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La storia “corale” di Beppe Pratesi, diventato operaio per essere davvero prete

La storia “corale” di Beppe Pratesi, diventato operaio per essere davvero prete

Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 27/03/2021

40596 ROMA-ADISTA. Un testo di storia “corale”, oltre che di storia orale. Con tutto l’amore di cui siamo capaci. Il nostro modo di essere preti. Conversazioni di Beppe Pratesi e Lucia Frati, Centro Documentazione Pistoia editrice, pp. 152, 12€: può essere acquistato presso Adista) è un libro intervista a tutto campo con un prete operaio – don Giuseppe Pratesi detto “Beppe” – dalla vicenda originalissima e paradigmatica, che attraversa una particolare temperie culturale (gli anni del Concilio e del post- Concilio), uno straordinario contesto ecclesiale (quello della diocesi di Firenze degli anni ‘60), incontri e contesti molto diversi tra di loro (la fabbrica, la terra, la sanità, il sindacato, la scuola, il volontariato, l’accoglienza, la famiglia).

La storia orale è già di per sé un campo difficile e affascinante, perché non è solo testimonianza, ma ricostruzione di eventi da un punto di osservazione particolare, quello dei protagonisti. Ma – si diceva – il libro, scritto da Antonio Schina, è anche e soprattutto un esempio di storia “corale”, perché quella di don Beppe è una vicenda che si interseca poi a quella di altre importanti figure della Chiesa fiorentina e della società italiana del ‘900. Don Lorenzo Milani, ad esempio, di cui Beppe nell’intervista tratteggia alcuni aspetti e racconta alcuni episodi (lui fu tra i pochi firmatari della lettera contro la rimozione di Bonanni da rettore del Seminario, promossa da Bruno Borghi e Milani), che si armonizzano bene, completandola e arricchendola, alla tanta saggistica intorno al priore di Barbiana. Poi c’è il rapporto con Borghi (cui Schina ha dedicato un altro suo libro, l’unico che ricostruisca la personalità e l’opera di questa figura fondamentale per la vicenda dei preti operai italiani), prete che ha influenzato il pensiero e l’azione pastorale e politica di tanti presbiteri fiorentini (e non solo). A partire proprio da don Lorenzo Milani, che aveva in Borghi un amico, un solido punto di riferimento, oltre che un confratello più anziano. Borghi è stato, del resto, un interlocutore autorevole e prezioso per tanti preti formati in quella temperie storica che furono gli anni ‘40 e ‘50. Insomma, attraverso le vicende raccontate da don Beppe il lettore incrocia la storia di figure più o meno conosciute, ma comunque cruciali per gli avvenimenti della stagione conciliare e post-conciliare. I tanti che, come don Beppe, fecero la scelta di abbracciare in maniera radicale la condizione degli oppressi e l’impegno per il loro riscatto, sono la testimonianza evidente di come l’azione del singolo sia funzionale alla creazione di uno spirito comunitario aperto che informa di sé tutte le formazioni e le strutture sociali.

Ma anche altre figure, meno note ma non meno affascinanti. Come don Dino Margheri, il parroco di Borgo San Lorenzo da cui don Beppe rimase affascinato da giovane. Era antifascista, e i fascisti locali lo avevano preso di mira. Una volta lo avevano atteso «mentre tornava da Borgo in bicicletta, gli gettarono una coperta in testa e giù botte». Quando il card. Elia Dalla Costa gli propose di cambiare parrocchia, anche per la sua sicurezza, lui rispose: «Eminenza, se me lo dà lei l’ordine io vo via, ma se è per dar ragione a questi birbanti io non vo via». E rimase lì fino alla morte, racconta don Beppe, perché «era un uomo tutto intero».

Completano il volume alcuni documenti pubblicati in appendice. Tra questi “Sacerdozio e scelta di classe”, una riflessione «di due preti che sono operai», Giuseppe Pratesi e Mario Facchini, pubblicata nel 1971, nella quale gli autori sottolineano che «essere nella classe dei poveri come sacerdoti significa condividere e alimentare la fame e la sete di giustizia e di pace, raccogliere questa vita, come ha fatto Gesù», e che «così si prende coscienza tutti insieme e si rivela a tutti che il popolo dei poveri, di ogni razza, lingua e religione, è l’unico che ha conservato la fame e la sete di giustizia, il pianto di chi è oppresso, la misericordia di chi sfama anche i suoi affamatori, la pace di chi subisce la violenza dei potenti». Un modo, insomma, per essere radicalmente preti, perché senza una reale condivisione della condizione degli esclusi o dei lavoratori salariati, il ministero presbiterale si riduce allo svolgimento di burocrazia del sacro, di erogazione di servizi sacramentali. 

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