
Inumano e irriformabile: 40 organizzazioni in piazza contro il Memorandum Italia-Libia
ROMA-ADISTA. Un nome piuttosto lungo – “Memorandum d'intesa sulla cooperazione nel campo dello sviluppo, del contrasto all'immigrazione illegale, al traffico di esseri umani, al contrabbando e sul rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia e la Repubblica Italiana” – è stato scelto per un accordo concepito, in soldoni, per “esternalizzare” le frontiere italiane, frenare il flusso dei migranti del mare e delegare l’illecita pratica dei respingimenti a un Paese terzo.
Firmato il 2 febbraio 2017 dall’allora primo ministro Paolo Gentiloni e dal suo omologo Fayez al-Sarraj, rinnovato per un secondo triennio dal governo Conte 2 (con Pd e Movimento 5 Stelle) nel 2020, l’accordo con la Libia ha compiuto il 2 febbraio 2022 il suo quinto anno di vita, senza mai essere messo in discussione dalle maggioranze di governo, nonostante i dati agghiaccianti e gli appelli lanciati a più riprese della società civile e delle organizzazioni umanitarie. Può essere reciso dalle parti tre mesi prima del rinnovo automatico e alle stesse condizioni per un altro triennio, quindi entro il 2 novembre.
E così, per scongiurare un rinnovo che in molti hanno dato per certo, soprattutto con il nuovo governo di Giorgia Meloni, il 26 ottobre scorso 40 organizzazioni italiane sono scese in piazza a Roma. Tra loro, A Buon Diritto, Acli, ActionAid, Amnesty International Italia, Arci, Asgi, Centro Astalli, Cgil, Cnca, Comunità Papa Giovanni XXIII, Fcei, Fondazione Migrantes, Emergency, Mediterranea, Medici Senza Frontiere, Open Arms, Oxfam Italia, Save the Children, Sea-Watch e Uil.
In 5 anni di Memorandum con la Libia – si legge nel comunicato stampa congiunto diffuso dalle organizzazioni promotrici dopo la conferenza stampa che ha aperto la giornata di mobilitazione – circa 100mila persone in fuga sono state intercettate, catturate e rispedite dalla Guardia costiera nordafricana in «un Paese che non può essere considerato sicuro. La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento». Per i migranti detenuti nei lager libici «significa non avere alcun diritto e nessuna tutela».
Le organizzazioni puntano il dito sulle «politiche di esternalizzazione delle frontiere» messe in campo dai governi di diverso colore che si sono succeduti negli anni, investendo ingenti risorse pubbliche e delegando «ai Paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri». Un sistema, ampiamente documentato nel caso del Memorandum Italia-Libia, che «crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati, agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità».
Per la cosiddetta “protezione delle frontiere”, il Memorandum prevede forme di sostegno ai libici con fondi sottratti alla cooperazione internazionale, equipaggiamenti e mezzi militari come motovedette e sistemi di intercettazione, forme di addestramento e trasferimento di know-how. Continuare a supportare la Guardia costiera libica in questo modo senza predisporre alcun meccanismo di controllo, spiegano le organizzazioni, «significa non solo contribuire direttamente e materialmente al respingimento di uomini, donne e bambini ma anche sostenere i centri di detenzione dove le persone vengono sottoposte a trattamenti inumani e degradanti, abusate e uccise». Il prezzo da pagare per la “difesa” dei confini dai migranti è dunque la deriva dei diritti umani, di fronte alla quale i governi italiani (e le istituzioni europee) hanno spesso chiuso più di un occhio.
La piazza di Roma ha ribadito per l’ennesima volta che «la Libia non può essere considerato un luogo sicuro», dato il quadro politico e istituzionale «particolarmente instabile», che rende «pressoché impossibile fornire una protezione significativa alle persone vulnerabili». Per i migranti è difficile anche fuggire dal Paese per cercare sicurezza altrove, spiegano le 40 organizzazioni: «Le opzioni sicure e legali per fuggire sono limitate sia nell’accesso sia nei numeri, tanto che sono molte le persone che decidono di intraprendere un viaggio di ritorno via terra (in particolare lavoratori stagionali provenienti dai paesi vicini) correndo rischi simili a quelli già affrontati per raggiungere la Libia. Molti altri, invece, provano ad attraversare il Mediterraneo pagando somme messe da parte con lavori svolti spesso in condizioni disumane, e affrontando viaggi pericolosi, in cui la probabilità di annegare è alta quanto quella di essere intercettati e respinti».
I migranti restano dunque in trappola in un Paese instabile e insicuro, sottoposti a sfruttamento, detenzione arbitraria e torture come spesso hanno raccontato i testimoni diretti arrivati in Italia. Il Memorandum d’intesa Italia-Libia, concepito proprio per impedire ai migranti di sbarcare alle porte d’Europa, non fa che rafforzare la loro condizione di precarietà e pericolo e dunque si dimostra – afferma in chiusura la nota – completamente e totalmente irriformabile. Per questo le 40 organizzazioni promotrici della manifestazione del 26 ottobre continuano a chiedere incessantemente «all’Europa di riconoscere le proprie responsabilità e al Governo italiano di non rinnovare gli accordi con la Libia».
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