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Pietà religiosa e politica: il caso della consacrazione al Cuore immacolato di Maria

Pietà religiosa e politica: il caso della consacrazione al Cuore immacolato di Maria

Tratto da: Adista Documenti n° 31 del 17/09/2022

Per cercare di porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina, papa Francesco ha messo in campo diverse iniziative. Secondo uno schema consolidato nel papato novecentesco, oltre all’attivazione dei canali della diplomazia vaticana e agli appelli per la concordia, il negoziato e la tregua, ha sollecitato i fedeli a pregare per la pace. In quest’ultimo ambito rientra anche l’invito a consacrare al Cuore immacolato di Maria la Chiesa, l’umanità intera e in particolar modo i due popoli belligeranti. Il 25 marzo u.s. Bergoglio ha dato l’esempio, compiendo il rito in prima persona. Diversi commentatori hanno ricondotto l’atto papale alla mariofania cui affermano di assistere dal maggio all’ottobre 1917, in una conca selvaggia nei pressi di Fatima, tre pastorelli analfabeti.

In effetti in quelle apparizioni la Madonna raccomanda questa pratica pia come canale privilegiato per ottenere l’intercessione della Vergine allo scopo di arrestare l’ira divina ormai pronta a riversare sull’umanità peccatrice punizioni catastrofiche. Secondo le testimonianze iniziali dei veggenti, Maria sollecita a questo scopo anche altre devozioni: la consacrazione al Sacro Cuore di Gesù e la comunione ogni primo sabato del mese. Ma nel racconto della mariofania che si sviluppa nei decenni successivi il primo esercizio scompare e il secondo sbiadisce. L’accento viene posto sulla consacrazione al Cuore immacolato di Maria, una devozione che, collegando la speciale bontà della Vergine – di cui il cuore è simbolo per eccellenza – con il singolare privilegio che la contraddistingue da ogni creatura, cioè il concepimento senza peccato originale, manifesta una pressante richiesta alla Madonna perché, venerata secondo titoli che le rendono particolare onore, possa perorare la causa di uomini che vivono in circostanze di drammatica gravità.

In realtà il pontefice non ha fatto alcun riferimento alle rivelazioni di Fatima sia nel testo della consacrazione sia nell’omelia che l’ha accompagnata. Ha invece fondato su base biblica e su qualche accenno alla tradizione – con un particolare richiamo alla venerazione per Maria che caratterizza i popoli russo e ucraino – un atto con cui intende invocare il suo soccorso perché, essendo essa pienamente partecipe del disegno di pace di Dio sul mondo, possa aiutare gli uomini a instaurare tra loro relazioni fraterne. Senza dubbio Bergoglio ha mostrato una certa attenzione alla vicenda di Fatima. Ha infatti designato un legato pontificio, il cardinale elemosiniere Konrad Kriajewski – in precedenza inviato in Ucraina come speciale osservatore vaticano – a celebrare la consacrazione nel santuario portoghese. Ma, nonostante questo atto di evidente riguardo, il complessivo discorso pubblico del papa non pone alcuna enfasi sul nesso tra la consacrazione e la mariofania portoghese. Il suo accento cade sulla necessità della partecipazione della Chiesa universale ad una devozione di cui presenta come tratto distintivo il legame tra la figura di Maria e la pace.

Quali motivi spiegano la decisione di sottacere il richiamo alle rivelazioni del 1917?

Li si possono individuare nello stretto nesso che gli odierni leader populisti hanno posto tra il messaggio di Fatima, la consacrazione al Cuore immacolato di Maria e il trionfo di una linea politica nazional-identitaria. Al di là del caso del presidente brasiliano Jair Bolsonero, ne abbiamo avuto nel nostro Paese una testimonianza eclatante. Nel maggio 2021 il segretario della Lega, Matteo Salvini, dopo un summit in Portogallo con principali esponenti politici del sovranismo europeo – da Marine Le Pen a Viktor Orbán – ha compiuto un pellegrinaggio a Fatima. Al ritorno ha dichiarato che la futura salvezza della penisola (cioè, sembra di capire, la sua ascesa al governo, visto che in precedenza aveva affidato allo stesso atto le fortune elettorali del suo partito) dipende dalla consacrazione al Cuore immacolato di Maria.

La prudenza del papa nell’evitare di rapportare la cerimonia alla mariofania trova dunque ragione nel fatto che negli ultimi anni il riferimento a quelle rivelazioni ha assunto una forte colorazione politica. È diventato uno degli emblemi della spregiudicata propaganda dei movimenti populisti. Essi fanno leva su sedimentazioni della memoria religiosa stratificate da più di un secolo nell’intento di suscitare un richiamo identitario rispetto a inattese realtà che vengono presentate come incombenti minacce: la pretesa invasione islamica dell’Europa; la presunta omologazione imposta dalla globalizzazione; fantomatiche centrali di occulto potere che guidano i destini del mondo; ecc. Si ritiene di poter così mettere in moto un riflesso di difesa al nuovo, attingendo al deposito secolare che la Chiesa ha alimentato, quando, nella lunga stagione della lotta alla modernità, ha risemantizzato i culti in funzione del ritorno alla passata cristianità.

La consacrazione al Cuore immacolato di Maria è un esempio significativo di un serbatoio politico-religioso che i populisti ritengono di poter riattivare, piegandone la forza simbolica ai loro scopi. Come si è detto, secondo le rivelazioni del 1917, la pratica pia è chiamata ad arrestare un pericolo incombente. Nel corso del Novecento la catastrofe cui essa viene presentata come rimedio (sia dalla veggente superstite, sia dall’autorità ecclesiastica, che talora ne riprecisa la testimonianza in funzione delle diverse situazioni che deve fronteggiare) assume via via diverse configurazioni. Mantiene però una dimensione costante: il ritorno a forme tradizionali di vita associata in risposta all’assalto di un ostile mondo moderno.

Non è qui possibile seguire le varie declinazioni politiche con cui viene riproposto questo schema di fondo: dall’iniziale lotta al governo anticlericale della Repubblica portoghese, al sostegno alla dittatura nazionalcattolica di Salazar, allo scontro globale con il comunismo.

A testimonianza della sua duttilità basta però ricordare che durante la guerra Pio XII, senza mettere in questione la dimensione anticomunista della devozione, ne allarga il significato politico, aggiungendo a questa dimensione anche una connotazione antinazista: è la via per ottenere, attraverso la sconfitta dei due totalitarismi, la ricostruzione di una società pacifica perché finalmente fondata sulla fede cristiana. A questo scopo risponde la consacrazione del mondo al Cuore immacolato di Maria celebrata da Pacelli il 31 ottobre 1942. Ma, nel contesto della guerra fredda, nel luglio 1952, verrà di nuovo proposta in chiave esclusivamente anticomunista.

L’apertura della Chiesa al dialogo con il mondo moderno che scaturisce dal Concilio Vaticano II determina una nuova risignificazione della consacrazione. Diventa la devozione prediletta dagli ambienti del tradizionalismo anti-conciliare. La pratica è diretta a impetrare un intervento divino che muti l’indirizzo di un papato che, anziché condannare la modernità, ne accetta principi e valori – la libertà religiosa e i diritti umani – il cui ingresso nella Chiesa è destinato a portare alla sua dissoluzione.

Si può dunque comprendere l’orientamento di papa Francesco. Di fronte alle insistenti richieste provenienti dalle Chiese ucraine, ma anche da diversi settori – in particolare quelli tradizionalisti – della Chiesa universale, ha inserito anche la consacrazione al Cuore immacolato di Maria nella serie degli atti religiosi messi in campo per dare esecuzione ad uno dei diversi strumenti cui Roma affida la cessazione del conflitto. Al fine di concentrare sull’obiettivo della pace l’esercizio della pratica pia, Bergoglio ha però evitato il riferimento alle rivelazioni di Fatima. Avrebbe fatto riemergere il significato politico, a lungo attribuito dalla Chiesa a questo culto, favorendo così la manovra della destra populista: la riattivazione della memoria di una fondazione religiosa della contrapposizione al moderno depositata nel culto per ottenere un facile consenso elettorale.

L’operazione di Francesco ha certo il merito di riprendere un emblema della cultura dei tradizionalisti, svuotandone il valore politico-religioso che essi vi attribuiscono, ma caratterizzandola con un tratto politico non meno rilevante: il conseguimento della pace. Si può peraltro ritenere che tale operazione sarebbe risultata ben più incisiva se, anziché gettare un colpo di spugna sulla storia della consacrazione, il papa l’avesse riproposta proprio come spiegazione del riorientamento impresso alla consacrazione. Tanto più che la storia gli avrebbe prestato un grande aiuto. Agli albori della devozione, prima che l’egemone cultura cattolica intransigente la rivestisse dei significati politici via via ridefiniti dai nostalgici della cristianità, la calamità cui essa avrebbe dovuto porre rimedio era proprio, non a caso nel terribile 1917, la cessazione della Grande guerra.

Daniele Menozzi è professore emerito di Storia contemporanea alla Scuola Normale Superiore di Pisa

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