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Conoscere il Gesù storico attraverso il suo rapporto con il Battista. Un libro di Destro e Pesce

Conoscere il Gesù storico attraverso il suo rapporto con il Battista. Un libro di Destro e Pesce

Tratto da: Adista Notizie n° 19 del 22/05/2021

40664 MILANO-ADISTA. La figura di Giovanni il Battista ha un ruolo particolare nella storia del cristianesimo. La tradizione cristiana lo indica come il precursore, che con la sua predicazione avrebbe contribuito a creare il clima di generale attesa messianica verso colui che avrebbe salvato Israele.

Giovanni, assieme a Gesù e al loro rapporto, è al centro dell’ultimo libro (Il Battista e Gesù. Due movimenti giudaici nel tempo della crisi, Carocci, 2021, pp. 268, euro 23; il libro, senza spese di spedizione aggiuntive, può essere richiesto anche ad Adista, tel. 06/6868692; e-mail: abbonamenti@adista.it) dell’antropologa Adriana Destro e dello storico del cristianesimo Mauro Pesce. Utilizzando il metodo storico-critico e gli strumenti dell’antropologia, i due autori hanno realizzato un testo molto rigoroso e documentato, che in più risulta a portata anche di lettori non specialisti. Si tratta perciò di un libro particolarmente utile per quel pubblico di persone, credenti e non credenti, sempre più interessate alla ricostruzione puntuale del contesto in cui ha vissuto e predicato Gesù, oltre che alla ricostruzione storica della sua figura umana e religiosa.

La vicenda di Gesù in questo libro viene compresa meglio attraverso quella di Giovanni. Entrambe vengono lette e interpretate alla luce del periodo storico in cui svolsero la loro predicazione pubblica, che Destro e Pesce sottolineano come caratterizzato da una profonda fase di crisi politica, sociale e religiosa: quella seguita all’occupazione romana della Palestina cominciata nel 63 a. C. e che si era acuita dopo la morte di Erode il Grande, che aveva determinato la divisione del regno di Israele da parte dei romani, con la Giudea ridotta a provincia e sotto il controllo diretto dei nuovi dominatori. «Non abbiamo inteso scrivere due nuove biografie di Giovanni e Gesù», ma insistere sull’approccio di entrambi «ai bisogni fondamentali della popolazione giudaica e sulle soluzioni che a loro parere avrebbero potuto risolvere la crisi che essa attraversava».

Secondo Destro e Pesce quello del Battista e quello di Gesù furono due movimenti che sorsero in risposta a quella crisi. La predicazione di Giovanni suscitò una straordinaria «effervescenza e creatività culturale»; Gesù vi sarebbe stato coinvolto, assumendo da lui gli ideali e le pratiche. L’ipotesi è che però, in una seconda fase, forse dopo la morte di Giovanni, il movimento gesuano abbia cominciato a caratterizzarsi in modo autonomo. E a esprimere istanze diverse da quelle del Battista. «In periodi di crisi endemiche – scrivono gli autori – si possono manifestare movimenti di rinnovamento il cui successo provoca la nascita di altri simili movimenti, per molti aspetti però a volte diversi e addirittura distanti e divergenti». Così sarebbe avvenuto dei movimenti del Battista e di Gesù.

Il momento storico è quello del I secolo d. C. A quel tempo, la popolazione della Palestina è sostanzialmente divisa fra una élite filoromana – di cui fanno parte anche le autorità religiose – e la parte maggioritaria, che subisce l’occupazione, pagandone le conseguenze economiche e sociali. In questo contesto, la predicazione di Giovanni il Battista è radicale e antisistema. Il profeta si veste di pelli di cammello e mangia locuste e miele selvatico. Atteggiamenti che – ipotizzano Destro e Pesce – potrebbero significare la volontà di vivere il giubileo biblico, l’anno di grazia durante il quale bisognava far riposare la terra, astenersi dalle attività produttive e quindi mangiare solo ciò che la natura forniva spontaneamente. «Molti sono gli elementi che concorrono a dare la sensazione che Giovanni pensasse la popolazione della terra di Israele in una situazione di profonda crisi etico-religiosa. Il suo annuncio di un imminente giudizio finale da parte di Dio era il chiaro sintomo della sua esigenza di una soluzione radicale generale», di porre «fine alle ingiustizie e alle trasgressioni. Egli pensava che una soluzione della crisi fosse imminente. Sembra infatti prevedere una punizione divina alla quale la popolazione giudaica avrebbe, però, potuto sottrarsi attraverso un serio cambiamento di vita». Ecco il senso del battesimo: l’acqua che purifica è un elemento interno alla tradizione giudaica, che per il Battista significa prendere le distanze dalle istituzioni religiose corresponsabili della crisi e della presenza romana, invocando un processo di conversione, il riconoscimento delle proprie colpe: «Chi si faceva battezzare entrava in un processo di risanamento», ossia di riparazione sociale, affermano Destro e Pesce.

Gesù, che del Battista sembra inizialmente un seguace, in seguito nella sua predicazione sceglie non il deserto (dove pure ha trascorso un periodo della sua vita), ma i villaggi rurali (quasi mai le città, tranne il caso di Gerusalemme); sceglie itinerari secondari e quindi il contatto con le popolazioni meno assimilate al dominio romano; non rifiuta il cibo lavorato, intende piuttosto il mangiare assieme come strumento di condivisione e coesione sociale; non attende che le folle vadano da lui, ma è lui che cerca l’incontro con le persone, soprattutto quelle oppresse dalla crisi, segnate dalla malattia e dalla povertà. Il suo risanamento non si realizza con la purificazione in acqua, ma con la conversione morale; si attende il Regno di Dio, ma la ricomposizione va compiuta nella storia. In questa prospettiva, nel libro vengono prese in esame alcune parabole di Gesù per evidenziare il sostrato sociale implicito ma fondamentale in esse, «un grande affresco della percezione sociale di Gesù su: fragilità sociale-debitori insolventi- poverissimi e mendicanti-delinquenza e brigantaggio-frattura tra città e campagna». «Ci pare evidente che Gesù posi lo sguardo su una situazione di crisi sociale in cui vari ceti non possono in nessun modo uscire dello stato di indebitamento». In questo senso, la grandezza della misericordia divina predicata da Gesù in molte parabole «è comprensibile solo perché si conosce la crisi generale in atto che comporta l’impossibilità di far fronte ai debiti impellenti».

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