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Pregare i salmi oltre Dio e le religioni. La sfida di Gilberto Squizzato

Pregare i salmi oltre Dio e le religioni. La sfida di Gilberto Squizzato

Tratto da: Adista Notizie n° 30 del 07/08/2021

40770 ROMA-ADISTA. Se il cielo è vuoto, come sostengono i teologi e i teorici di una spiritualità “Oltre le religioni” e “Oltre Dio”, almeno come per secoli lo abbiamo pensato e concepito, che senso ha la preghiera? Una domanda che Gilberto Squizzato, regista televisivo, saggista, da anni teorico di una fede “laica”, si è sentito rivolgere tante volte. La questione, in effetti, ha un suo senso radicale. Se (e sottolineiamo se, perché il dibattito è apertissimo e da anni trova su Adista un luogo di confronto tra posizioni diverse) siamo usciti dal mondo religioso del passato per approdare a una fede cristiana non più ancorata a dogmi, dottrine, catechismi; se ci siamo lasciati alle spalle ogni immagine antropomorfa dell'antico Dio; se la stessa idea di un Dio persona vacilla, con quale “Tu” poter dialogare nell'intimo delle nostre coscienze o celebrando insieme la memoria di Gesù di Nazareth? «Con quali parole, sentimenti e aspettative potremo adesso invocare quel Qualcuno con il quale abbiamo avuto per secoli e millenni una lunga consuetudine o che al contrario è stato per noi sempre un estraneo muto e lontano»? Insomma, «dobbiamo rinunciare anche all'esperienza della preghiera» o pensare anche la preghiera come «un dialogo illusorio, che l'onestà dovrebbe ricondurre alle dimensioni un po’ asfittiche di un momento di autocoscienza solitario e chiuso su se stesso?».

Il senso dell’ultimo libro di Squizzato (Sussurri e grida. Salmi laici e cristiani per il nostro tempo, 2021, Gabrielli, pp. 323, 20€; il libro può essere richiesto, senza spese di spedizione aggiuntive, ad Adista, tel. 06/6868692; e-mail: abbonamenti@adista.it; oppure acquistato online sul sito www.adistaonline.it) – abbiamo usato le parole tratte dalla sua introduzione – è tutto qui: rendere possibile, anzi credibile o praticabile l'esperienza della preghiera dopo aver riplasmato la fede credendo sì, ma – sostiene l’autore – «senza farmi alcuna immagine del divino» (come egli stesso aveva scritto in copertina al suo precedente libro, Il Dio che non è Dio).

Squizzato tenta la strada possibile della preghiera che Gesù stesso aveva utilizzato nella sua vita di uomo ebreo del suo tempo: i salmi. «Certo, il Maestro ci ha lasciato una sola preghiera, il Padre Nostro: ma è facile supporre che moltissimi versi dei Salmi risuonassero nella sua mente quando, così spesso, si ritirava a pregare». Ma «trenta (o molto più probabilmente venticinque) secoli dopo la loro composizione possiamo ancora pronunciare, sentendole vive dentro di noi, le parole dei Salmi come se tutto fosse rimasto come allora? Come se i nostri paradigmi culturali e la nostra visione del mondo non fossero stati stravolti da Copernico, Galileo, Feuerbach, Marx, Darwin, Freud, Einstein? (...) Come se la morte di Dio annunciata da Nietzsche non fosse davvero accaduta, praticamente, non solo nella cultura di massa ma anche nel nostro intimo?».

Però i Vangeli ci dicono che Gesù «non si presentò mai come qualcuno venuto ad abrogare la Legge e i Profeti, e dunque neanche le parole della Sapienza biblica. È lecito dunque pensare che anche quei salmi che da ragazzo, istruito alla sinagoga, esplorava e ripeteva con rispetto e devozione fossero parte di quell'esperienza personale nella quale cercava l'alimento per nutrire la sua fede nel suo Padre buono».

A distanza di tante trasformazioni storiche, culturali, sociali, i salmi vanno quindi contestualizzati, bisogna «cioè collocarli nel tempo, nel luogo e dentro la cultura in cui furono prima pensati, recitati e poi scritti: solo così non ci appariranno come inni arcaici di un popolo ancora primitivo impaurito dalle potenze cosmiche e naturali. Potremo in questo modo sentir riaffiorare la fragranza ruggente della vita reale, concreta, quotidiana che fremeva in quel piccolo lembo di suolo mediorientale percosso in continuazione da guerre, scontri fratricidi, scorribande di banditi ed eserciti stranieri».

Non ci rivolgeremo certo, scrive Squizzato, a quel «“Dio degli eserciti" che era per il nazionalismo religioso degli israeliti il riferimento potente e invincibile che li doveva proteggere dalle perfide insidie e dagli attacchi armati dei nemici, subiti o immaginati. Noi a un Dio così crudele e così esclusivo abbiamo da tempo imparato a rinunciare. Una volta depurato da ogni carattere militare e nazionalistico l'antico (arcaico) Jahvé, che cosa ci resta di quell'immagine religiosa del Dio abitatore dei cieli che ricorre anche nel Padre nostro dell'ebreo Gesù di Nazareth?».

La sfida è quindi intrigante: ri-pronunciare le parole degli antichi salmi biblici trasformando non solo l’aspetto linguistico, ma anche quello concettuale. Certo, ogni traduzione porta con sé anche il rischio, almeno in parte, del tradimento; ma trasferire i “sussurri” e le “grida”, gli aneliti, la disperazione, l’ansia e la speranza del popolo ebraico nell'epoca post-religiosa, informatica, telematica e globalizzata, può rivelare l'intatta e vivida attualità di quelle preghiere. 

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