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L'affaire Aupetit e il nodo del celibato obbligatorio

L'affaire Aupetit e il nodo del celibato obbligatorio

Il settantenne Michel Aupetit, arcivescovo di Parigi dal 2017, è stato travolto da una bufera mediatica in seguito alla pubblicazione, da parte del settimanale francese Le Point, di un reportage sulla sua vita privata e sulla gestione dell’arcidiocesi, da molti considerata centralista e autoritaria, che avrebbe creato malumore nel clero locale e anche importanti dimissioni ai vertici (v. qui e qui). Il servizio del 22 novembre scorso, citando come prova una email dell’epoca, quando cioè l’attuale arcivescovo era ancora vicario generale, accusava il monsignore di aver intrattenuto una relazione sentimentale con una donna nel 2012. Una vicenda dai contorni ancora non definiti, di nessun rilevo penale, ma gettata in pasto alla cronaca nazionale perché considerata “scandalosa” alla luce delle regole della Chiesa cattolica di Roma su celibato e castità.

Classe ‘51, nato a Versailles, di origini modeste, Michel Aupetit è stato ordinato sacerdote all’età di 44 anni. Una vocazione tardiva la sua: prima della decisione di indossare l’abito e intraprendere la carriera ecclesiastica, l’attuale arcivescovo è stato medico di famiglia per circa 11 anni, esperto tra l’altro di questioni bioetiche. Una parabola professionale e umana evidentemente gradita a papa Francesco, che lo ha scelto alla guida dell’arcidiocesi parigina scartando un'affollata platea di candidati di alto profilo.

Nei giorni che hanno seguito lo “scandalo”, il quotidiano Le Figaro ha diffuso la notizia di una lettera che lo stesso Aupetit ha inviato papa Francesco per «rimettere nelle sue mani» ogni decisione sul suo incarico. Non vere e proprie “dimissioni”, come hanno riportato i media francesi e italiani, ma un atto di fiducia e obbedienza nei confronti del papa.

Il 30 novembre, l’agenzia Sir dà notizia del primo intervento pubblico pronunciato dal monsignore dopo il servizio di Le Point, con un messaggio audio nell’ambito del consueto appuntamento settimanale con i fedeli della sua diocesi. L’articolo, ha detto Aupetit, «è stato uno choc». Dopo aver respinto al mittente le accuse legate alla gestione della «governance» diocesana, passa al secondo nodo spinoso del dossier: «Non ho mai vissuto una doppia vita come lascia intendere l’articolo. Riconosco, come ho già detto, di aver gestito male la situazione con una persona che si è manifestata a più riprese nei miei confronti. Questo errore l’ho confidato al mio direttore spirituale e le autorità ecclesiastiche ne sono state messe al corrente». Ambiguità dunque, ha confermato, che non si sono mai tradotte in una reale rottura del voto del celibato.

La doppia morale della Chiesa cattolica

«Per un problema disciplinare legato a questa relazione con una donna – accusa Anne Soupa (cofondatrice del Comité de la Jupe, nota per essersi candidata vescova nel 2020 a Lione al posto del card. Philippe Barbarin) in un’intervista del 27 novembre scorso a France Inter – un arcivescovo si dimette in tre giorni. E per crimini commessi contro i bambini, nessun vescovo si è dimesso, nonostante l’appello alle dimissioni» dell’episcopato francese, lanciato da personalità come Christine Pedotti (cofondatrice del Comité de la Jupe) e François Devaux (vittima di abusi e fondatore dell'associazione La Parole Libérée) dopo la pubblicazione del Rapporto Sauvé, che ha portato alla luce oltre 330mila casi di abusi sessuali perpetrati su minori dal clero francese negli ultimi ottant’anni.

Entrando poi nel merito della questione, la teologa femminista punta il dito contro la «sessuofobia nell’istituzione cattolica» e in particolare contro l’istituto del celibato, incomprensibile per numerosi fedeli cattolici, un vero «martirio per alcuni sacerdoti» ma anche un pesante limite per la Chiesa stessa che con questa regola obsoleta si priva del contributo di numerosi talenti.

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