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Sinodo: abusi di potere e abusi sessuali, le sfide “impossibili” per la Chiesa italiana

Sinodo: abusi di potere e abusi sessuali, le sfide “impossibili” per la Chiesa italiana

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 20/11/2021

40867 ROMA-ADISTA. Il Sinodo resta, per la Chiesa italiana, una sorta di medicina difficile da mandare giù. L’idea di aprire porte e finestre delle diocesi, di coinvolgere i laici nelle discussioni e nei processi decisionali, e soprattutto la prospettiva di dare il via a una discussione vera sulla crisi vissuta dal cattolicesimo in Italia, sembra spaventare una buona parte del corpo episcopale.

Timori che sono cresciuti con le notizie arrivate dalla Francia dove una commissione d’inchiesta promossa dalla stessa Chiesa transalpina (commissione Ciase) ha scoperchiato un bubbone mostruoso fatto di centinaia di migliaia di abusi sessuali su minori compiuti in gran parte da sacerdoti nell’arco di svariati decenni. Una realtà drammatica che ha indotto i vescovi francesi a prendere provvedimenti radicali in termini di risarcimento delle vittime, nonché in relazione alla vita interna delle parrocchie e delle diocesi. Cresce il peso specifico decisionale e di guida dei laici e fra questi delle donne, vengono introdotte norme per ottenere maggiore trasparenza nella gestione degli affari interni, il clericalismo viene messo in discussione non solo formalmente ma in diversi dei suoi aspetti concreti. Non solo: le drammatiche rivelazioni del rapporto Ciase, che mostrano il lato oscuro della Chiesa, sono collocate, dagli stessi vescovi francesi, in una prospettiva provvidenziale proprio grazie al sinodo che permetterà di avviare quel cammino di profondo rinnovamento di cui ha bisogno la Chiesa (qualcosa di simile sta avvenendo in Germania dove il sinodo sa promuovendo importanti istanze riformatrici; anche nel caso tedesco la spinta è venuta dalla presa di coscienza dello scandalo pedofilia).

E in Italia? Tutto tace, anche se non c’è motivo per pensare che le cose siano andate diversamente che in Francia o in altri Paesi in materia di abusi sessuali. Così nelle diocesi che hanno avviato i lavori del sinodo (che è doppio: quello della Chiesa universale indetto da papa Francesco sul tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione», e quello della Chiesa italiana), si parla soprattutto della sinodalità come metodo di lavoro e di vita delle comunità, si coltiva l’idea di una Chiesa che riattivi le antenne verso una società sentita come troppo lontana o indifferente, evitando quasi sempre di toccare i temi più critici. Non mancano tuttavia alcuni contributi interessanti come già segnalato nel numero 40 di Adista Notizie. Secondo Reinhard Demetz, capo dell’ufficio pastorale della diocesi di Bolzano, il sinodo si deve confrontare con due contesti molto concreti: «Il primo contesto è il mondo con le sue ferite. Siamo chiamati a metterci a servizio e rispondere assieme alle grandi sfide che l’umanità oggi si trova davanti. Il secondo contesto è il problema dell’abuso del potere e, ad esso collegato, le altre forme di abuso, che ci impediscono di metterci con efficacia a servizio gli uni degli altri». «In questo Sinodo – ha detto ancora Demetz inaugurando l’avvio del percorso nella sua diocesi insieme al vescovo Ivo Muser – affronteremo la questione del servizio e del potere. Chi prende le decisioni nella nostra Chiesa, nella parrocchia, nell'associazione, nella diocesi, nella Chiesa universale, su quali basi e con quale partecipazione?». «Gran parte del frutto di questo Sinodo – ha detto ancora il capo dell’Ufficio pastorale della diocesi di Bolzano – sarà nel fare se stesso: riusciremo a percorrere un cammino di ascolto che porti frutto? Perché ciò avvenga occorrono tutti: donne e uomini, anziani e giovani, tutti coloro che sono coinvolti nelle parrocchie e nelle associazioni e nella vita quotidiana, sacerdoti e diaconi, religiosi, il vescovo e anche la curia».

La Chiesa non è una mongolfiera

Mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena, vicepresidente della Cei e consultore del Sinodo dei vescovi in Vaticano, spiegava così, nella sua omelia di inaugurazione, il significato del Sinodo: «Di che cosa si tratta? Semplicemente si tratta di essere Chiesa in cammino con tutte le donne e gli uomini del nostro tempo». «La Chiesa infatti – ha aggiunto – non è una mongolfiera che sorvola la storia, la Chiesa è fatta dalle persone normali, da noi, che siamo cittadini di questo mondo, da quelle persone che guardano nella fede a Gesù come loro salvatore; da donne e uomini inseriti pienamente nella storia, nella famiglia, nel lavoro, nella società, che vedono in Cristo la loro speranza e la testimoniano con gioia agli amici e ai conoscenti». «Fare Sinodo – ha quindi osservato il vicepresidente della Cei – non vorrà dire moltiplicare tante iniziative: vorrà dire accettare di essere lievito per creare dei momenti, delle occasioni, dei luoghi di maggior ascolto di tutti coloro che desiderano raccontare, che desiderano esprimere ciò che hanno nel cuore in questo tempo così difficile per tutti (un giorno forse lo chiameremo: il tempo della pandemia), in questo tempo che ha depositato nel cuore di tutti un insieme di fatiche, risorse, speranze, desideri, sogni, sofferenze, che devono trovare luoghi di comunicazione e di ascolto». «E la Chiesa, cioè noi – ha osservato ancora il vescovo – siamo chiamati ad aprire bene le orecchie in questi primi anni del cammino sinodale, a essere più attenti al grido a volte silenzioso di chi sta vivendo situazioni di fragilità, ma anche al grido di gioia di chi ha delle risorse da mettere a disposizione, di chi vuole costruire un mondo più umano».

Sugli aspetti giuridici e la natura dei processi decisionali interni al sinodo, si è soffermato invece don Giacomo Canobbio in un intervento su Dialoghi, trimestrale culturale promosso dall’Azione Cattolica italiana. Canobbio è docente di Teologia sistematica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e direttore dell’Accademia cattolica di Brescia. «Osservando le trasformazioni che il sinodo dei vescovi ha conosciuto, dalla sua costituzione da parte di Paolo VI il 15 settembre 1965 alla forma delineata da papa Francesco nella Costituzione Episcopalis communio (15 settembre 2018) e i dibattiti teologici che le hanno accompagnate – ha affermato il teologo –, si può dire che, pur senza negare il valore della suprema autorità ecclesiale, il sinodo dei vescovi non si presenta più come organo consultivo del papa, bensì come espressione della corresponsabilità di tutti i fedeli nell’orientare la vita della Chiesa».

«La stessa notazione – aggiunge Canobbio – vale anche per i sinodi diocesani. Le forme assunte da questi in Italia negli ultimi decenni sono diverse sia per finalità sia per organizzazione: si va dalla indicazione di linee generali per la vita di una Chiesa alla scelta di un argomento particolare. Se si pensa a un sinodo della Chiesa in Italia che raccolga i risultati dei sinodi delle Chiese locali, chi stabilisce la forma che questi dovranno assumere? Come sarà costituita l’assemblea sinodale? Chi deciderà in riferimento a queste due questioni?». Interrogativi che rompono un certo formalismo retorico, condito dal refrain della Chiesa in ascolto della società, che ha segnato un po’ ovunque l’avvio del cammino sinodale nelle diocesi della Penisola.

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