Nessun articolo nel carrello

La “dinamite amorosa” del Vangelo, disinnescata dalla Chiesa-istituzione. Intervista a Marco Campedelli

La “dinamite amorosa” del Vangelo, disinnescata dalla Chiesa-istituzione. Intervista a Marco Campedelli

Tratto da: Adista Notizie n° 29 del 06/08/2022

41176 ROMA-ADISTA. La molteplicità di dimensioni dell'essere umano, il senso del sacro, le radici teologiche e culturali, l'importanza della parola, la politica come bene comune, la necessità della formazione per il cambiamento, la dimensione affettiva umana: sono temi alti quelli che abbiamo affrontato con Marco Campedelli, teologo e narratore veronese, che alla vigilia del secondo turno delle elezioni amministrative (26/6) ha contestato al vescovo uscente mons. Giuseppe Zenti il ruolo di tutela svolto da quest’ultimo nei confronti dei preti e del popolo cattolico (con “istruzioni di voto” volte a riconfermare l’ex sindaco di destra Sboarina) e, in generale, un certo modello di Chiesa autoritaria. Per questa “disobbedienza”, Campedelli è stato minacciato di licenziamento dal suo ruolo di insegnante di religione, atto seguito da una enorme ondata di solidarietà nei suoi confronti (v. Adista online 21/6, 27/6, 30/6, 4/7; Adista Notizie n. 24, 25, 26/22, Adista Segni Nuovi n. 25, 27/22). Ecco di seguito le domande che gli abbiamo posto. 

Il filosofo rinascimentale Michel de Montaigne afferma che l'Io è molteplice e contiene moltitudini. Sei un uomo, prete, insegnante, scrittore, burattinaio, attore, teologo e narratore...

Siamo esseri plurali. Noi occidentali siamo eredi della filosofia dell’identità più che dell’alterità. Tutta la vita cerchiamo di trovare il nostro “io” e non il nostro “noi”. Così scartiamo la pluralità che ci abita, la miracolosa alchimia di cui siamo fatti. Noi che siamo della stessa materia delle stelle costruiamo piccoli recinti di difesa, mentre abbiamo disegnata nel nostro corpo la “via Lattea”. Siamo noi stessi una “co-stellazione” vivente. Femminile e maschile, sentimento e razionalità, siamo l’espressione di una differenza da cui siamo stati originati e verso la quale siamo destinati. Se non la riconosciamo facciamo violenza a noi stessi. Da adolescente mi imbattei nel libro di H. Hesse Narciso e Boccadoro. La letteratura è un percorso di iniziazione a cui non si può rinunciare: è pluralità, complessità, intreccio, relazione, mescolanza di bene e male, alto e basso, sublime e abissale. Narciso e Boccadoro erano due espressioni di una stessa persona: ordine e disordine, emozioni che esplodono e necessità di attraversarle dando loro un nome. Per un adolescente scoprire che Narciso e Boccadoro sono due parti importanti di te stesso che devono imparare a dialogare e convivere è una lezione importante. Nella storia delle religioni gli esseri umani sono abitati dalle presenze divine. La Bibbia racconta del Dio dei nomi, dei volti. Lo stesso Spirito per il cristianesimo abita nel cuore della persona. Per cui in questo senso viviamo, anzi con-viviamo con il divino. Anche in questo siamo “plurali”.

Il punto focale che riunisce tutto questo nella tua vita è una bellezza che si nutre di presenze e di urgenze vitali: il vangelo, gli studenti, la politica. Che cos'è sacro nella tua vita?

Il sacro non corrisponde a ciò che è stato sacralizzato. Si manifesta in un’alba, nella solennità di una quercia come nella semplicità di un fiore. Quando attraversi il sacro devi “levarti i sandali”. Ti scalza, ti sorpassa, ti commuove, ti inebria. I vari “funzionari del sacro” non conoscono il sacro, ma solo un apparente surrogato. C’è un’attitudine umana tra le più commoventi, che è essere a contatto col sacro. La donna credo lo sia “naturalmente”. Il corpo della donna è apparentato a una sacralità cosmica che l’uomo non può conoscere. I “sacerdozi” di tutte le religioni sono in qualche modo legati al “potere sul sacro”, credono di avere una potestà di “rendere le cose sacre”, ma solo chi è abitato dal Mistero se ne imparenta davvero. È una forma di possessione amorosa, le donne e gli uomini che ne fanno vera esperienza sanno di esserne semplicemente “posseduti”.

Il mio Maestro di teatro Nino Pozzo mi faceva osservare il volto e gli occhi della gente. Diceva che sul bordo degli occhi andava in scena tutti i giorni il più bello spettacolo del mondo.

Davanti alla profanazione del sacro si prova indignazione e davanti alla sua epifania si prova compassione. La lesione dei Diritti Umani è per me la sua più intollerabile profanazione. Sono figlio di un sindacalista di fabbrica di sinistra. Negli occhi di mio padre ho visto affacciarsi spesso indignazione e compassione. Qualche volta insieme, come inseparabili compagne.

La compassione è il modo con cui guardi il mondo. E nello stesso tempo il modo con cui tu stesso sei guardato. Ha a che fare con le viscere, però tutto parte dagli occhi. Se tu guardi le cose, le persone con compassione, questo sguardo trasforma, disarma, riconosce, riabilita. Il cuore della religiosità della vita è la compassione. Quando una religione perde questo sguardo, diventa una macchina di potere, preoccupata di salvare sé stessa, e non vede più l’altro. Chiude gli occhi. Non ha più sussulti di viscere. Non conosce più nessuna gravidanza. Sfiorisce.

L’indignazione nasce proprio da qui. Quando si vede che l’altro non è più riconosciuto. Quando non gli si riconosce nessuna dignità e si calpestano i diritti.

È questa l'istanza interiore più forte che ti ha indirizzato verso la scelta di diventare prete?

Ero molto affascinato dalla figura evangelica di Gesù di Nazareth come grande rivoluzionario. Un poeta in azione. Un visionario che però aveva il senso pratico della vita. Un uomo libero e liberatore. Ero attratto da quel Gesù dal “cuore di donna”, come l’avrebbe chiamato Alda Merini, quello che lei vedeva trascinarsi dietro il suo abito da sposa. Avrei capito più tardi che ciò che mi attraeva del Vangelo era quella “bellezza morale” di cui parla Pasolini. Una sintesi perfetta di bellezza e di giustizia, etica ed estetica, poesia e visione politica. Il poeta Gesù si scontra con un potere sacralizzato che tende a togliere la libertà, rubare la bellezza, umiliare la giustizia, vietare l’amore. Ho iniziato a domandarmi se l’utopia di Gesù poteva sopravvivere quando il potere dell’istituzione ne aveva addomesticato il sogno, depotenziato la “dinamite amorosa”, messo “ordine” al “divino disordine” e mi sono convinto via via che il potere dell’istituzione era il più grande ostacolo alla libertà del vangelo.

Il problema strutturale della Chiesa (cattolica) è il potere. C’è un rapporto diretto tra potere e amore. La seduzione del potere nasce da un grave deficit d’amore. L’obesità del potere non è estraneo all’anoressia dell’amore. Il corpo del potere ha paura del corpo dell’amore. L’abuso del potere nasce da una grave patologia d’amore. Del resto una delle pagine cui sono più affezionato – l'ho detto ai miei studenti quando me l'hanno chiesto – è la leggenda del Grande Inquisitore contenuta ne I fratelli Karamazov. C'è scritto tutto. Dovessero seppellirmi con la pagina di un libro, sarebbe quella.

È per questo che la Chiesa istituzione ha paura dell'amore e di tutto ciò – corpo, sesso – che ruota intorno?

È paradossale che una religione che ha al centro il corpo ne abbia poi così paura. “Prendete, questo è il mio corpo per voi” è la consegna di Gesù di Nazareth. Ma quel corpo è esattamente l’anti-potere, è la metafora vivente del dono e non del possesso. È l’espressione estrema della libertà e non del dominio. La Chiesa come istituzione è preoccupata dal controllo. Ha un grave problema con i sentimenti. Fugge dalle “ragioni del cuore” di Pascal o di Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi. È per questo che ha così paura del corpo della donna? Perché contiene quel divino che nessuna istituzione può dominare? È per questo che manca una vera educazione ai sentimenti, perché rompono l’ordine del potere? È per questo che, pur sapendo che senza le relazioni d’amore la vita si spegne e si ammala, la Chiesa continua di fatto a controllare e vietare l’amore? Gli abusi sessuali, la tragedia della pedofilia, sono il punto di non ritorno di una storia di disamore e di potere che mostra qui il suo fallimento estremo. L’istituzione arriva a coprire chi compie questi crimini perché tra il corpo del potere e i corpi delle vittime sceglie di salvare il primo. Ma c’è un modo di strutturare il potere sacro che produce gli abusi. Solo una riforma radicale potrà distruggere questo castello dell’orrore. Non esiste “una via italiana” alla lotta contro la pedofilia. Esiste un’unica via, quella di una commissione indipendente che faccia verità e giustizia.

La presenza della politica vissuta, già nella tua famiglia, come si interseca con la teologia?

Per me la teologia vera è quella che interpreta e trasforma la vita. Non quella accademica. C’è una distinzione tra chi insegna la teologia e chi la incarna, la rischia, la “paga a caro prezzo”. Una teologia che si disinteressa del mondo ha già fallito. La teologia in cui credo è quella che si espone, che entra nella vita pubblica, che offre chiavi di lettura. Esiste una “teologia politica” in senso specifico (basta pensare a J.B. Metz o alla Teologia della liberazione) ma ogni vera teologia non può che essere una teologia politica, perché si deve preoccupare della terra, della vita delle persone, delle “cose ultime” che riguardano la felicità e le lacrime delle persone. Penso alle donne, Maestre di Teologia, a lungo emarginate dalla Chiesa, ai teologi marginalizzati. Penso a nomi che hanno fatto la storia come Congar, pagando per le loro idee fino a morirne, come Bonhoeffer. E poi ci sono i “piccoli teologi e teologhe della vita”, senza titoli ma con una sapienza teologica che nasce dalla vita, che Gesù incontrava, come la Cananea, la Samaritana, l’Emorroissa, in particolare la Maddalena.

La Chiesa come istituzione ha creato uno squilibrio irreparabile colpevolizzando la dimensione affettiva e sessuale delle persone...

C’è una deformazione nel concetto di “piacere” che la Chiesa porta avanti da secoli. E che non mi pare trovi fondamento nell’antropologia biblica e nell’orizzonte del vangelo. Dio non è contro la felicità della persone, ma anzi ne è il più grande “complice”. Controllare il corpo, la sessualità è controllare in fondo la felicità delle persone. Un modo per farlo è giocare sul senso di colpa. Dire che il piacere in fondo è peccato. Questo ha costituito un classico della morale cattolica. Il corpo, la sessualità, l’amore sono minacciosi perché non rispondono alla logica del potere. Colpire i corpi, vietare il sesso, censurare gli affetti è un modo per mantenere il potere. Il corpo è fragilità e minaccia una istituzione che vorrebbe un corpo onnipotente. Gesù mostra la sua autorevolezza perché si esprime come una persona “risolta” sul piano affettivo, relazionale. Purtroppo la nostra tradizione ne ha “sacerdotalizzato” la figura, che invece è stato un inno insuperabile alla laicità. Proprio perché conosceva l’amore non era attratto dal potere. Ma chi l’amore non lo conosce e non lo vive si ubriaca di potere fino a perdere la testa…

Il libro di Eugen Drewermann Funzionari di Dio è irrinunciabile da questo punto di vista. Quando lo presi, appena uscito, ero giovane. Nella libreria cattolica dove lo acquistai me lo diedero quasi di nascosto… Si capisce benissimo, leggendolo il rapporto tra l'affettività, la sessualità e il potere.

La Chiesa convive con una secolare ipocrisia, fondamento di quel clericalismo che ne mina le basi e che alla fine ne diventa il peggiore nemico fino a rischiare di farla saltare in aria. Però non basta denunciare il clericalismo, è necessario cambiare i modelli formativi. In un seminario come ancora è oggi non si potrà che essere clericali.

Vanno liberati gli affetti. Perché questo è il modo per viverli in modo sano. E se sono affetti sani diventano non un problema da gestire ma una risorsa da valorizzare. Se si avesse il coraggio di riconoscere la dignità dei sentimenti, delle relazioni affettive, finalmente donne e uomini legati a molti preti potrebbero riemergere alla luce e non subire più ricatti, umiliazioni e ingiustizie. Ma questo esige una maturità e una libertà che il sistema oggi non ha e probabilmente non vuole. Può essere incompatibile un amore con il vangelo? Per troppo tempo ce l’hanno fatto credere. Non dunque Cogito ergo sum ma Amo ergo sum.

È morto recentemente Luca Serianni, amato linguista, professore e pedagogo. Una volta ha detto che gli studenti per lui erano lo Stato. Chi sono i tuoi studenti, in che modo sono protagonisti?

I miei studenti rappresentano in questo momento la mia terra. Non ho altra terra che quella. Sono le persone con cui si può immaginare un mondo nuovo. A scuola non si hanno armi, ma la parola. Lo sapeva bene don Milani: «Più parole hai più mondo hai».

La scuola è un laboratorio di immaginazione, una fucina a idee. A scuola si intrecciano poetico e politico, visione-orizzonte e azione-trasformazione. Un rabbino diceva: molta Torah ho imparato dai miei maestri, più ancora dai colleghi, ma soprattutto dai miei discepoli. Io ho imparato molto dai miei studenti e dalle mie studentesse. Sono stati i miei Maestri del futuro. Ogni anno a quelli che fanno la Maturità scrivo una lettera, diversa per ogni classe. E inizio con i loro nomi, uno per uno.

Questo è un frammento dell’ultima che ho scritto loro, pochi giorni prima di poter immaginare che la scuola mi potesse essere tolta d’improvviso lasciandomi orfano di loro:

«Prima di tutto grazie! Avervi incontrato è stata una bella opportunità della vita. In Sostiene Pereira, Tabucchi parla di un processo educativo all’incontrario: un vecchio impara da un giovane. A scuola ci sono ruoli diversi, è vero. Però dalle proprie studentesse e dai propri studenti si può imparare. A me è capitato e ve ne ringrazio.

Vi auguro di appassionarvi alla cose che fate. Senza passione tutto è spento. E c’è bisogno di luce. Fate quello che amate. Di personaggi grigi, per convenzione, per calcolo, per mille altri motivi, ce ne sono tanti. Voi invece splendete! Non togliete luce ai vostri sogni, non rinunciate alle vostre ali di farfalla. Questi anni di liceo vi hanno insegnato il valore delle parole. Abbiatene cura: ci sono parole che fanno ammalare e altre che salvano la vita. Alcune che umiliano e imprigionano, altre che liberano. Custodite le parole, curatele, come esse possono prendersi cura si voi quando vi mancheranno. Usate le parole che possono fare la differenza, che possono salvare, abbracciare…

Sentitevi cittadini e cittadine del mondo e non turisti “mordi e fuggi” sulla terra. Fate di ogni atto poetico un vero atto politico, cioè un atto di cura per la città, per il mondo in cui abitate. Non abbiate paura di commuovervi: è la pioggia che ci cade dagli occhi e fa germogliare gli alberi. Indignatevi per l’ingiustizia. Sempre. Difendete la differenza, perché la differenza difenderà voi, se resterete soli. Trovate il divino è che negli occhi di ciascuna, di ciascuno, nel battito del cuore, nella bellezza che ci visita ogni giorno e nella libertà che può trovare casa nella vostra coscienza».

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.