla di secolarizzazione, marxismo, preti operai. Un dibattito d’altri tempi innescato da un articolo di mons. Giuseppe Anfossi, presbitero di Torino e vescovo di Aosta dal 1994 al 2011. L’articolo di Anfossi, pubblicato il 7 gennaio, parte da una constatazione cui il vescovo emerito è giunto dopo la pensione, quando scelse di «trovare casa in una parrocchia di Torino», la Divina Provvidenza. Lì constatò «il livello alto di secolarizzazione» raggiunto a Torino. «Alla Messa della domenica ci sono poche persone sotto i cinquanta anni, poche famiglie e pochi giovani».

La spiegazione che Anfossi fornisce è chiara e rapida: il marxismo e l’azione che esso ebbe su preti e credenti. Anfossi nobilita la sua analisi con la lettura della opere di Madeleine Delbrêl, mistica, poetessa, atea convertita, molto attiva a livello sociale nella periferia operaia di Parigi, a Ivry-sur-Seine, a metà del ‘900, in un contesto segnato dalla presenza dei partiti e della cultura marxista. L’esempio aiuta Anfossi a dimostrare come sia possibile, anche in un contesto caratterizzato dall’ideologia comunista, non lasciarsene influenzare. Perché, pare di capire, il contesto di Ivry-sur-Seine sarebbe simile a tanti quartieri della Torino operaia del secondo dopoguerra, dove però evidentemente non c’era una Madeleine Delbrêl. C’erano anzi tanti preti operai che furono più operai che preti, secondo Anfossi. La sentenza la fa emettere da una citazione tratta da Madeleine Delbrêl: «Quando un cristiano collabora regolarmente all’azione marxista, quando si accorda “praticamente” con una sorta di “diritto di odio”, pur se con militanti che non ne hanno coscienza, c’è una specie di anemia perniciosa che mina il suo essere soprannaturale». Perché, chiosa il vescovo, «I pericoli che colpiscono i credenti e i preti operai sono i seguenti: scambiare la salvezza data dalla fede in Gesù con le ricette di felicità offerte dal mondo contemporaneo; a poco a poco non riconoscere più l’origine evangelica di molti valori condivisi nell’ambiente operaio; mettere il Vangelo al servizio di cause diverse dalla salvezza; dimenticare che l’amore cristiano verso l’umanità passa attraverso il voler bene a persone concrete e che non è una ideologia; la santità colta non più in una dimensione divina di rapporto personale con Gesù Cristo e meno in forme di sacrificio anche talora eroico, ma senza riferimento a Dio. Positivamente i credenti sono invitati a non lasciare deperire il loro legame con Dio e non autorizzarsi a solamente umanizzare tutta la loro vita».

Ubriacati dal marxismo

Alle sollecitazioni di mons. Anfossi, che chiamano in causa quella parte del clero torinese, preti operai in testa, che tentarono di fare del loro ministero uno strumento di presenza dentro le contraddizioni del lavoro salariato (e implicitamente dei vescovi che consentirono che ciò avvenisse), risponde Claudio Anselmo, uno storico e studioso di storia locale che collabora con l’Archivio teologico torinese, con un intervento pubblicato con grande rilievo (richiamo in prima pagina con titolo roboante: “Quando i cattolici aprirono a Marx”) sul numero della Voce e il Tempo datato 7 febbraio. Anche Anselmo si è accorto che è in atto un forte processo di secolarizzazione e spiega di appartenere a quella generazione di giovani cattolici «che subirono – e furono molti – il fascino, anzi si potrebbe dire l’ubriacatura, del marxismo e il cui approdo fu, alla fine, l’irrilevanza e l’insignificanza della fede». Ebbene – ecco il suo j’accuse – «chi ci introdusse a quel pensiero e a quella prassi furono, nel mio caso e in altri, valenti e stimati sacerdoti. (...). Ci insegnavano che era nostro dovere di cristiani diventare comunisti e che un conto era l’ateismo del materialismo dialettico e un altro invece l’analisi del sistema economico e la società socialista che doveva unirci. Riguardo ai Paesi dell’Est ci spiegavano che si trattava di giusti principi imperfettamente realizzati. Solo più tardi e a nostre spese, avremmo capito che erano invece cattivi principi perfettamente realizzati». «Purtroppo (per noi) non avevano colto gli esiti nichilistici di quel processo e che oggi sono sotto gli occhi di tutti. Chi profeticamente lo fece, mi riferisco ad Augusto Del Noce, nei nostri ambienti era etichettato come “fascista”. Allora la parola “profeta” veniva attribuita a chi ci invitava a “uscire dal campo” e cioè dagli insegnamenti di una Chiesa da convertire alla “passione per l’uomo”».

Difesa d’ufficio del card. Pellegrino

I toni sono piuttosto drastici. Le accuse piuttosto dirette. E ormai non solo rivolte ai preti operai, ma anche indirettamente a quella parte della diocesi di Torino che, secondo gli scriventi, si fece subalterna al marxismo. Anfossi sente allora il bisogno di tornare allora sull’argomento, e pubblica un secondo intervento su La Voce e il Tempo del 14 febbraio. Stesso rilievo in prima pagina, con titolo che tenta di gettare acqua sul fuoco: “La Chiesa di Torino non cedette a Marx”. Perché alla guida della città, tra gli anni ‘70 e ‘80, c’era un gigante della Chiesa del post-Concilio come il card. Michele Pellegrino (spesso accusato di “sinistrismo” dalla destra cattolica), convitato di pietra dell’anacronistico dibattito avviato sulle pagine del settimanale diocesano. Anfossi cerca di metterci una pezza e riprendendo l’accusa ai “cattivi maestri” fatta da Anselmo precisa: «Pensando a me, ritengo che questa affermazione sia non ben maturata, è un po’ ingenerosa e priva di contesto; però contiene della verità, a condizione di riconoscere che essa non è applicabile alla teoria e prassi pastorale autentica e ufficiale della Chiesa di Torino di quegli anni». E aggiunge, a mo’ di excusatio non petita: «Il card. Pellegrino quando scrisse la famosa Lettera pastorale Camminare insieme, molto aiutato dal Consiglio Pastorale diocesano (Immacolata 1971), fu, diciamolo pure, molto condizionato dalla sinistra cattolica militante, ispirata da alcuni preti operai, tra cui don Carlo Carlevaris. Diciamo anche che questo gruppo in verità non dialogava davvero con il vescovo Pellegrino, ma faceva solo molta pressione su di lui. La Lettera del cardinale vescovo, letta oggi, non ha proprio nulla di scorretto e non mostra dei cedimenti nei confronti del marxismo. Il passaggio più sensazionale e all’epoca scandaloso, era quello che usava la parola “classe” in pastorale, affermando “il dovere evangelico della preferenza dei poveri”. Diceva più precisamente: “Alla luce dell’insegnamento evangelico, la scelta cristiana di classe (operaia) deve consistere essenzialmente nella priorità e nella preferenza che i cristiani, per vocazione nativa e in vista del Regno di Dio, sono tenuti a dare” (n. 12)».

Per allontanare la cappa di marxismo dalla lettera pastorale, Anfossi rassicura i lettori: «Questo testo non fu suggerito dai preti operai, ma da don Franco Peradotto che trasmise al cardinale un articolo della Civiltà Cattolica scritto da p. Bartolomeo Sorge (20.11.1971)». Quanto alla secolarizzazione e al peso della sinistra cattolica di quegli anni, Anfossi fa una parziale marcia indietro e ammette che, quando ebbe occasione di conoscere preti e seminaristi operai, si accorse che facevano «uso continuo della revisione di vita con continue citazioni della Sacra Scrittura, in particolare dei Vangeli e dei Salmi. Non vedo in questa esperienza, allora molto caratterizzata dalla linea filo operaia, il pericolo di secolarizzazione. Penso tuttavia che già in quegli anni, contro ogni buona intenzione e senza la colpa di qualcuno, si sia avviato un certo processo di secolarizzazione».

Un cammino al contrario

Sembrava finita così. E invece su La Voce e il Tempo del 21 febbraio ecco un altro intervento (stavolta, però, relegato nella pagine interne): è quello di Giampiero Leo, ex movimento studentesco, poi divenuto ciellino, quindi amministratore locale prima con la Dc e poi nel centrodestra. Del resto, in un dibattito sui mali del marxismo un ex comunista divenuto ciellino non poteva mancare. Leo ribadisce, ma in modo più accorto, le tesi di Claudio Anselmo che – dice – «hanno colto nel segno. Nel senso che una parte di “mondo cattolico”, in buona o meno buona fede, accettava oppure occhieggiava all’egemonia dominante». Leo dà però anche un colpo alla botte, affermando la sua «piena e convinta condivisione dell’analisi testimonianza di mons. Anfossi: non era questa la linea della Chiesa, né dell’autorevole suo arcivescovo il card. Michele Pellegrino». Che, a dire di Leo, alle elezioni universitarie del ‘75 promosse – attraverso la mediazione del suo vicario episcopale, mons. Franco Peradotto – la lista filociellina che si contrapponeva a quella delle sinistre. «“Rodato” dalle mie precedenti esperienze politiche nel movimento studentesco, nei comitati antifascisti e nella Democrazia Cristiana (dove ero un attivo aderente all’area della sinistra Dc, guidata da Donat Cattin, Bodrato e Moro) – racconta Leo – aderii entusiasticamente alla proposta di mons. Peradotto, anche perché nel frattempo avevo incontrato Comunione e Liberazione ed ero rimasto colpito e avvinto dal carisma e dall’insegnamento di don Luigi Giussani. Nacque così la lista cattolica, che aveva nei presupposti il popolarismo e il pluralismo», «Io fui il capolista e presi un sacco di voti e altrettante botte (meno gravi del previsto, grazie a provvidenziali interventi di “amici e compagni” come Piero Fassino, Giorgio Ardito, Patrizio Tosetto e Stefano della Casa)». Alla fine Leo, probabilmente conscio della assurda piega che ha ormai preso il dibattito, tenta di attualizzarlo così: bisogna approfondire il «vulnus al senso religioso che è stato inferto allora dal marxismo», ma anche «più recentemente e assai pervasivamente negli ultimi decenni», «dal capitalismo sfrenato e imperante, dal nichilismo, dal consumismo esasperato, dall’edonismo, dalla cultura dello scarto, rispetto alla quale non si stanca mai di metterci in guardia Papa Francesco».  

* Mons.Giuseppe Anfossi in una foto [ritagliata del 2013] della Diocesi di Aosta tratta da it.wikipedia.org, Licenza Arte Libera

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.