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Papa Giacomo

Papa Giacomo

Tratto da: Adista Notizie n° 20 del 04/06/2022

È il mattino di Pasqua del 2035.

Sul balcone c’è il papa per la tradizionale benedizione Ubi et Orbi. Ma c’è poco di tradizionale in questa benedizione pasquale. Innanzitutto insieme al papa cattolico, ci sono i capi e i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane, compreso il nuovo patriarca di tutte le Russie Alessio, che testimoniano i tanti passi avanti fatti nel cammino ecumenico; ormai, dopo secoli di controversie, la data della Pasqua è unica per tutti i cristiani (in realtà ci sono piccoli gruppi, soprattutto tra gli ortodossi e i cattolici, che fanno resistenza); spiccano tra i vescovi cattolici presenti, le prime donne consacrate lo scorso anno dal papa, mentre gli ortodossi non hanno ancora deciso, ma la discussione è aperta e il confronto fraterno.

Nemmeno il luogo è tradizionale. Il rito si tiene a Gerusalemme, che ha ospitato lo storico incontro ecumenico durante la Settimana Santa, che ha visto le liturgie più sacre concelebrate insieme dai leader religiosi. In realtà, il papa cattolico, già da tre anni, ha abbandonato il balcone di san Pietro, la finestra del palazzo apostolico e i privilegi legati al suo essere Capo di Stato, e ha intrapreso un pellegrinaggio tra le varie comunità cristiane “per confermarle nella fede”, viaggia con aerei di linea e senza seguito e papamobile, niente a che vedere con i vecchi viaggi apostolici; il Vaticano, poi, è diventato un grande museo, e solo raramente la basilica di san Pietro ospita liturgie papali; anche le varie Congregazioni della Santa Sede, in piena fase di profonda trasformazione, hanno quasi tutte smobilitato dalle mura leonine per trasferirsi altrove.

Il papa “felicemente regnante” si chiama Giacomo, come il suo predecessore quando era arcivescovo di Bologna, quel cardinal Giacomo Lercaro che improvvisamente, nel lontano 1968, lasciò la guida della diocesi di san Petronio, ufficialmente “per motivi di salute”, in realtà la sua fu una vera ”rimozione”. Secondo don Giuseppe Dossetti – che lo aveva accompagnato al Concilio Vaticano II – alle insolite “dimissioni” contribuirono “più motivi e più agenti: una certa base di responsabili a cui non piaceva la riforma liturgica alla quale Lercaro aveva incisivamente contribuito; alcuni vertici che erano preoccupati per le sue insistenze sull’importanza delle chiese locali; infine, non come unica causa, ma certo come goccia che ha fatto traboccare il vaso, il suo insegnamento sulla pace”. Il 1° gennaio 1968, infatti, l’omelia della messa per la “giornata della pace” fu una forte condanna ai bombardamenti Usa sul Vietnam, “di fronte al male” tuonò il cardinale, “la via della Chiesa non è la neutralità, ma la profezia”. Un mese dopo, l’arcivescovo di Bologna riceveva forti pressioni vaticane a “dimettersi” dal governo della diocesi. Una vera e propria “destituzione” senza precedenti, della quale, forse ingiustamente, fu incolpato Paolo VI, probabilmente ignaro della vicenda, voluta invece fortemente da ambienti reazionari vaticani che, anzi, attraverso Lercaro volevano colpire proprio il “progressista” papa Montini. Punire le aperture del cardinale di Bologna fu il modo per dare una lezione a tutti coloro che, ispirati dal Concilio, studiavano e cominciavano a realizzare cambiamenti nelle chiese locali, che “scandalizzavano” coloro che, soprattutto nella Curia romana, si auguravano e brigavano per un riassorbimento delle “novità conciliari”.

Gli ambienti fondamentalisti della Curia vaticana, impauriti dalla fecondità del Concilio che intendevano sterilizzare, «volevano impedire», scrive lo storico Alberto Melloni, «che la Chiesa italiana potesse liberarsi della tiepidezza politicante che di lì a poco l’avrebbe esiliata per molto tempo dal papato». Con la “punizione” del cardinal Lercaro l’operazione anticonciliare delle destre ecclesiastiche e politiche, in parte andò a segno. Con la sua “silenziata” uscita di scena sarà quasi del tutto interrotto o ritardato il processo di radicale rinnovamento ecclesiale in atto nella chiesa italiana. Fino all’arrivo a Bologna come arcivescovo, nel 2015, di don Matteo Zuppi, nominato nel 2022 anche Presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo il Giubileo del 2025 e la morte del papa emerito Benedetto XVI, papa Francesco ha rinunciato anche lui al pontificato, non prima di aver introdotto la sua ultima riforma: non sarà più il Collegio dei cardinali – che probabilmente verrà abolito – ad eleggere il vescovo di Roma, ma rappresentanti delle varie Conferenze episcopali. I voti del conclave sono andati ai cardinali Luis Antonio Tagle e Matteo Maria Zuppi, che infine è stato eletto papa, metafora della voglia diffusa di realizzare quella “Chiesa in uscita” sognata dal suo predecessore. La scelta del nome, Giacomo, è una sorta di santa vendetta per l’ingiustizia subita dal cardinal Lercaro, e un tardivo risarcimento alla maggioranza dei cattolici per i continui ritardi nella realizzazione delle “riforme” iniziate dal Concilio.

Mentre papa Giacomo pronuncia le sue prime parole dalla loggia delle benedizioni, stranamente irrompe in sottofondo, confusamente e come in lontananza, la voce del cardinale Gualtiero Bassetti che augura buon lavoro al nuovo presidente dei vescovi italiani, il cardinale Matteo Zuppi. Improvvisamente mi sveglio: stavo solo sognando. Un gran bel sogno!

Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino

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