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Il senso del

Il senso del "credere" nel paradigma post-teista. Il dibattito sul libro "Oltre Dio"

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 31/07/2021

DOC-3139. ROMA-ADISTA. Era prevedibile che il libro Oltre Dio, il quarto della serie Oltre le religioni nata da una collaborazione tra Adista e Gabrielli editori, suscitasse reazioni forti, in un senso e in un altro. Il superamento dell'immagine di Dio come essere onnipotente e onnisciente, trascendente e personale, padre amorevole che viene in nostro soccorso ascoltando le nostre suppliche e che ci ricompenserà per il male sofferto in questa vita non è di certo un cambiamento irrilevante. Come ricorda il teologo José Arregi nell'intervento scritto per il libro, è ancora la maggioranza dei teologi a ritenere «la qualità personale di Dio come essenziale e irrinunciabile», fino ad accusare i non-teisti «di ridurre Dio a una mera energia cosmica o a una vaga realtà impersonale e panteista».

Così, per il filosofo Augusto Cavadi, un'alternativa al Dio teista può essere rappresentata non necessariamente da una «Forza anonima onnipresente» riconducibile al Divino dei panteisti, ma, scrive, da una “figura” «dotata almeno di quelle ricchezze che riconosciamo alla soggettività umana (quando la concepiamo potenzialmente capace di conoscenza, di libertà, di relazionalità, di responsabilità)». Mentre Enrico Peyretti, figura di riferimento del movimento nonviolento, pur «convinto del valore di ripensare il concetto tradizionale di Dio», non condivide «il togliere a Dio, come "spiegato" da Gesù (Giovanni 1,18) il carattere "personale": se Dio è cosa, o forza, o energia senza personalità (coscienza, pensiero, volontà, comunicazione...) è nulla di diverso dalla forza di gravità terrestre o dal movimento degli astri: cose belle da sapere, ma non da vivere».

Anche in Spagna, dove lo stesso libro, benché in una versione diversa, è uscito con il titolo Después de Dios. Otro modelo es posible, non è mancato un vivace dibattito sul tema, a partire dall'inatteso attacco lanciato dal noto teologo José María Castillo sul suo blog "Teología sin censura" (www.religiondigital.org, 29/4), poi ridimensionato (www.religiondigital.org, 17/5), a cui hanno risposto tre degli autori del volume spagnolo e italiano, José Arregi, José María Vigil (www.religiondigital.org, 16/5, 17/5) e Santiago Villamayor (Atrio, 23/5).

Ma ai dubbi, ai distinguo, persino agli attacchi e ai chiari fraintendimenti, i sostenitori e le sostenitrici del paradigma post-teista rispondono non solo evidenziando l'importanza di una ricerca spirituale svincolata da ogni pretesa di verità e da ogni appartenenza che non sia quella alla nostra casa comune, ma anche riconoscendo un nuovo significato, benché assai diverso da quello tradizionale, ai termini "credere" e "Dio".

Così, per Vigil, si tratta di «puntare sulla Realtà Ultima o sull'Ultimità della Realtà, non scendendo a compromessi con il mito, la mitologia, l'immaginazione religiosa, le credenze, i dogmi imposti in maniera a-razionale dall'istituzione religiosa». Perché «solo senza un theós che catturi la divinità della Realtà portandola a espatriare verso un cielo scisso dalla terra, potremo volgere gli occhi alla divinità profonda della Realtà, alla divinità di tutto, del Tutto, non separata dalla terra, dalla materia, né da noi stessi». Per Arregi si tratta invece di «dove poniamo il cuore, cioè il centro o il fondamento vero del nostro essere», individuandolo «nell'Essere o Cuore indiviso di tutti gli esseri, che si nasconde e si rivela ed è in tutto. Nel Mistero profondo e sensibile come un ventre materno che dà la luce a tutte le forme. Nella Fiamma della Coscienza universale di cui tutti gli esseri sono scintille, scintille dello stesso Fuoco senza forma».

Mentre Gilberto Squizzato preferisce tralasciare qualsiasi definizione della realtà divina, rivendicando, nel suo intervento, il ritorno «alla nudità originaria di quella che in epoca antica fu chiamata la teologia apofatica», descritta come «un’onesta autocontraddizione semantica: un discorso sul divino che sa di non poterne dire nulla», lasciando solo «quell’anelito, quel respiro profondo e anche quello smarrimento davanti all’enigma del mondo» che «possiamo continuare a custodire nell’intimo della nostra coscienza», quel «desiderio di un dialogo con quell’enigma e forse perfino l’azzardo di un tu che ci sia interlocutore e controparte, pur rinunciando consapevolmente a farcene alcuna immagine, tanto meno antropomorfa».

Come pure, nel dibattito che ospitiamo in questo numero, Squizzato sostiene che «rinunciare a ogni immagine del divino (e a ogni parola su di lui) non significa abrogarlo e cancellarlo dal nostro orizzonte ma solo, umilmente, rinunciare a ogni pretesa di definirlo e convocarlo obbligatoriamente a far parte del nostro dizionario mentale come parole fra le altre parole».

Qui, in una nostra traduzione dallo spagnolo, lo scambio tra

Castillo,

Arregi,

Vigil,

Villamayor,

Seguono

- lo scambio, sorto sempre dalla lettura di Oltre Dio, tra il prete veronese don Enrico Bombieri e José María Vigil (Academia.edu 14 e 17/6) - "Riflessioni sul post-teismo tra un prete e un teologo"

un commento al libro di Beppe Pavan della Comunità di base di Pinerolo (pubblicato sul Foglio di Comunità di luglio-agosto; www.cdbpinerolo.it)

e le reazioni a catena di Enrico Peyretti ("La necessità di un confronto paziente"), Gilberto Squizzato ("Credere rinunciando a ogni immagine del divino") e Domenico Basile "Come pensare un Dio impersonale").

Termina la rassegna, a dimostrazione di come questo dibattito stia travalicando le frontiere di uno o due Paesi appena, l'articolo "Una fede cristiana senza Theos" a firma del teologo domenicano francese Alain Durand (pubblicato su Golias Hebdo dell'1-7 luglio e rilanciato in spagnolo su Academia.edu), il quale riconosce gli elementi positivi della riflessione post-teista, ma evidenzia anche alcune questioni a suo giudizio rimaste aperte.

 

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