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Non basta essere moderati

Non basta essere moderati

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 34 del 08/10/2022

Vince o stravince?, ci si chiedeva alla vigilia del voto, studiando i sondaggi che davano la leader di Fratelli d’Italia nettamente in testa. Ora lo sappiamo: stravince. Come una profezia che si autoavvera, condita del più classico dei fenomeni di bandwagoning (salire sul carro del vincitore, per i politologi), commenti e riflessioni si modellano riconoscendo a Giorgia Meloni, qualità personali e abilità politiche che mai si sarebbero riconosciute fino a qualche mese fa. Perché, senza aver mai pronunciato in campagna elettorale alcuna seria proposta (alcuni dicono evitando la campagna elettorale), è riuscita a farsi votare alla grande: “tranquillizzando” i mercati, le segreterie dei Paesi esteri e chi in Europa deve prendere decisioni importanti; ha fatto dimenticare il suo passato storico culturale; ha fatto trascurare la presenza nelle sue liste di molti discussi candidati; ha ridimensionato il “capitano”; ha evitato di insultare gli avversari; ha (per alcuni il principale “valore”) rimarcato la sua identità di cristiana, madre, donna e ne va fiera; ha portato al potere nel nostro Paese per la prima volta una donna. È stata brava, insomma.

Ora, però, bisognerà governare. E queste righe saranno lette quando di tutto si sarà detto, scritto, ascoltato e commentato. Che cosa aggiungere, allora, che non ne sia la scontata eco? Parto da qui, da qualche mia personale preoccupazione.

Rispetto del voto sì, ma restano le preoccupazioni

Mi preoccupa un astensionismo diviso tra chi non può partecipare (e non lo si aiuta) e chi non vuole per una netta e pericolosa visione antisistema, di critica ai partiti esistenti che si traduce – in concreto – in un rifiuto della democrazia tutta, ritenuta inadeguata ai tempi. Mi preoccupa una sinistra praticamente assente (come ormai in gran parte d’Europa), incapace di rappresentare identità, esigenze e sogni delle fasce più emarginate. Mi preoccupa un’Europa sottoposta alle critiche (spesso maligne) di una corrente di pensiero trasversale sovranista e tendenzialmente autoritaria. Mi preoccupano simboli e parole condannate dalla storia e mai negate, anzi, pronte a riemergere utilizzate senza timore; mi preoccupa la qualità dei rappresentanti in Parlamento, associata al rammarico di quella (buona) di molti candidati non eletti; mi preoccupano certe amicizie straniere pronte a felicitarsi con un sorriso esultante; mi preoccupa un accreditato ma inaccettabile candidato alla Presidenza del Senato. E altro… Ma mi preoccupa, al massimo livello, un conflitto mondiale all’orizzonte, che un redivivo Berlusca (quanto mai decisivo per il governo) attribuisce alla voglia di Putin di “mettere persone per bene” alla guida dell’Ucraina.

Ma di cosa possa preoccupare il sottoscritto, interessa, giustamente, molto poco.

Fatto sta che il Governo, che fra qualche giorno si prepara ad agire, ha di fronte (almeno) tre impegni rilevanti. Che fanno testo per tutti.

Le sfide segneranno il passo di questo governo

Il primo – senza ombra di dubbio – riguarda la situazione economica assai pericolante. Con le catastrofi annunciate e quelle impreviste, la situazione si fa sempre più dura. Conquistato il potere questa destra proverà a soddisfare molte pressioni. Ma il conflitto fra i privilegiati che tenteranno di mantenere le proprie posizioni di dominio (tipo diminuire le tasse) e i poveri, potrebbe riesplodere con forza. Sapranno le forze di governo (vedi Ministero dell’Interno) governare con saggezza questi conflitti distinguendo e dialogando, senza cedere alla violenza, e ugualmente senza retrocedere in fatto di diritti e di democrazia, con forze dell’ordine lasciate a “mano libera”? E saprà soprattutto prendere decisioni eque senza trincerarsi dietro il classico refrain “siamo costretti a fare così perché quelli di prima ci hanno lasciato una pessima eredità”? Vedremo, e, per inciso, il trattamento nelle carceri (già molto critico) sarà uno dei focus più importante ma – temo – meno evidenti.

Il secondo, riguarda il confronto con la situazione internazionale. Si sa quali sono le posizioni – diversificate – all’interno della maggioranza. Non è solo una questione, sanzioni Sì/sanzioni No; armi Sì/armi No, Russia vicina o Russia lontana. Qui in gioco ora sono i valori occidentali (mai troppo tutelati anche negli stessi Paesi occidentali) democrazia, separazione dei poteri, diritti civili, libertà di pensiero e di espressione, condanna di ogni violenza (anche verbale) e di offesa per le minoranze, eccetera. Quando si parla di vicinanza a Orban e similia, di questo si parla, e non si può nascondere certe scelte (vedi Vox o la graduatoria assegnata alla legislazione nazionale su quella europea…) con un atlantismo di facciata o, peggio, colorato dal semplice approccio militare e difensivistico. Dire che è una sorta di “ossimoro politico” quando si mette insieme VOX e amici siffatti con atlantismo, è fin troppo banale. La pacchia è finita, cara Europa? Quale? Fatta di quali vantaggi e a favore di chi? Nell’ipotesi di muro contro muro contro le istituzioni europee, lo sappiano gli italiani, a perderci saremo solo noi.

Terzo, le riforme istituzionali. D’accordo, anche il centro sinistra (vedi Titolo V) le ha fatte in alcuni casi con il solo voto di maggioranza. Ma fu un errore: e non è che gli errori fatti una volta si autolegittimino e rendano tutto possibile. Per attuare il famoso presidenzialismo toccherebbe riscrivere la Carta costituzionale nei suoi principi di fondo. Tra i quali il parlamentarismo. È tanto. Troppo. Il popolo che sarà “stuzzicato” per approvare una elezione diretta del Capo di Stato a lui (apparentemente) favorevole è pronto ad accoglierlo. Se si vuole fare una opposizione seria bisogna farla cominciando a costruire luoghi di confronto e dialogo, per ascoltare, capire, studiare, spiegare e motivare. Luoghi stabili e senza alcuna pretesa di essere superiori e di avere ragione per forza. Ma è una sfida assai complessa.

Che si associa, a mio modesto avviso, appunto a due grandi questioni di fondo. Prima, saper fare opposizione alla maggioranza di governo; e saper recuperare i giovani alla politica. Ossia presente e futuro.

Fare opposizione, certo, ma ricostruire la politica partendo dai giovani

Fare opposizione non significa solo dire di No ad alcune (se non tutte) proposte di legge, provvedimenti, azioni amministrative scelte o altro che questa maggioranza vorrà approvare. Tentativi che, d’altronde, troveranno spesso la sconfitta di fronte a maggioranze parlamentari che votano compatte. Un’opposizione che sia in grado di concimare il terreno in grado di preparare le piante della possibile rinascita alle future elezioni va coltivata con cura: radicandosi sul territorio, spiegando quali sono i pericoli delle proposte, quelle che il governo fa e non dovrebbe o viceversa, le proposte alternative, lo sguardo lungo sul futuro. E soprattutto ascoltando cosa ne pensano i cittadini. Inoltre, riesumo una vecchia idea mai condivisa fino in fondo: se nascesse un “governo ombra” dell’intera opposizione? Lo so, mi illudo, ma lo scrivo lo stesso.

E poi, i giovani. Vedremo nel dettaglio in quale proporzione hanno votato e a chi. Ma la sfiducia già espressa verso una classe politica che li ha solo “accarezzati” quando serviva il voto, è palese. E di certo giustificata se accompagnata alla mediocrità delle proposte sentite.

Penso, però, che per attivare un grande investimento formativo, emotivo, culturale e cognitivo, che consenta ai giovani (ma un po’ a tutti) di sacrificare interessi personali per impegnarsi per il bene comune, occorra una capacità di trasporto e di coinvolgimento che la strategica “moderazione”, spesso invocata in questi giorni da molti per esorcizzare la conflittualità polarizzata, non è sempre in grado di sollecitare. Se per moderazione s’intende (Francesco Occhetta di Aggiornamenti Sociali) «un metodo, un’antropologia, un gradualismo di riforme, la moderazione dei linguaggi, il rispetto dell’avversario, la cultura della mediazione», sono d’accordo. Ma se, invece, essere moderato significa collocarsi in una posizione fatta di “un po’ e un po’”, di “questo e quell’altro”, di freddezza, equidistanza, di prudenza inerte, che si trincera dietro la sapienza della tecnica e degli esperti sul campo (“facciano loro…”), ecco, ho forti perplessità. Sono finiti i tempi delle ideologie e (ancor di più) dei vecchi steccati forieri di scontri devastanti. E fino a un certo punto è un bene. Ma la passione ideale che porta a spingersi al di là delle proprie possibilità si crea solo se si è convinti che valga la pena farlo per ridurre un divario inaccettabile tra principi e realtà, che non bastano adattamenti a piccole dosi per incidere realmente su una realtà impraticabile per molti. Se si ha coraggio, se si è scomodi sulla propria poltrona, se si è animati dal “perché no!”, e non dal “tanto più di questo non si può!”

Insomma, la politica ha dei limiti – giusto – ma i limiti non devono condizionarne orizzonti e speranze. Se è vero che serve «investire sull’istruzione e sulla formazione dei giovani, formare un patto generazionale, investire nell’inclusione sociale e territoriale, nelle politiche ambientali, nella giustizia, in un lavoro degno, nella parità di genere e nella costruzione della pace e dell’Europa» (Occhetta) , forse non basta «tornare a una forza protagonista e gentile nella vita politica del Paese, questo è ciò che i moderati sono chiamati a fare per la nostra società e per le nuove generazioni». Occorre da una parte che il riformismo praticabile avanzi continuamente i suoi obiettivi, non si accontenti del possibile, del praticabile, dei successi (sempre parziali) ottenuti. Abbia, sì, il senso del rispetto e dell’accoglienza delle diverse visioni (forza gentile), ma non trasmetta, soprattutto ai giovani, il retropensiero che oggi essere radicali (poco moderati, senza alcun riferimento partitico) sia una versione ormai desueta e non più praticabile dell’atteggiamento politico in generale.

E, dall’altra, che le proposte radicali, quelle che individuano e inseguono un “Nuovo modello di sviluppo” (vedi papa Francesco), abbiano il merito e il compito, faticoso, di individuare le strade che lo traducano in politica per renderlo praticabile, realizzabile, condivisibile, inclusivo e rispettoso di tutti. (Per inciso, ma davvero è un “dettaglio”, su questa tensione potrebbe giocarsi anche il futuro Congresso del PD, si parva licet componere magnis…)

Ai giovani, sì, sarà concesso di “fare chiasso”, ma agli adulti no: questi, soprattutto se responsabili, hanno il dovere di costruire solide premesse affinché per il Paese intero questa non sia una stagione dirompente. 

Vittorio Sammarco è giornalista e scrittore, docente di Comunicazione politica e Opinione Pubblica nella Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell'Università Pontificia Salesiana

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