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Don Cannavera dal ministro Cartabia: “i minori vanno rieducati nelle comunità, non chiusi in carcere”

Don Cannavera dal ministro Cartabia: “i minori vanno rieducati nelle comunità, non chiusi in carcere”

Tratto da: Adista Notizie n° 5 del 12/02/2022

40957 ROMA-ADISTA. C’è una alternativa al carcere, soprattutto per i minori che hanno commesso reati? E questa alternativa può costituire una valida soluzione per la riabilitazione di chi ha commesso un reato? Per parlare di questo, don Ettore Cannavera, prete sardo da anni impegnato sui temi della giustizia e dei minori, assieme a Maurizio Turco e Irene Testa (rispettivamente segretario e tesoriere del Partito Radicale) è stato ricevuto il 27 gennaio scorso dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

L'incontro con la ministra si è centrato soprattutto sul tema delle carceri minorili. Come già prevede l’attuale normativa, è possibile scontare la pena anche attraverso misure alternative al carcere. Il senso comune, spesso cavalcato dalle destre, ritiene però sempre preferibile la scelta del carcere, con il minor numero di benefici possibili per il detenuto. Eppure le recidive per chi è condannato a pene detentive sono enormemente superiori rispetto a quelle di coloro ai quali è data la possibilità di fare esperienze diverse dalla cella. Una differenza che tra il 70% circa di recidiva scende a percentuali che vanno dal 4 all’8%. Don Ettore, a partire dalla sua esperienza lunga ormai 25 anni in comunità – la Collina di Serdiana, provincia di Cagliari, dove ospita e fa studiare e lavorare adulti e ragazzi tra i 14 e i 18 anni, su cui gravano sentenze per reati anche gravi (come omicidi e sequestri di persona) – ha chiesto al ministro una riflessione sulla opportunità di promuovere una riforma della giustizia che preveda anche la progressiva abolizione del carcere minorile; e comunque che incentivi la destinazione dei ragazzi che delinquono nelle comunità. Sarebbe un modo, ha spiegato don Ettore, per dare piena attuazione all’art. 27 della Costituzione, che dice esplicitamente che le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato». Inoltre, ha spiegato don Ettore consegnando alla ministra un breve memorandum, i costi quotidiani per la gestione in carcere di un detenuto sono altissimi, circa 700 euro per detenuto (che servono, oltre al suo mantenimento, alle spese per la gestione delle carceri e del personale che vi lavora, tra cui circa 1.400 agenti di polizia penitenziaria, circa 5 agenti per ogni recluso). Mentre i detenuti destinati alla comunità costano allo Stato circa 120€ al giorno. Assieme al problema del carcere minorile la delegazione ha affrontato con il ministro anche il problema delle Rems (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, le strutture che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari), che dovrebbero esistere in ogni regione, ma che non riescono ad accogliere tutte le persone che vi dovrebbero essere destinate. Il risultato è che all'interno delle carceri italiane sono detenute molte persone con problemi psichiatrici, che non possono accedere alle Rems perché non ci sono posti disponibili, ma che non possono essere curati all'interno di un carcere. Tra l’altro, il 25 gennaio scorso la Corte Europea di Strasburgo ha condannato l’Italia per aver trattenuto illecitamente in carcere per più di due anni un cittadino italiano con problemi psichici.

In una lettera a papa Francesco inviata circa un anno fa, scritta per sensibilizzare il pontefice sui temi del carcere e della detenzione di minori, don Ettore Cannavera scriveva: «Tanti anni fa, giovane sacerdote, inquieto sulla mia missione sacerdotale, sono entrato in un carcere, quello minorile di Cagliari, quasi per caso – io credo favorito dalla Divina Provvidenza – e da quel momento non ne sono più uscito. Perché tanta è stata la pena per i poverini rinchiusi là dentro, privati non solo della libertà ma anche della dignità di essere umano – in completa contraddizione col nostro credo di cristiani – che ho deciso di dedicare loro tutto me stesso. È la mia missione».

Nel corso degli anni don Ettore raccontava di aver promosso la costituzione di cooperative e associazioni di volontariato; lavorato per tentare di alleviare il peso insopportabile della privazione della libertà. Infine, assieme ai tanti amici, nel 1994 ha fondato la Collina. «Da venticinque anni accogliamo detenuti colpevoli di gravi reati. Se l'autorità giudiziaria consente loro di usufruire di misure sostitutive o alternative alla detenzione e debbano completare un programma rieducativo e riabilitativo già avviato presso gli istituti di pena, scontano la pena da noi. In campagna, alla periferia di un piccolo paese del cagliaritano (Serdiana), sperimentano una vita comunitaria di lavoro e di serenità. E di cultura. Ci educhiamo tutti assieme: loro imparano a convivere civilmente col prossimo, noi impariamo ad accogliere chi ha sbagliato e a scommettere sulla loro decisione di non sbagliare ulteriormente. Chi termina di scontare la pena da noi, in comunità, smette di delinquere dopo la fine della condanna, al contrario di chi sconta la pena in carcere che ricomincia a delinquere una volta uscito. Noi diamo al carcerato il diritto alla rieducazione, diritto che la nostra stessa Costituzione garantisce (art.27)».

Al papa don Ettore chiedeva (finora senza aver ricevuto risposta) di istituire una Giornata del Carcerato, affinché la Chiesa manifestasse l’attenzione e la sollecitudine della comunità cristiana verso questa categoria sociale, spesso dimenticata anche dai credenti: «Perché noi cristiani, condizionati dalla cultura dominante, siamo disponibili ad aiutare il migrante, il povero, il malato... ma non chi finisce in carcere, come se la sua "devianza" fosse totalmente attribuibile a una sua responsabilità».

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