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33 anni dalla strage dei gesuiti: per le strade del Salvador si continua a chiedere verità

33 anni dalla strage dei gesuiti: per le strade del Salvador si continua a chiedere verità

Ricorre il 16 novembre il 33.simo anniversario dell’eccidio avvenuto nella sede della Università Centroamericana (UCA) di sei gesuiti salvadoregni - Ignacio Martín Baró, Ignacio Ellacuría, Juan Ramón Moreno, Amando López, Segundo Montes e Joaquín López - insieme alle due collaboratirci domestiche, Elba Julia Ramos e la figlia di questa, Celina Ramos. Troppo critiche, autorevoli e ascoltate le voci dei gesuiti dell’Università Centroamericana (UCA). Il regime totalitario, allora nelle mani del presidente Alfredo Cristiani, ha voluto metterle a tacere.

Sabato scorso la comunità gesuita e centinaia di salvadoregni hanno organizzato un'emozionante e colorata processione di lanterne, fiori, manifesti con i volti di tutti gli assassinati per chiedere di conoscere la «verità». «La verità è il diritto del popolo di sapere chi ha commesso questi atroci crimini e perché sono stati commessi, in modo che non si ripetano», ha dichiarato all'AFP il rettore dell'Università gesuita centroamericana (UCA), padre Andreu Oliva.

A compiere l’orrore, in quell’alba di 33 anni fa in piena guerra civile (1980-1992), furono uomini del battaglione Atlacatl – e alcuni di essi subirono un processo (1991) – ma non è mai stato processato e punito chi armò l’efferata mano. Nel primo processo, quello del ’91, solo due persone vennero condannate: il colonnello Guillermo Alfredo Benavides (ritenuto colpevole di tutti gli omicidi) e il tenente Yusshy René Mendoza (ritenuto responsabile della morte della minore Celina). Entrambi riacquistarono la libertà grazie a una legge di amnistia del 1993, ma Benavides tornò in carcere per completare la sua condanna a 30 anni dopo che l'amnistia nel 2016 è stata dichiarata prescritta.

Non ha mai avuto sosta il tentativo - tortuoso, ostacolato da illegalità e impunità - di individuare e processare sia killer che mandanti. Il 5 gennaio scorso la Camera costituzionale della Corte suprema del Salvador ha  disposto la riapertura del processo, e l’11 marzo scorso, il tribunale incaricato ha oridnato l’arresto dell’ex presidente Alfredo Cristiani e di altre 12 persone per il massacro di sei sacerdoti gesuiti 

Nel luglio del 2020, René Mendoza, durante il processo in Spagna (vari dei gesuiti trucidati erano di nazionalità spagnola) ha confermato che l'ex presidente di El Salvador Alfredo Cristiani (1989-1994) ha approvato l'assassinio di padre Jose Ellacuria e dei suoi collaboratori presso l'Università centroamericana (UCA) nel 1989. Gli avvocati chiesero esplicitamente a Mendoza se poteva confermare se Cristiani acconsentiva e approvava la decisione di uccidere i gesuiti. Questa la sua risposta: il 15 novembre, «il Colonnello Benavides ci ha incontrato alla Scuola Militare e ci ha detto che proveniva da una riunione allo Stato Maggiore dove l'Alto Comando aveva dato l'ordine di eliminare Ellacuría e di procedere senza che rimanessero testimoni. Benavides ci ha detto che l'ordine dell'Alto Comando sarebbe stato comunicato al Presidente della Repubblica e che se si fosse opposto ci sarebbe stato un contrordine. È illogico pensare che fosse un ordine del colonnello Benavides. Era di qualcuno sopra di lui, un ordine dell'Alto Comando. Era un'operazione autorizzata e tutti noi militari lo sapevamo». «Secondo l'ordine del colonnello Benavides, non c'era un contrordine perché il presidente doveva averlo approvato».

Ora Cristiani rischia fino a 150 anni di carcere, 30 anni per ciascuno dei cinque “atti di omicidio terroristico” contro i sacerdoti gesuiti.

*Foto tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

 

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