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La morale sessuale cattolica: da “anáthema” a gioia

La morale sessuale cattolica: da “anáthema” a gioia

Tratto da: Adista Documenti n° 27 del 17/07/2021

Mortificare il corpo, vivificare lo spirito: alcune antiche correnti mistiche e filosofiche svalutavano il piacere sessuale a favore di un ideale ascetico. Tale orientamento era diffuso in diversi ceti sociali e anche nelle prime comunità cristiane che attendevano l’imminente venuta del Regno di Dio rinunciando ai piaceri terreni. Paolo, ad esempio, contrappone drasticamente la carne allo spirito e presenta il matrimonio come un «male minore»: la scelta necessaria per quelle persone che almeno nella fedeltà coniugale potrebbero trovare una medicina (quasi omeopatica) per l’istinto sessuale, visto che sono troppo deboli per rinunciarvi.

Di questa paura della sessualità, ritenuta occasione di perdizione, si trovano tracce in diversi Padri della Chiesa, in particolare nell’inquieta ricerca esistenziale di Agostino. La sua influenza fu enorme durante il Medioevo, in cui si andò rafforzando l’idea che sessualità e spiritualità fossero incompatibili. Se la felicità corporea distoglie le persone dalla salvezza dell’anima, la religione sarà tanto più necessaria per purificarsi e prepararsi all’eternità, scegliendo la continenza o, meglio, l’astinenza dal piacere corporeo in quanto impuro. Ne deriva una “pedagogia della paura”: minacciare i castighi infernali venne considerata una condizione indispensabile per la conversione di chi apprezza le gioie della vita.

Il tema, però, non riguardava solo gli intellettuali. Con gli editti degli imperatori Costantino (313 d.C.) e Teodosio (380 d.C.) il potere politico e le leggi civili si ispirarono progressivamente all’etica cristiana. Questo passaggio non va sottovalutato: il diritto romano ha costituito il modello delle leggi civili, che hanno l’effetto di plasmare la mentalità e i comportamenti delle persone. Se la società europea ha seguìto a lungo le norme cristiane, talvolta anche contro i diritti umani, ciò è derivato proprio alla connivenza tossica fra religione e potere politico.

Possiamo dire lo stesso del Concilio di Trento (1545-1563): nei suoi documenti si ripetono, con ossessiva frequenza, le parole anáthema sit (“sia maledetto”), espressione di una Chiesa che, attraverso la paura, intendeva riprendere il dominio religioso e politico in Europa. Ciò implicava un intervento, autoritario e capillare, in ogni campo della cultura e della morale: per esempio, attraverso l’indice dei libri proibiti, l’Inquisizione e – a un livello ancora più intimo – la confessione.

Il controllo delle coscienze

Da questo periodo in poi, infatti, si diffondono prontuari che quantificavano minuziosamente la penitenza commisurata a ogni colpa. La pratica penitenziale fornì allora, più di prima, uno strumento per il controllo delle coscienze: ai fedeli era richiesto solo di obbedire alla legge della Chiesa, senza discutere.

In particolare, normare severamente la sessualità equivaleva a controllare la vita delle persone, sia privata sia pubblica. Controllare la riproduzione significa in effetti controllare la famiglia e la società; la morale sessuale si identificò con i doveri connessi al matrimonio, in cui la figliolanza legittima regola i rapporti ereditari; il matrimonio era in realtà funzionale al patrimonio.

Inoltre, se il piacere sessuale era considerato occasione di tentazione e peccato, il celibato avrebbe costituito una forma di vita più santa, prossima alla vita eterna. Chi si consacra a Dio immolandogli la propria sessualità accede ad una dimensione sovrumana e a un potere superiore. La svalutazione della sessualità porta all’esaltazione del celibato religioso, che a sua volta crea un’aura di sacralità intorno a chi accetta un tale sacrificio. Va individuata qui la radice del clericalismo, che assegna un rango superiore a chi si consacra a Dio; papa Francesco ha evidenziato questo nodo malsano fra l’ossessione per il comportamento sessuale dei fedeli e l’abuso del potere clericale, anche nelle sue forme più distruttive e perverse. La rimozione della sessualità dalla vita dei religiosi produce un paradosso: i membri di un clero (forzatamente) celibi e (teoricamente) casti si arrogano il compito di conoscere e normare la vita sessuale delle persone, un’esperienza cui essi hanno (almeno ufficialmente) rinunciato.

La morale in negativo

Nei documenti cattolici sulla sessualità risaltano spesso due aspetti: 1) le leggi calano dall’alto senza dialogare con le persone e la loro esperienza reale; 2) le leggi prescrivono dei criteri per discriminare ciò che è consentito e ciò che è proibito. È, cioè, una morale in negativo, che non sembra cogliere  le risorse positive delle persone; al contrario, affronta con intransigenza le situazioni umane, preoccupandosi di fissare rigidi confini, al là dei quali si rimane esclusi dalla Grazia e dalla comunione ecclesiale. Disgregata in una casistica a volte grottesca, questa morale richiama un codice di diritto penale, ove le infrazioni contra sextum sono considerate peccati mortali. Alla base di questa visione si trova una teologia della repressione ultraterrena: in questa “valle di lacrime” i fedeli, continuamente esposti al peccato a causa della sessualità (che riguarda in modo diverso tutti gli esseri umani), hanno bisogno del potere della Chiesa; chi detiene la facoltà di perdonare i peccati può salvarci dall’inferno.

Anche attraverso lo scrupolo dello scandalo, l’etica sessuale cattolica intende controllare le coscienze escludendo le situazioni di vita considerate impure. Ma davvero può farci crescere interiormente una morale che insiste solo sui comportamenti e non sulla qualità delle relazioni interpersonali? Se non sa autenticamente educare al bene, la morale diviene innaturale, frustrante e pericolosa per l’equilibrio psicofisico: uno sguardo costantemente punitivo genera solo sensi di colpa per sensazioni e desideri semplicemente umani. Il Magistero, infatti, condanna ogni manifestazione della sessualità al di fuori dell’unione sacramentale fra un uomo e una donna, indissolubile e aperta alla vita. Ma la realtà complessa dell’esperienza mostra che la sessualità possiede diverse sfumature nell’arco della vita umana; pur non coincidendo sempre con l’ideale, può esprimere tenerezza o passione, ricerca e offerta di piacere e gioia, scambio gratuito di conforto, vicinanza, affetto. L’ossessione per l’optimum rischia di rovinare il bonum.

Libertà di coscienza per la crescita morale

Quando è sana, la sessualità costruisce l’identità relazionale della persona, che non riguarda solo la dimensione biologico-riproduttiva: l’identità, infatti, integra corpo e spirito, in un costante e dinamico dialogo con l’Altro. Vivere la sessualità come persone-in-relazione ci rende adulti, capaci di ascoltare la coscienza, meno vincolati a una legge esteriore. Anche per questo motivo sempre più individui abbandonano la Chiesa cattolica: infatti, la morale del controllo/senso di colpa deriva dall’autorità e non dalla libertà della coscienza; richiede solo un’obbedienza eteronoma e non la crescita autonoma dell’individuo. In alcuni casi (come per l’omosessualità), la morale cattolica prescrive delle norme senza motivarle adeguatamente, appellandosi solo a una tradizione autoreferenziale o a pregiudizi non suffragati dall’esperienza o dalle scienze umane: adeguarsi comporterebbe, nella vita di fede, una perversa scissione fra la coscienza personale e l’ossequio formale alla dottrina.

Eppure talvolta, dal Concilio Vaticano II ad Amoris Laetitia, la Chiesa ha intuito la ricchezza della sessualità, che papa Francesco presenta come regalo di Dio all’umanità. La Chiesa dovrebbe, quindi, insegnare la bellezza della passione quando diventa incarnazione e simbolo dell’amore interpersonale; quando il dialogo fra i corpi è simultaneamente dialogo fra le anime, celebrazione di alleanza e riconoscimento della dignità umana. La naturale ricerca del piacere può evolvere verso la crescita integrale delle persone, da un livello elementare (in cui conta solo la soddisfazione dell’istinto) a un livello maturo, che traduce lo slancio di donarsi e gioire insieme, come rappresenta mirabilmente il Cantico dei Cantici. Indicando la luce di una sessualità consapevole e generosa – ispirata a responsabilità e rispetto per l’altro – la Chiesa dovrebbe consentire percorsi educativi in cui la benefica forza dell’ideale non getti disprezzo su quelle esperienze di sessualità che, pur imperfette, possono tuttavia costituire tappe di un percorso umano e spirituale, per noi, individui concreti che cerchiamo l’assoluto nella realtà – a volte anche povera – delle nostre esistenze. La Chiesa, uscendo dalla teologia e dal linguaggio della maledizione, dovrebbe incoraggiare il massimo bene possibile nella vita di ciascuno: come ha fatto Gesù che, prima di offrire l’acqua della vita eterna alla donna di Samaria, si è offerto di bere l’acqua del pozzo del luogo e della gente comune. L’acqua semplice, forse talvolta anche torbida, degli esseri umani, per la quale tuttavia il Figlio di Dio non ha provato mai disgusto. 

Antonio De Caro Docente di Lettere, Latino e Greco in un liceo di Parma e counselor. Impegnato con il portale su fede e omosessualità Gionata.org e con l’associazione “La Tenda di Gionata”.  

* Guercino (Giovanni Francesco Barbieri), Cristo e la Samaritana al pozzo (olio su tela, 1640-'41 ca.) , foto della Colección Thyssen-Bornemisza tratta da it.wikipedia.org, immagine originale e licenza

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