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La Polonia blocca la restituzione dei beni delle vittime della Shoah

La Polonia blocca la restituzione dei beni delle vittime della Shoah

Il parlamento polacco ha approvato un provvedimento che di fatto impedisce la restituzione della maggior parte delle proprietà confiscate dopo la seconda guerra mondiale, suscitando forti critiche da Israele. La legge impone un termine di prescrizione di 30 anni per rivendicare i beni saccheggiati, solitamente confiscati dal regime comunista dopo la guerra.

Il presidente Andrzej Duda deve ancora approvare la legge in via definitiva per la sua attuazione. I difensori del testo sostengono che porrà fine alle incertezze sui diritti di proprietà ed eliminerà i problemi di frode e corruzione. Gli oppositori sostengono che gli ebrei saranno ulteriormente penalizzati, perché i titolari dei diritti erano spesso lenti a farsi avanti e perché le loro proprietà spesso sono state sequestrate due volte, prima dai nazisti che occupavano la Polonia e poi dai comunisti.

Sei milioni di polacchi, metà dei quali ebrei, furono uccisi durante la seconda guerra mondiale in Polonia. Dopo la fine del socialismo reale,  la Polonia non organizzò la restituzione delle proprietà saccheggiate come fecero la maggior parte degli altri paesi del blocco comunista, lasciando che i singoli adissero eventualmente in tribunale. Azioni costose e che ovviamente non garantiscono il successo. Per questo sarebbe servita una legge sui risarcimenti e le restituzioni che in altri Paesi d'Europa è stata adottata da tempo. L’ultimo emendamento voluto da Diritto e Giustizia, il partito di destra nazionalista e clericale fondato dai gemelli Kaczy?ski, si inserisce in questa lacuna e afferma ora che nessuna decisione amministrativa può essere rovesciata dopo 30 anni. In una situazione normale, il provvedimento servirebbe a tutelare i nuovi proprietari, ma in realtà significa che le vittime della Shoah non avranno più nessuna possibilità di riavere i loro beni o ottenere risarcimenti.

Il viceministro degli Esteri polacco, Pawel Jablonski, ha anche detto di essere intenzionato a “rivedere” le modalità dei viaggi dei giovani israeliani ad Auschwitz e negli altri campi di sterminio nazista in territorio polacco, perché durante queste visite verrebbero diffusi “pregiudizi anti polacchi”. 

Intanto, il 14 agosto scorso Israele ha richiamato l'incaricato di affari a Varsavia. Il ministro degli esteri Yair Lapid - che ha definito "antisemita e immorale" il provvedimento - ha detto su twitter di "aver incaricato il capo dell'ambasciata in Polonia di tornare immediatamente in Israele per consultazioni a tempo indeterminato".

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