PRIMO PIANO. Alla ricerca di una “splendida città”
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 38 del 30/10/2021
Il risultato delle elezioni Amministrative 2021 è senza dubbio positivo per le forze di centrosinistra. Complessivamente e non solo dopo i ballottaggi. I dodici milioni di elettori chiamati alle urne hanno dato, in percentuale ma anche in numeri secchi, la prevalenza di scelta ai candidati sindaco del centrosinistra, soprattutto nelle grandi città, e, in totale, anche ai partiti che li hanno sostenuti e in particolare al Pd. Solo una lettura che prova a fare 1 a 1 tra Comuni con 15/20mila abitanti con uno di 7/800 mila o più, può dire diversamente senza vergogna.
Eppure, a margine di questo chiaro risultato, ci sono da fare alcune considerazioni.
Prima: non vale più di tanto, seppure in sé giusto, il principio che gli assenti hanno sempre torto.
La democrazia si fonda su valori condivisi, su un principio di identità collettiva, su scontro, conflitti, diversità di vedute, certo, ma anche su un principio implicito che spinge a trovare – insieme, anche se con fatica – soluzioni reciprocamente accettate. Se è enorme, dominante, il numero di chi per un motivo o per l’altro non ci crede, vuol dire che qualcosa non funziona. Vogliamo rimediare? Quando vota, al massimo, un cittadino su due, risulta complessivamente in discussione la legittimità, politica e non certo giuridica, delle istituzioni che si vanno a rappresentare. Chi garantisce che poi quella astensione dal voto non si traduca anche in sfiducia per le regole di convivenza che sempre impongono limiti e costrizioni?
Seconda. Un sommesso invito per chi ha vinto: non ci si illuda, non si ripeta l’errore fatto a cavallo del 1993-94, con l’ampia vittoria di molti sindaci di centrosinistra eletti con entusiasmo per la prima volta direttamente dai cittadini, ma a cui è seguita una forte delusione per le elezioni politiche successive, con la Destra vincente sull’alleanza dei Progressisti e Patto per l’Italia. Per diverse ragioni. Perché parlamentari e amministrative sono competizioni politiche diverse: le seconde si basano molto sulle candidature, una pletora di liste e candidati si sono dati da fare in queste di ottobre. E poi i flussi elettorali: come indica l’Istituto Cattaneo, non indicano grandi spostamenti tra i poli, ma all’interno di essi. Per cui una parte di consenso popolare per la destra che si è astenuto in questa tornata, potrebbe (facilmente?) ritornare alle prossime, più impegnative per il destino dell’intero Paese.
E poi c’è la considerazione madre di tutte le osservazioni: quando conterà la capacità di agire sul disagio sociale, che, nonostante i soldi del PNRR, di là dal produrre effetti immediati, continua a covare non solo sotto la cenere, ma anzi, è alimentato da abili soffiatori e mestatori? Le manifestazioni fasciste di sabato 9, pur seguite da giustificate e pronte contromanifestazioni, denotano una presenza (altro che ambigua, netta…!) di un consenso – per fortuna minoritario, ma troppo forte comunque – di una ideologia prepotente e autoritaria, terreno di cultura di fascismi, moderni e attrezzati, desiderosi del pugno di ferro. Pericolosi, in una sola parola.
Insomma: personalmente ritengo che, visto il quadro generale, non c’è da stare tranquilli all’ombra del motto “la democrazia è forte e vincerà contro i fascismi”. Anzi, la democrazia è – strutturalmente – debole, perché sottoposta a mille e mille pressioni: la distribuzione diffusa di poteri e contropoteri (perché questo è) non è accettata da chi il potere lo vorrebbe tutto per sé e senza controlli. Quindi va costantemente difesa, nei minimi particolari, senza tentennamenti.
Le scelte astensionistiche di gran parte dell’elettorato sono, come qualcuno scrive, “un’emergenza democratica”, perché denotano: sfiducia verso la politica, sfiducia verso le istituzioni, sfiducia verso la rappresentanza elettorale che dovrebbe fare gli interessi delle fasce più emarginate (poveri, disoccupati, donne senza lavoro, periferie).
Un combinato disposto che si accompagna ad altre considerazioni che meriterebbero una più ampia analisi. Ma che qui tratteggio in sintesi.
La ripresa del voto nelle periferie c’è ma è blanda, ancora debole e purtroppo anche contrassegnata da elementi contraddittori, si vedano i ballottaggi.
Il ricambio della classe dirigente è timido e spesso non corrisponde alla qualità dei soggetti scelti. Per assenza di candidate…
La tesi dell’ascolto delle esigenze degli elettori viene propugnata a voce, ma spesso tradita nei fatti, senza una continuità strutturale, all’ombra di una certa “sciatteria” politica dei rappresentanti, e anche per l’assenza di modelli strutturati di partecipazione, che vengono spesso condannati da giudizi critici sulla funzionalità, nel nome di un efficientismo che sbandiera “il pragmatismo” come unico discrimine per valutare la qualità dell’azione politica. I partiti sembrano condividere l’idea della coprogettazione e co-programmazione, ma poi, alla prova dei fatti, spesso si fanno titubanti e portano avanti strumenti e strategie incerte e inefficaci.
La trasparenza, l’onestà, la correttezza sono termini che spesso non significano nulla, anzi, sembrano allontanare l’elettore quando si ripercuote in concreto con una minore capacità di ottenere i benefici interessati. Si ha il coraggio di difenderli nei fatti, nonostante tutto?
I linguaggi usati per il dibattito politico (e quindi per la formazione del consenso) hanno fatto finalmente la tara a quel diluvio di discorsi di odio e dileggio che hanno caratterizzato l’era della “Bestia”, ma non sono stati per nulla accantonati definitivamente. Restano in vita ancora e non sotto traccia e producono i propri danni. Cambiamo registro?
Nei piccoli comuni, pur più alta la partecipazione alle urne, il voto sembra confluire a destra (con percentuali anche molto alte nei comuni del Nord-Est sopra i 15 mila abitanti). Secondo chi ha esaminato il voto, resta forte il coinvolgimento diretto dell’elettore che conosce personalmente i candidati. Non tacciamolo in maniera semplicistica come terreno di cultura del clientelismo, ma se ne tenga conto quando si parlerà di riforme della legge elettorale con conseguente allargamento dei collegi.
Infine: non dobbiamo dimenticare, noi che ci definiamo di sinistra, o di centro-sinistra (non è proprio la stessa cosa, ma per le dinamiche comunicative siamo molto simili), che gli elettori votano non solo animati da un sano orientamento basato su ragionamenti e scelte ponderate, ma anche per una visione che entusiasmi, trascini, faccia intravedere una speranza, e contribuisca a sentirsi parte di un processo per un orizzonte migliore.
Il grande Pablo Neruda, in occasione della consegna del suo Nobel nel 1971, usò uno splendido ossimoro: «devo dire agli uomini di buona volontà, ai lavoratori, ai poeti, che l’intero avvenire è racchiuso in quel verso di Rimbaud: solo con un’ardente pazienza conquisteremo la splendida città che darà luce, giustizia e dignità a tutti gli uomini».
Ecco, in qualche modo, la vicenda elettorale di Bologna, (a mio modesto avviso, la città italiana meglio amministrata), lo rappresenta. Sì, d’accordo, sarà il tradizionale civismo dei suoi cittadini a fecondare questa attitudine: ma ci sono fattori da tenere in considerazione: ampia alleanza delle forze progressiste e riformiste; volti giovani e presentabili per il rinnovo della classe dirigente, pratica lungimirante di ascolto e di co-programmazione che hanno reso i partiti (in particolare il PD) capace di vero ascolto e attenzione dell’elettorato (e non solo il suo, ormai già da tempo per nulla ritenuto – e giustamente – acquisito in maniera scontata). Ecco, sarà difficile replicare altrove il modello Bologna (sebbene anche Milano in qualche modo ci si avvicina). Ma perché non ritenere replicabili almeno quelle Buone pratiche? Con ardente pazienza, per la ricerca di una splendida città…
Vittorio Sammarco è giornalista, membro della redazione di C3dem-Costituzione, Concilio, Cittadinanza
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