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La guerra inquina

La guerra inquina

Tratto da: Adista Notizie n° 10 del 19/03/2022

Come se non bastassero la crisi eco-climatica prossima al punto di non ritorno, la crisi economicosociale che ha amplificato drammaticamente le diseguaglianze fra le persone, la crisi sanitaria che ha stravolto vite e relazioni sociali, è tornata la guerra a scandire la nostra quotidianità.

Una guerra tremenda, come tutte le guerre che attraversano il pianeta, questa volta scatenata dal governo Putin e dall’esercito russo con l’invasione dell’Ucraina. Una guerra che, nell’arco di due settimane ha già provocato migliaia di morti, terrore e devastazione, mentre due milioni di persone stanno disperatamente fuggendo dal proprio Paese.

La guerra inquina. Perché uccide, ferisce e spaventa persone, perché distrugge territori abitati e natura, perché polarizza relazioni sociali ed espropria democrazia. La guerra è fossile. Perché riporta ad un modo primitivo di gestire le tensioni politiche e sociali, perché brucia le migliori energie e rende tutti più soli.

Come diceva Bertolt Brecht: «Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori faceva la fame la povera gente ugualmente». E gli effetti di quest’ultima guerra sono già evidenti, mentre il conflitto è purtroppo ancora in corso.

Il primo effetto è quello di rimuovere la situazione precedente e i problemi che evidenziava. Accantonata l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia da Covid19, è stata riposta nell’armadio anche tutta la discussione sulla crisi eco-climatica, che dovrebbe costituire l’unico scenario da avere davanti, se ancora pensiamo si possa e voglia garantire un futuro alla vita umana sul pianeta. E se, prima della guerra, il confronto/scontro era tra chi, come il governo italiano, parlava di transizione ecologica ma riproponeva tutte le scelte che hanno portato alla crisi eco-climatica, e chi, come la nuova generazione ecologista e i movimenti dal basso, rivendicava un radicale cambio di rotta, con lo scoppio del conflitto si è ritornati indietro di quarant’anni.

Non c’è più nessuna transizione ecologica all’orizzonte, per quanto anestetizzata nel greenwashing: come ha solennemente affermato il presidente del Consiglio Draghi in Parlamento, si danno nuovi impulsi al riarmo e alle spese militari, si riaprono le centrali a carbone e si aumenta esponenzialmente la produzione nazionale di gas. Fino a guardare con struggente nostalgia al nucleare, che, nel nostro Paese, è difficilmente riproponibile, dopo ben due referendum popolari che lo hanno bocciato.

D’altronde, se non è stato colto nessuno degli insegnamenti profondi che la pandemia da Covid19 ha impartito sulla fragilità delle esistenze, sulla stretta interdipendenza tra loro e con l’ambiente nel quale vivono, è certo che con la guerra si rischia di seppellirne ogni ulteriore possibilità.

Eppure dovrebbe essere ancor più chiara la strada da intraprendere, visto che la guerra ha reso evidente la nostra totale dipendenza energetica da altri Paesi e, nel caso specifico, dalla Russia, portando il nostro governo al paradosso di aver deciso di schierarsi con l’Ucraina, fino all’inaccettabile invio di armi, ma di continuare di fatto a finanziare la guerra della Russia, attraverso l’acquisto del gas.

Ed ora che il conflitto si inasprisce, ci troviamo con i ministri che viaggiano fra Algeria e Qatar alla ricerca di nuovo gas per diminuire la dipendenza da quello fornito dalla Russia.

Nessuna scelta di abbandono di tutte le produzioni di energia fossile e nessun dietro-front sugli investimenti in mega-infrastrutture inquinanti (trivellazioni, gasdotti etc.) per approdare a ciò che sarebbe urgente e necessario: un altro modello basato sul risparmio energetico, sulle fonti rinnovabili e sull’autoproduzione diffusa dell’energia necessaria attraverso le comunità energetiche. Ancora una volta, va colto qual è il nodo di fondo: se debba essere ancora il mercato l’unico regolatore della società e il profitto il faro delle scelte generali o se finalmente possiamo approdare ad una società del prendersi cura – di sé, degli altri e delle altre, del vivente e della natura – avendo come faro la giustizia sociale, climatica e di genere.

Nel primo caso, continueremo ad avere un mondo diviso fra vite degne e vite da scarto e una natura vista come oggetto da predare. Nel secondo caso, capiremo di essere parte della natura e potremo finalmente accedere a un futuro condiviso.

Marco Bersani è Socio fondatore di Attac Italia (movimento per una nuova idea di economia pubblica e partecipativa), è stato tra i promotori del Forum italiano dei Movimenti per l'Acqua e della campagna “Stop Ttip Italia”

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