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La crisi in Kazakistan e le armi italiane

La crisi in Kazakistan e le armi italiane

La violenta repressione militare contro la popolazione civile kazaka, che protestava contro gli aumenti del prezzo del gas, dovrebbe indurre il governo italiano a sospendere le esportazioni di armi e munizioni destinate al Paese e ogni altro accordo di tipo militare. Di questo sono convinte la Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD) e l’Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (Opal) di Brescia, associazioni pacifiste e disarmiste che ricordano, nella loro nota diramata ieri, la Legge 185 del 1990, «che regolamenta la materia vieta espressamente l'esportazione di armi e materiali militari a Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani».

Riferiscono le associazioni che nel solo 2020 «il Kazakistan ha acquistato munizioni Fiocchi (32.000 cartucce calibro 5.56 e 4.015 cartucce cal. 12 per canna liscia) e armi per uso militare dalla Beretta (28 pistole mitragliatrici PMX calibro 9x19 con numerose parti di ricambio e caricatori supplementari)». Più di 465mila dollari di armi e munizioni, finite probabilmente negli arsenali delle forze dell’ordine e di polizia kazake, responsabili in questi giorni di numerose morti tra i civili.

RIPD e Opal Brescia hanno anche ricordato che gli accordi di cooperazione militare, intensificati nel corso degli ultimi anni, «consentono una maggiore agibilità all'industria delle armi, possano costituire uno strumento che favorisce l'export di natura militare indebolendo sia il controllo sugli accordi di vendita sia il quadro di riferimento dei criteri di esclusione previsti dalla Legge. Per tali motivi, ed in particolare nelle situazioni problematiche come quella di questi giorni in Kazakistan, sarebbe necessario rivederne termini e meccanismi, oltre che la portata di applicazione nel contesto di controllo del commercio internazionale di armamenti previsto anche dal Trattato ATT».

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