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Sinodalità di facciata: il papa riorganizza la diocesi di Roma

Sinodalità di facciata: il papa riorganizza la diocesi di Roma

Tratto da: Adista Notizie n° 2 del 21/01/2023

41332 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Una grande occasione mancata. Si presenta così la nuova Costituzione apostolica In ecclesiarum comunione circa l’ordinamento del Vicariato di Roma, con cui – venticinque anni dopo la Ecclesia in Urbe di Giovanni Paolo II – il vescovo di Roma, papa Francesco, procede alla riorganizzazione dell’organismo che, nella Capitale, svolge la funzione di Curia diocesana e che ormai da qualche anno attraversa grandi difficoltà, come dimostrano, per esempio, l’avvicendamento repentino di diversi vescovi e il grande potere conquistato da alcuni responsabili di settore, a cominciare dal segretario generale, il prete neocatecumenale cremonese Pierangelo Pedretti.

In generale, infatti, si afferma di voler valorizzare la «sinodalità» e la «collegialità episcopale». Nella sostanza però entrambe sono rigidamente sottoposte al giudizio finale e al potere decisionale del vescovo di Roma, cioè il pontefice, così da sembrare limitate se non vigilate. Il ruolo dei laici, poi, è pressoché inesistente, ridotto a mero ornamento di funzioni saldamente in mani ecclesiastiche. Insomma papa Francesco avrebbe potuto “osare” di più e rendere la diocesi di cui è vescovo una sorta di esperimento avanzato di quella sinodalità tanto declamata, così da costituire un modello anche per altri territori. Ha invece preferito limitarsi a riorganizzare l’esistente, senza alcun “balzo in avanti”, anche per tentare di governare una situazione piuttosto fuori controllo.

I principi generali: Chiesa sinodale e in uscita

Eppure l’ampio proemio delinea un’immagine di Chiesa romana che utilizza la «sinodalità» come metodo ed elemento costitutivo: «Sentiamo con particolare urgenza la chiamata alla conversione missionaria di tutta la Chiesa, accompagnata da una più viva consapevolezza della sua dimensione costitutivamente sinodale – si legge al paragrafo n. 2 –. Per rianimare la missione, nel primato della carità e nell’annuncio della misericordia divina, vanno sostenute e promosse, in sinergia, la collegialità episcopale e l’attiva partecipazione del popolo dei battezzati». Prosegue il paragrafo n. 4: «La Chiesa perde la sua credibilità quando viene riempita da ciò che non è essenziale alla sua missione o, peggio, quando i suoi membri, talvolta anche coloro che sono investiti di autorità ministeriale, sono motivo di scandalo con i loro comportamenti infedeli al Vangelo».

Poi una «chiesa in uscita» – più volte evocata da Bergoglio –, che abbia il coraggio e la tensione ad andare oltre le rassicuranti mura del tempio: «A Roma, come nelle altre Chiese particolari, bisogna continuare ad ascoltare la voce dello Spirito Santo che si manifesta anche oltre i confini dell’appartenenza ecclesiale e religiosa, curando uno stile sinceramente ospitale, animati dalla spinta di chi esce a cercare i tanti esiliati dalla Chiesa, gli invisibili e i senza parola della società», detta il paragrafo n. 5: «Meglio comunità inquiete, prossime “agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti”, che luoghi a chiusura stagna». E perché questo sia possibile – è spiegato al paragrafo successivo – bisogna «valorizzare la comune dignità battesimale, anche tramite istituzioni, strutture e organismi rinnovati. È compito essenziale del vescovo garantire uno spazio aperto a tutti, dove ciascuno trovi posto, abbia la possibilità di prendere la parola, sentendosi ascoltato e imparando ad ascoltare», favorendo «più larghe e inclusive soggettività pastorali, estendendo la partecipazione e la condivisione delle responsabilità: “Camminare insieme scopre come sua linea piuttosto l’orizzontalità che la verticalità”».

Infine una chiesa «ospedale da campo» – altra immagine bergogliana –, perché «un numero rilevante di persone e di famiglie che abitano i diversi quartieri della città di Roma, non solo le periferie, è gravato da pesanti difficoltà economiche, sociali, psicologiche e sanitarie. L’invecchiamento della popolazione, la crisi demografica, la presenza di persone senza fissa dimora, sono conseguenza di scelte poco avvedute, oltre che sintomo delle fatiche e delle incertezze del nostro tempo. I cristiani di Roma, e in particolare coloro ai quali sono affidati incarichi e responsabilità pastorali, siano consapevoli di dover svolgere la loro missione in un contesto nel quale molte persone si trovano a vivere situazioni di grande sofferenza. Particolare impegno deve riversarsi nell’accoglienza dei tanti rifugiati e migranti perché la Chiesa di Roma sia, per tutte le altre Chiese, testimone del fatto che nessuno deve essere escluso».

La riorganizzazione reale: accentramento papale e clericale

Fin qui il proemio. Quando poi si arriva ai 43 articoli della Costituzione, cioè quelli che dovrebbero tradurre in prassi ecclesiali quanto affermato nei principi generali, di quei contenuti espressi nel proemio si trova poco o nulla. E al contrario emerge una struttura centralistica, verticale e clericale, declinata con un linguaggio normativo e un lessico perentorio.

La catena di comando della diocesi è composta dal papa-vescovo di Roma in ruolo apicale, seguito dal cardinal vicario, dal vicegerente e dai vescovi ausiliari.

Il vicario – che deve essere necessariamente un cardinale, attualmente è Angelo De Donatis – «a mio nome e per mio mandato, avvalendosi della collaborazione degli altri miei vescovi ausiliari, tra i quali scelgo il vicegerente, esercita il ministero episcopale di magistero, santificazione e governo pastorale per la Diocesi di Roma con potestà ordinaria vicaria nei termini da me stabiliti», declama l’articolo 10. Ma «non intraprenderà iniziative importanti o eccedenti l’ordinaria amministrazione senza aver prima a me riferito».

Terzo in grado è il vicegerente – il papa ha nominato mons. Baldassare Reina, arrivato a Roma dalla diocesi di Agrigento solo sei mesi fa –, a cui la In ecclesiarum comunione attribuisce una molteplicità di incarichi, superiori anche a quelli del cardinal vicario, tanto da far sembrare l’operazione una sorta di commissariamento dello stesso De Donatis, con cui i rapporti da un po’ di tempo si sono sfilacciati. Il vigegerente, infatti, coordina l’amministrazione interna della Curia diocesana, dirige gli uffici della Segreteria generale del Vicariato (praticamente azzerato, quindi il ruolo del segretario generale) modera gli uffici del Vicariato nell’esercizio delle loro funzioni, convoca mensilmente la riunione dei direttori di tutti gli uffici del Vicariato, fissa i criteri per una corretta applicazione del principio dell’interlocuzione unica nei rapporti tra il Vicariato e le altre autorità, cura che i dipendenti del Vicariato svolgano fedelmente i compiti loro affidati.

Infine i vescovi ausiliari, che «hanno potestà ordinaria vicaria» nel settore territoriale per cui sono stati nominati, quindi «prendono le opportune decisioni pastorali e amministrative riguardo al proprio territorio con attento discernimento e, dopo aver sentito il parere degli altri membri del Consiglio episcopale, in accordo con il cardinale vicario, compiono gli atti amministrativi di loro competenza» (i vescovi ausiliari sono il gesuita Daniele Libanori, Daniele Salera, Riccardo Lamba, Dario Gervasi, Paolo Ricciardi e Benoni Ambarus, oltre al vicegerente Reina). Fino a un certo punto però, perché per esempio per la nomina dei parroci l’ultima parola spetta al papa. Il vescovo ausiliare infatti, «dopo aver verificato le condizioni della parrocchia, le sue esigenze, e il lavoro svolto dal parroco o dal viceparroco da sostituire, ascoltato il Consiglio pastorale parrocchiale interessato, relaziona al Consiglio episcopale ove si procede al confronto riguardo ai presbiteri che nella diocesi si ritengono adatti all’ufficio. Dei candidati debbono essere valutate anche le caratteristiche spirituali, psicologiche, intellettuali, pastorali, e l’esperienza compiuta nell’eventuale precedente servizio. Si dovrà, per questo, raccogliere il parere dei formatori, nel caso di candidati più giovani, e dei vescovi che ne conoscono la personalità e le esperienze pregresse. Il cardinale vicario, compiuto l’iter, mi sottopone per l’eventuale nomina i candidati all’ufficio di parroco, e nomina i viceparroci».

Queste tre figure – vicario, vicegerente e vescovi ausiliari –, oltre naturalmente al papa, compongono il Consiglio episcopale, «primo» organismo della sinodalità, che nella sua azione, consulta una serie di altri «organi sinodali», tutti ad alta densità clericale: il Consiglio pastorale diocesano, il Collegio dei consultori, il Consiglio dei prefetti e il Consiglio presbiterale. Fermo restando che «l’elaborazione e la verifica del programma pastorale diocesano, nonché la formulazione delle linee direttive dell’immediata azione pastorale da parte del Consiglio episcopale, debbono essere approvate dal cardinale vicario e da me ratificate».

Altri organismi importanti sono poi il Consiglio diocesano per gli affari economici, che «mi coadiuva nell’ambito dell’amministrazione economica della Diocesi» e ha il compito di «tradurre le indicazioni di natura pastorale in concrete disposizioni economiche e finanziarie». E un nuovo «organo di controllo interno»: una Commissione indipendente di vigilanza, composta da sei membri (tutti di nomina papale), «che una volta l’anno relazioni a me dopo essersi riunita a cadenza mensile, e aver verificato l’andamento amministrativo, economico e di lavoro del Vicariato». Ci sono infine circa 40 uffici – i cui responsabili restano in carica cinque anni, prorogabili solo per un altro quinquennio –, suddivisi in nove ambiti (formazione cristiana; clero, diaconato e vita religiosa; cura delle età e della vita; educazione; carità; chiesa «in uscita»; amministrazione dei beni; giuridico; segreteria generale), più il Servizio per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, affidata al vescovo Lamba.

La nuova Costituzione entrerà in vigore il 31 gennaio. Il tempo dirà se riuscirà a rimettere ordine nella diocesi del papa.

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