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Ucraina. Un vaso di coccio tra due imperialismi

Ucraina. Un vaso di coccio tra due imperialismi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 02/04/2022

Giorni addietro, parlando con un amico del dramma della guerra sciagurata scatenata da Putin contro l’Ucraina, lo sentii fare questa triste considerazione: «Con questa guerra anche noi europei siamo entrati nella normalità di un mondo travagliato quasi ovunque da scontri armati. Ormai la guerra tocca da vicino anche noi che ci sentivamo esentati da questa tragedia».

Quando papa Francesco cominciò a parlare di una terza guerra mondiale a pezzi pensavamo si riferisse a qualcosa di lontano da noi. Ci sbagliavamo. In un mondo globalizzato ogni avvenimento porta conseguenze anche altrove, come la deforestazione dell’Amazzonia. Ora la guerra ce l’abbiamo in casa.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica fior di analisti politici e di economisti teorizzarono un futuro in cui il modello occidentale sarebbe diventato universale, unico. A pochi anni di distanza queste previsioni rivelarono tutta la loro pochezza. Il conflitto globale Est-Ovest dell’epoca della guerra fredda fu sostituito da innumerevoli conflitti locali di tipo economico, culturale, religioso, nazionale. Se fino al crollo del muro di Berlino si era in presenza di due imperialismi trattenuti dal pericolo di una guerra nucleare, oggi ne abbiamo tre: quello americano di sempre, quello russo di ritorno, quello cinese emergente.

La fine ingloriosa del “socialismo reale” volle dire per la Russia perdere il controllo dei Paesi dell’Europa dell’Est e subire lo smembramento di immensi territori di cultura islamica dell’Asia centrale. Si passò a un capitalismo in forma autoritaria di cui Putin, oggi, è il massimo rappresentante. Il contrasto con l’Occidente non è più basato sul vecchio scontro capitalismo-comunismo, ma sulla pretesa di ciascuno dei contendenti di allargare la propria sfera di influenza in una logica nazionalistica e di potere.

Dopo la batosta dell’‘89, nel corso di tre decenni la Russia si è risollevata, soprattutto sul piano militare. Putin, memore di quello che era stata non solo l’Unione Sovietica, ma addirittura la Russia zarista che aveva creato lo Stato più grande del mondo, dalla Polonia al Pacifico, cerca di allargare la sua zona di influenza verso Ovest e verso Sud, nell’area del Mar Nero e del Mediterraneo. E qui si scontra con la NATO e con gli USA, che nella NATO hanno il ruolo guida.

Putin sostiene che la Russia non può permettersi di avere alle frontiere Paesi che fanno parte di un’alleanza ostile. Non c’è dubbio che questa pretesa limiterebbe la libertà di scelta dei popoli vicini, non solo dell’Ucraina; ma è una pretesa che si spiega secondo la logica di una politica di potenza, contraria alla pacifica convivenza fra i popoli; la stessa degli Usa e della NATO. Ma che senso ha la NATO oggi, quando da più di tre decenni si è dissolto il Patto di Varsavia, se non quello di garantire gli interessi economici e geopolitici degli USA e, in senso lato, dell’Occidente? L’invasione dell’Ucraina da parte dei russi è intollerabile, perché ogni guerra lo è. Auspichiamo che si arrivi al più presto a una pace che garantisca per il futuro la libertà dell’Ucraina. Ma anche se ciò avvenisse, i problemi che travagliano il mondo resterebbero tutti sul tappeto.

Per decenni, durante la guerra fredda, i leader dell’Occidente hanno cercato di convincerci che eravamo dalla parte del bene e che il male (dittature, violenze, mancanza di libertà) era sempre dall’altra. Ma se nel mondo del “socialismo reale” di ieri il male era presente, come oggi nella Russia di Putin, lo è anche nel mondo occidentale. La differenza tra USA e URSS nel modo di comportarsi con i popoli “disobbedienti” all’interno della propria sfera di influenza riguardava non l’uso della forza, ma “come” usarla: sempre immediatamente brutale l’intervento sovietico, caratterizzato da invasioni militari (Ungheria 1956 o Cecoslovacchia 1968); parimenti violento, ma più articolato, quello americano, che è sempre passato, a seconda delle circostanze e dell’utilità del momento, dalle pressioni economiche alla destabilizzazione con guerre di “bassa intensità”, alla realizzazione di golpe militari all’invasione vera e propria, come nel caso del Vietnam. L’esempio del Cile di Salvador Allende è emblematico. Di fronte alle scelte economiche e politiche del Frente Popular del presidente socialista cileno, che colpivano gli interessi del grande capitale e delle multinazionali americane, la Casa Bianca ha cominciato a fare pressioni di tipo economico; poi è passata ad atti di sabotaggio al fine di destabilizzare il Paese. Non avendo ottenuto il successo sperato, quando tutti i sondaggi davano Allende come sicuro vincitore nelle elezioni politiche del 1973, è ricorsa all’atto estremo di promuovere un golpe militare.

Ho letto recentemente Il metodo Giacarta di Vincent Bevins, giornalista del Washington Post, dove si racconta «la crociata anticomunista di Washington e il programma di omicidi di massa che hanno plasmato il nostro mondo». Bevins non è un nostalgico dell’URSS. Se accenna solo agli orrori del “comunismo reale”, da quello sovietico a quello cinese, lo fa, afferma, perché in Occidente sono ben conosciuti. C’è poco da aggiungere. Ciò di cui l’opinione pubblica occidentale ha scarsa percezione, sono le responsabilità della Casa Bianca nell’aver per lo meno contribuito a forgiare un mondo dove la guerra è lo strumento naturale per difendere gli interessi dei ceti privilegiati e delle multinazionali presenti in ogni Paese del mondo, e al tempo stesso la supremazia dell’America.

I casi di cui parla l’autore (Sud-Est asiatico e America Latina) sono in gran parte noti, ma fa veramente impressione metterli tutti in fila e individuare il nesso che li lega. Bevins parte dai fatti dell’Indonesia, a metà anni ‘60, quando venne perpetrato un massacro a sangue freddo, dato che non c’era guerra civile in corso, con centinaia di migliaia di comunisti (o presunti tali) vittime di un golpe militare voluto dal Pentagono al fine di fermare l’avanzata del comunismo nel Sud-Est asiatico. Il “Metodo Giacarta” si rivelò così efficace da essere preso come modello in tante altre aree del mondo e in particolare in molti Paesi dell’America Latina.

Con l’invasione dell’Ucraina, Putin ha fatto unregalo alla Nato. La politica estera Usa negli ultimi vent’anni ha dato una pessima prova di sé. Dove era convinta di risolvere con la forza (islamismo violento di Bin Laden e poi dell’Isis) ha generato disastri con milioni di morti nelle sciagurate guerre in Iraq e in Afghanistan, e non solo. Ha provocato guerre per “portare la libertà” e abbattere dittature, lasciando quei popoli in una situazione peggiore di prima. Mai la NATO era caduta così in basso. Oggi con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia la NATO si presenta invece come la paladina di un Paese libero ingiustamente aggredito. Le sue quotazioni sono risalite. Un bello smacco per noi che rifiutiamo le ragioni della guerra, di ogni guerra.

Come sostiene p. Zanotelli, non è con le alleanze militari che si difende la libertà e la democrazia. Ma oggi non siamo in molti a pensare così e recuperare il tempo perduto per far prevalere le ragioni della pace sarà molto, ma molto duro.

Bruno D'Avanzo è membro del Centro studi e iniziative America Latina del Circolo Vie Nuove di Firenze

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza

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