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Muore p. Swamy, il gesuita indiano

Muore p. Swamy, il gesuita indiano "martire della giustizia"

«Con profonda angoscia e dolore, piangiamo la morte del martire degli emarginati, padre Stan Swamy SJ. Il suo ultimo mese di detenzione in un letto d'ospedale fino agli ultimi istanti è la tragedia straziante di un uomo innocente, perseguitato per aver fatto del bene». È il cordoglio che esprimono i vescovi asitici tramite il messaggio inviato all'Agenzia Fides (6 luglio) dal card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon (Myanmar) e presidente delle Federazione delle Conferenze Episcopali dell'Asia (FABC).

Il gesuita Stanislaus Lourduswamy, meglio conosciuto come Stan Swamy, era in carcere dall’ 8 ottobre del 2020, arrestato ingiustamente per l'impegno in difesa degli adivasi ("abitanti originari" dell'India). È morto il giorno dopo il ricovero nell'ospedale cattolico della Sacra Famiglia per un arresto cardiaco sopraggiunto in seguito a un’infezione polmonare, alle complicazioni post Covid-19 e al morbo di Parkinson, da cui era già affetto.

Era imputato per reati legati al terrorismo e attività sovversive. Secondo la National Investigation Agency (NIA), padre Swamy avrebbe promosso violenza e aiutato gruppi maoisti fuorilegge, accusa che il religioso ha sempre negato. La NIA ha definito il "Comitato di solidarietà verso i prigionieri politici perseguitati", un'organizzazione per i diritti umani in cui il gesuita era coinvolto, un’«organizzazione di facciata di gruppi maoisti ed estremisti». Anche la "Bagaicha", organizzazione fondata grazie al contributo di padre Swamy per far sì che i tribali assumessero consapevolezza dei propri diritti, è stata etichettata «parte del fronte comunista ribelle». Stan Swamy, come racconta la Fides, è stato arrestato con altre 15 persone, impegnate in Ong, per accuse legate al terrorismo. Tra gli arrestati figurano promotori per i diritti umani, giornalisti e studiosi arrestati in relazione a incidenti avvenuti nel 2018 in seguito a una manifestazione di dalit e tribali, nota localmente come "caso Bhima Koregaon".

«Osservatori indipendenti e membri della società civile – informa ancora l’agenzia – in India affermano che padre Swamy era ritenuto un oppositore del governo perché combatteva per l'attuazione delle leggi che promuovono la vita dei popoli tribali e i loro diritti costituzionali».

«Per troppo tempo – scrive il cardinale - i tribali innocenti hanno arrancato lungo una spietata via crucis inflitta loro dall'avidità corporativa e da leggi ingiuste». La «instancabile lotta per liberare queste comunità emarginate» ha portato p. Swami, «al culmine del Calvario, dell'incarcerazione, della privazione e della morte definitiva. È morto da vero discepolo di Cristo».

La sua morte, conclude il presidente della FABC, «getta luce sull'ingiustizia che sta diventando una norma nel mondo: i tribali e gli indigeni sono sacrificabili per gli interessi delle multinazionali e per i loro sostenitori politici. Anche in Asia, a partire dal Mar Cinese Meridionale fino alle zone centrali dell'India, una vasta distesa di terra di milioni di acri era abitata dalle tribù indigene. Per migliaia di anni hanno protetto i “polmoni dell'Asia”. Ora il virus ecologico dell'avidità, ha intrapreso una guerra contro queste terre e queste persone. Padre Stan Swamy, è morto mentre accompagnava i tribali nella loro lotta e nel loro sogno. Nel compiangerlo, ci impegniamo anche noi per un nuovo mondo di giustizia e di pace».

L’Agenzia Fides riporta anche il messaggio ricevuto da un altro gesuita della provincia indiana di Ranchi, p. Vinod Sushil Soreng, professore al seminario dei gesuiti a Chennai, in Tamil Nadu, e amico personale di Swamy. «Stan è stato etichettato – informa – come terrorista, anti-nazionale, responsabile dell'incitamento alla violenza e della violazione della legge e dell'ordine sociale; era accusato di essere complice dei Naxaliti. Mi vergogno per il modo in cui gli è stata ripetutamente negata la giustizia negli ultimi mesi. In qualità di scrittore, pensatore, studioso diceva di non tacere quando i diritti di qualcuno vengono violati, specialmente quelli dei tribali e dei diseredati. E' stato un profeta dei nostri tempi, senza paura, audace e instancabile. Ha sfidato le istituzioni e i sistemi ponendo domande serie e fondate, affinché i diritti dei tribali e dei dalit fossero salvaguardati. Diceva spesso: se non puoi essere solidale con coloro che soffrono o che vedono negati i diritti fondamentali alla vita, la tua vita di religioso o di essere umano è solo superficiale. Raccogliamo la sua eredità: la sua vita ispirerà generazioni a lavorare per la dignità e la giustizia che viene negata ai poveri, alle minoranze e alle popolazioni indigene in tutto il mondo».

*Logo dei gesuiti, tratto da http://risvegliatevi.altervista.org, immagine originale e licenza

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