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Un "mostro" fra Scilla e Cariddi: un'analisi di Antonio Mazzeo

«Il Ponte sullo Stretto di Messina, una campata di 3.300 metri, due torri di cemento e acciaio alte 382,60 metri - formata ognuna da due piloni del diametro di oltre 50 metri - rette da quattro tiranti di acciaio per un peso totale di 166.600 tonnellate. Una megainfrastruttura che fagociterà materie prime per volumi superiori ai 3.540.000 metri cubi, generando con gli scavi inerti e rifiuti da smaltire per 6.800.000 mc. Un terzo mostro che terrorizzerebbe Scilla e Cariddi anche per il volume delle sue fondazioni in Sicilia di 86.000 metri cubi e per quelle nel versante calabro di 72.000 mc. E come se non bastassero Ponte, piloni e maxi-tiranti, il territorio circostante verrebbe stuprato da oltre 40 chilometri di raccordi stradali e ferroviari (2 km su viadotto e 20,6 km in galleria), mega-discariche, cave e strutture di connessione. Un’opera che devasterebbe vastissime superfici territoriali nelle province di Messina e Reggio Calabria: la somma delle aree destinante ai cantieri ammonta a 514.000 metri quadri, a cui si aggiungono quelle sacrificate a discariche finali di inerti e scarti di produzione, distanti anche più di 50 km dall’infrastruttura, per oltre 764.500 mq».

Queste sono solo le coordinate geografico-logistico-ambientali dell’opera faraonica cui più o meno trasversalmente si ammicca e che i partiti al governo si stanno intestardendo a portare avanti. Dati, quelli sopra riportati, tratti da un articolo che l’autore, Antonio Mazzeo, ha postato sul suo blog il 4 dicembre con il titolo “Ponte sullo Stretto: il mostro è riemerso». Un articolo non originale, in quanto Mazzeo l’aveva già pubblicato su Pagine Esteri.it il 22 settembre scorso, tre giorni prima delle elezioni che proprio alla destra-destra hanno dato la vittoria. E ora l’articolo è più che mai attuale. E affronta tutti gli aspetti – oltre a quelli ambientali – della temibile avventura, politici, economici, storici.

L’articolo integrale è leggibile al link 

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