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Gesù e Paolo: continuità o discontinuità?

Gesù e Paolo: continuità o discontinuità?

Tratto da: Adista Documenti n° 14 del 16/04/2022

Da 250 anni circa, a partire cioè da H. Reimarus, alla fine del XVIII Secolo, si sta discutendo tra gli studiosi sul Gesù storico. La ricerca è passata in questi 250 anni attraverso tre fasi. L’ultima, ancora attualmente in corso, è arrivata a questi risultati, eccone alcuni: la riscoperta della pluralità del giudaismo palestinese nel I sec. d.C. (E. P. Sanders); l’ebraicità di Gesù (la seconda ricerca, con il criterio della diversità, faceva di Gesù una persona sradicata dal suo ambiente di origine e senza alcun legame con la comunità ebraica di Nazareth in cui viveva); la memoria storica dei discepoli di Gesù e della comunità cristiana delle origini; Gesù con la sua predicazione del Regno di Dio e delle beatitudini presenta in pratica una rivoluzione sociale non violenta, un ordine sociale diverso da quello del suo tempo (H. Horsley); Gesù si presenta come un cinico e propone una società egualitaria (J. D. Crossan); Gesù è un predicatore carismatico itinerante (G. Theissen); per la ricerca ebraica attuale, Gesù non è più il disprezzato come nelle toledot medievali, ma il Gesù riscoperto e appartenente al popolo ebraico, ecc.

Si tratta del Gesù della storia, ogni ricercatore può scegliere quella interpretazione che più lo convince, come avviene per ogni storiografia. Per il Cristo della fede non è così, anche se tra storia e fede c’è un indubbio legame, come scrive G. Fabris: con la ricerca del Gesù della storia «si è realizzato un patrimonio di dati a livello storico e linguistico che rende possibile una ricerca sulla figura e l’opera di Gesù con nuovi e validi strumenti. La fede in Gesù Cristo, anche se non dipende dalla ricerca storiografica, non può prescindere da un confronto serio e criticamente fondato con l’azione, la parola e le scelte storiche di Gesù proclamato Cristo e Signore» (R. Fabris, Postfazione, in G. K?mmel, Il Nuovo Testamento. Storia dell’indagine scientifica sul problema neotestamentario, EDB, Bologna 2010) da parte di coloro che si sentono cristiani.

Per il Cristo della fede esiste un’entità specifica che è il kerygma sorto nelle comunità cristiane del I Sec. d.C. da cui il credente di oggi non può prescindere, come invece avviene nella ricerca sul Gesù della storia. Il kerygma cristiano è contenuto nelle più antiche confessioni di fede che troviamo soprattutto nelle lettere autentiche dell’apostolo Paolo (1Cor 1,20-25; 2,1-5; 11,23-26; 15,1-8; 2Cor 5,18-21; Fil 2,6- 11; Rm 1,1-7; 1,16-17; 3,21- 26; 6,8-11; 10,9-10). Una delle più note e più importanti di queste confessioni è l’inno a Cristo di Fil 2,6-11: «Egli era come Dio ma non conservò gelosamente il suo essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto; diventò come un servo, fu uomo tra gli uomini e visse conosciuto come uno di loro. Abbassò sé stesso, fu obbediente fino alla morte, alla morte di croce. Perciò Dio lo ha innalzato sopra tutte le cose e gli ha dato il nome più grande. Perché in onore di Gesù, in cielo, in terra e sotto terra, ognuno pieghi le ginocchia, e per la gloria di Dio Padre, ogni lingua proclami: Gesù Cristo è il Signore».

Le più antiche confessioni di fede citate sopra, rappresentano la fede di Paolo e dei primi cristiani. Come è noto, Paolo fu duramente contestato dai giudeo-cristiani di Gerusalemme per la Legge ebraica, ma non ebbe alcuna contestazione da parte di nessuna comunità del I secolo sulle più antiche confessioni di fede citate sopra. Questa era la fede dei primi cristiani, questa è la fede di coloro che oggi si sentono cristiani. Quando Paolo va a Gerusalemme per la seconda volta in compagnia di Barnaba, espone a Giacomo, il fratello del Signore, a Pietro e a Giovanni il Vangelo che lui annunciava; questi, ritenuti le “colonne” della Chiesa, «diedero a me e a Barnaba la destra in segno di comunione» (Gal 2,9). È la testimonianza più importante dell’ortodossia di Paolo: non gli avrebbero dato la mano se nella sua predicazione ci fosse stato qualcosa di pagano, di ellenistico o delle religioni misteriche come diversi critici tedeschi del XIX Secolo hanno attribuito a lui.

Paolo conferma questa ortodossia nelle sue lettere: «A voi ho trasmesso anzitutto quello che anch’io ho ricevuto» (1Cor 15,3); «Io ho ricevuto dal Signore quello che anche a mia volta vi ho tramandato» (1Cor 11,23). L’apostolo rimprovera i Corinzi che sono disposti ad accettare un Vangelo diverso da quello che egli aveva loro predicato (2Cor 11,4). In Rm 10,16 scrive: «Non tutti hanno obbedito al Vangelo»; quale Vangelo? Ovviamente, quello di Gesù Cristo. «Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma ad annunciare il Vangelo, non con sapienza di parola, perché non venga resa vana la croce di Cristo» (1Cor 1,17). Queste ed altre affermazioni che troviamo sul Vangelo nelle sue lettere (1Ts 2,4; Rm 15,16; 16,21; 1Cor 2,2; 2,16; 4,15; 9,16-17; 9,23) fino a Gal 1,8 («Se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema») mostrano come Paolo fosse pienamente cosciente che il Vangelo che aveva annunciato era quello di Gesù Cristo. D’altra parte quando Paolo ha convertito i Tessalonicesi, i Galati, i Filippesi e i Corinzi, è ovvio che avesse detto loro chi era Gesù, cosa lui aveva detto e fatto; le lettere alle sue comunità cristiane, come è noto, hanno un carattere occasionale e presuppongono la sua antecedente evangelizzazione.

Ciò che Paolo scrive in Fil 3,8-9 esclude ogni influsso ellenistico nel suo pensiero: la sua vita passata nel giudaismo è stata una perdita di fronte alla «sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura (skubala in greco, cioè “merda”) per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui, avendo come mia giustizia, non quella derivante dalla Legge, ma quella derivante dalla fede in Cristo» (Fil 3,8-9).

In maniera più specifica: qual è il rapporto tra il messaggio del Gesù storico e il kerygma dei primi cristiani e dell’apostolo Paolo? Per rispondere a questa domanda occorre tener presente, come fa notare R. Penna, che tra Gesù e Paolo, non c’è il vuoto, ma ci sono le prime comunità cristiane, soprattutto le comunità di Damasco e di Antiochia dove Paolo si è formato come cristiano accanto a Barnaba (R. Penna, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neotestamentaria. 2 Gli sviluppi, S. Paolo, Cinisello Balsamo 2003). È la primitiva Chiesa siro-palestinese «a fare da mediatrice tra lui e Gesù; da qui gli provengono i tratti fondamentali della sua fede cristiana, o almeno è nel suo seno che egli ha avuto la possibilità di formulare il contenuto della nuova fede» (R. Penna): fede nella preesistenza di Cristo, nella sua divinità, nella sua morte salvifica e nella sua risurrezione, come risulta dalle più antiche confessioni di fede citate sopra.

È dopo la risurrezione di Gesù che i discepoli capirono chi era lui (la testimonianza di Paolo sulla risurrezione di Gesù in 1Cor 15,3-8 è fondamentale): la cristologia implicita del Gesù storico divenne cristologia esplicita del Cristo della fede. Già dal 1857 il noto studioso tedesco A. Ritsch così sintetizzava il rapporto tra Gesù, gli apostoli e Paolo: «Siamo ben lontani dal presupporre un insondabile contrasto di fondo tra Paolo e gli altri primi apostoli. Se ciò fosse stato vero, le due parti non avrebbero potuto avere quella storia comune che invece hanno avuto, secondo documenti che nessuno ha posto in discussione. Noi non negheremo che tra le due correnti vi sia stato un contrasto di ordine pratico, ma troviamo che i limiti di esso siano tanto ristretti che, alla fine, l’essenziale concordanza sulle principali idee guida divulgate da Gesù ne riceva persino un più chiaro risalto» (Cit in K?mmel, Il Nuovo Testamento. Storia dell’indagine scientifica sul problema neotestamentario). Anche G. Barbaglio scrive che Paolo «ha ridefinito con il suo argomentare intuitivo e deduttivo il Vangelo tradizionale delle prime comunità cristiane... Un Vangelo contrassegnato dalle situazioni concrete in cui versavano i destinatari delle lettere... Per questo un Vangelo da lui variamente ridefinito: annuncio dell’elezione divina di incirconcisi, della libertà dei gentili, della croce in cui anche si specchia il suo autentico evangelista Paolo, dell’apocalisse, dell’imparziale giustizia divina, di vita nuova e fondata speranza per i giustificati, della fedeltà inconcussa del Dio di Gesù ad Israele, di Cristo risuscitato come primizia e della sua morte salvifica e oblativa, infine di liberazione per una vita di libertà» (G. Barbaglio, Il pensare dell’apostolo Paolo, EDB, Bologna 2004).

Paolo non è dunque il fondatore del cristianesimo come diceva W. Wrede nel 1904 nel suo libro Paulus. Tra Gesù, gli apostoli, le prime comunità cristiane e Paolo c’è dunque, dal mio punto di vista, per i motivi addotti sopra, una essenziale continuità.

Ermanno Arrigoni è laureato in Filosofia, dottorato in Teologia alla Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale di Milano, Ermanno Arrigoni ha insegnato Storia e Filosofia al liceo.

*Immagine presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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