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Un fantasma si aggira per la Chiesa: le donne

Un fantasma si aggira per la Chiesa: le donne

Tratto da: Adista Documenti n° 27 del 17/07/2021

Questa prima metà del 2021 ha segnato alcune significative novità rispetto alla presenza delle donne nella Chiesa. A gennaio, con il motu proprio Spiritus Domini il papa ha modificato il Canone 230§ del Codice di diritto canonico aprendo alle donne l’accesso ai ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato. Poche settimane dopo veniva resa nota la nomina di suor Nathalie Becquart alla vicesegreteria del Sinodo dei Vescovi, prima donna ad assumere questo incarico e unica alla quale sia stato garantito il diritto di voto al prossimo Sinodo dei vescovi sulla sinodalità.

Ancora, il 10 maggio, con un altro motu proprio, Antiquum Ministerium, si istituisce o, meglio, si riconosce il ministero di catechista, ovviamente aperto a uomini e donne laici. Assistiamo a una moltiplicazione di opportunità ministeriali per le donne e alla “promozione” di donne in posizioni significative all’interno della Curia vaticana. Notizie positive, senz’altro, eppure che lasciano un amaro retrogusto a chi si occupa di giustizia di genere nella Chiesa cattolica.

Papa Francesco sta dimostrando di essere pienamente in grado di esercitare la propria autorità di legislatore e di volerlo fare, ma quello che appare è un uomo che, con sapienza, carisma e grazia di stato, ritiene di dettare termini e condizioni della presenza delle donne  nella Chiesa, senza porsi il problema di ascoltarle… neppure quando parlano all’interno di percorsi sinodali.

I giovani e le giovani chiedevano che le donne trovassero spazio nei processi decisionali. Le donne dell’Amazzonia chiedevano di essere pienamente riconosciute nella loro leadership e di poter amministrare i sacramenti di cui il loro popolo ha bisogno.

Le donne tedesche chiedono che la Chiesa smetta i panni dell’istituzione imperiale della quale si è rivestita a partire dal terzo secolo, per superare finalmente la distinzione gerarchica tra clero e laici.

La risposta, invece, è stata quella di concedere statuto ministeriale a servizi che le donne già effettuano, senza aprire alcuno spiraglio di maggiore corresponsabilità e senza ammetterle all’ordinazione, neppure diaconale.

L’esclusione regna

È purtroppo, dispiace dirlo, un esercizio della tendenza maschile a dire alle donne non solo ciò che devono fare, entro quali spazi si possono muovere, ma anche cosa possono chiedere e cosa no. Per questo, pur riconoscendo le buone intenzioni e ritenendo importante che le donne colgano tutte le opportunità che queste aperture offrono, non si può considerare un vero progresso.

Anche le recenti dichiarazioni del presidente della Conferenza episcopale italiana, al termine dell’Assemblea dei vescovi, vanno in questa direzione. Quando gli è stato chiesto se nel sinodo italiano si parlerà anche di celibato obbligatorio e di accesso delle donne ai ministeri ordinati, ha dichiarato che queste questioni non saranno trattate perché «i problemi di fondo della nostra gente sono ben altri: la solitudine, l’educazione dei figli, le difficoltà di chi non arriva a fine mese per la mancanza di lavoro, l’immaturità affettiva che porta le famiglie a disgregarsi». Tutte questioni estrinseche, nulla che tocchi direttamente la Chiesa.

Dopo i proclami sul coinvolgimento del popolo di Dio, dunque, il primo passo è stato quello di determinare in anticipo gli argomenti, escludendone alcuni.

Rifiutarsi di parlare dell’esclusione delle donne non solo dai ministeri ordinati, ma anche dalla leadership, però, dimostra come l’assemblea dei vescovi italiani sia miope rispetto al disagio crescente delle fedeli.

Il periodo di chiusura delle chiese causato dal lockdown dell’anno scorso ha lasciato strascichi pesantissimi sulla pratica religiosa e, in molti casi, anche sull’appartenenza. Non si può pensare di affrontare le sfide del futuro della Chiesa italiana senza coinvolgere le donne a partire dall’elaborazione degli strumenti che si utilizzeranno per raccogliere le opinioni del popolo di Dio, per arrivare alla paritaria presenza in sede di votazione finale del documento conclusivo, passando per la messa a tema dell’ineguale rappresentanza di donne e uomini quando si prendono le decisioni che coinvolgono la Chiesa tutta. È una strada obbligata, se non si vuole che questo sinodo risulti un inutile spreco di tempo e denaro.

La partecipazione attiva fa bene alla salute

In un recente studio pubblicato sull’American Sociological Review1 è emerso che, nonostante mediamente l’appartenenza  religiosa sia correlata con una migliore salute generale, le donne che frequentano chiese in cui non possono accedere a ruoli di leadership riportano una salute peggiore di quelle che frequentano chiese in cui le donne possono svolgere qualunque funzione.

La studiosa e co-autrice Patricia Homan (associata di Sociologia alla Florida State University) ha dichiarato che «lo studio suggerisce che il sessismo può contrastare alcuni dei benefici per la salute associati alla religione», insomma che l’effetto positivo della religione sulla salute sembra essere legato alla possibilità di una partecipazione attiva in una chiesa. Questo studio ci mette di fronte a un’evidenza che va oltre le parole e anche le precise consapevolezze, per toccare un piano decisamente più profondo che è quello di come le situazioni che viviamo impattano su di noi complessivamente, anche nel corpo. Vorrei che ci fosse attenzione anche a segnali come questo, perché indicano un malessere montante. Certo gli Stati Uniti non sono l’Italia, ma temo che il fatto che le donne italiane abbiano poche opportunità di confrontarsi con confessioni cristiane più inclusive e quindi si rendano meno conto del loro svantaggio, sia una ben magra vittoria.

Allo stesso modo quando i nostri vescovi si dicono così convinti che i credenti in Italia non sarebbero interessati a discutere di questioni cruciali come il governo della Chiesa e l’esclusione delle donne, dimenticano che questo è un indicatore di immaturità del loro popolo, perché una Chiesa matura non teme di affrontare nessuna questione e anzi si interroga costantemente sulla propria fedeltà al Vangelo in un esame di coscienza rigoroso.

Gli abusi clericali sulle suore

C’è poi una questione che non viene citata mai, ma riguarda da vicinissimo la vita delle donne cattoliche e in particolare delle religiose ed è la piaga, ancora tutta da portare alla luce, degli abusi clericali sulle suore.

Il 28 maggio scorso un piccolo network di associazioni femminili, con il sostengo anche di Adista, ha organizzato un incontro pubblico dal titolo “Il grande silenzio. Gli abusi sulle religiose in Italia fra omertà, silenzi e tentativi di riscatto”. Alla presenza di più di 120 persone da tutto il mondo, dopo una ricostruzione “storica” del percorso attraverso il quale la questione ha trovato una seppur minima visibilità, abbiamo ascoltato una testimonianza diretta e gli esiti di un’inchiesta.

L’evidenza di trovarsi di fronte a un abisso ancora tutto da scandagliare è stata soverchiante, ma al tempo stesso era chiarissimo che non si trattava in alcun modo di una questione differente da quella, di cui scrivevo più sopra, ovvero dell’esclusione delle donne dalla leadership ecclesiale.

Un sistema gerarchico chiuso, omogeneo al proprio interno, formato esclusivamente da uomini maschi celibi, è naturalmente esposto a maggiori rischi di devianze e abuso di potere (spirituale, fisico, sessuale) rispetto a un sistema che contempla al proprio interno differenze, corresponsabilità, scambi alla pari.

Le donne allontanate dagli altari per ragioni storiche e teologiche fragilissime, sono le stesse delle quali si sente di poter abusare: è il fatto di considerarci non pienamente persone a legittimare entrambi i comportamenti.

Sacerdozio alle donne: un grave delitto

E quando poi si scopre che l’«attentata sacra ordinazione di una donna» è considerata uno dei delitti più gravi, alla pari dell’abuso sessuale in sede di confessione e, ora, anche dell’abuso su minori… è chiaro che qualcosa di profondamente e radicalmente sbagliato, grave e ingiusto, permane al cuore della Chiesa cattolica.

Io sono convinta che, se un cambiamento è possibile, oggi sono i laici e – tra essi – le donne gli unici soggetti in grado di farsene carico davvero. La carica creativa e vitale che le donne esprimono nel servizio agli ultimi, nell’azione pastorale e nella ricerca teologica, si accompagna all’energia e alla voce di quante si impegnano direttamente per promuovere la parità. Non c’è contrapposizione e non dobbiamo permettere che si crei, perché tutte, insieme, rappresentiamo la speranza per una Chiesa che continui ad essere significativa nelle future generazioni.

Abbiamo davanti un lungo percorso di sinodalità, a noi la responsabilità che non resti una parola.  

Paola Lazzaroni è sociologa, presidente di “Donne per la Chiesa” e membro dell’Executive Board del “Catholic Women’s Council”.

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