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Privazione della libertà personale, pressione, ricatti emotivi, mistificazione spirituale: le testimonianze sulla Famiglia di Maria

Privazione della libertà personale, pressione, ricatti emotivi, mistificazione spirituale: le testimonianze sulla Famiglia di Maria

ROMA-ADISTA. Profonde devianze teologiche e spirituali e uno stile di governo sottilmente tirannico imposto da trent'anni ai membri della Famiglia di Maria – associazione di fedeli commissariata dal Vaticano, v. la prima parte della nostra inchiesta – dal co-fondatore, presidente e direttore spirituale p. Gebhard Paul Maria Sigl (ora deposto dalle sue funzioni) hanno colpito e colpiscono tuttora profondamente il vissuto personale e comunitario dei membri; sono gli stessi sopravvissuti e i testimoni che abbiamo contattato a esprimersi in questi termini, rivelando traumi psicologici e spirituali che continuano a condizionare pesantemente la loro vita, anche qualora siano riusciti a ricostruirsi. Una lettera del 1995 di un ex membro a mons. Pavel Maria Hnilica, fondatore morale della comunità, che metteva in guardia contro derive e deviazioni teologiche, spirituali e non solo è restata lettera morta. Il tempo è passato, le derive, all'origine di abusi psicologici e spirituali, sono rimasti gli stessi.  

«I problemi della comunità sono legati alla figura di p. Gebhard Paul Maria Sigl», esordisce A., una testimone. «È un uomo con una enorme forza carismatica, una straordinaria capacità di persuasione, grazie alla quale riesce a convincere le persone a seguire una vocazione religiosa, in particolare giovani donne con una forte volontà di dedicarsi a Dio». Ma invece di procedere con un cammino di discernimento vocazionale, è lui stesso a comunicare ai potenziali candidati, con assoluta certezza, la natura della loro chiamata, riferendosi all'ispirazione dello Spirito Santo che gli era giunta. La libertà dell'uomo non è rispettata: Dio parla attraverso di lui; non obbedire alla parola di p. Paul significa non obbedire a Dio stesso». Inoltre «non c’è alcun tipo di formazione teologica, non si conoscono nemmeno i testi del Catechismo», prosegue A. Una volta entrati in comunità, p. Gebhard Paul Maria Sigl sottopone i nuovi membri a un percorso intensivo di preghiera, che non si basa sulla Liturgia delle Ore, con una scansione precisa della giornata, come in generale nelle comunità religiose, per tutte le persone consacrate della Chiesa cattolica, bensì solo sulla recita del rosario; vengono incanalati in una spiritualità quasi esclusivamente legata a rivelazioni private, non solo le apparizioni di Amsterdam di Ida Peerdeman – condannate dal Vaticano – del quale Sigl era amico stretto, ma molte altre, attribuite a uno stuolo di mistiche e mistici.

Derive teologiche a parte, altri e più gravi sarebbero i problemi all'origine di abusi spirituali e psicologici. Nelle comunità «c'è mancanza di libertà e molta pressione; ciò che mi ha sempre inquietato – prosegue la nostra testimone - è che p. Gebhard Paul Maria Sigl, quando svela alla persona la sua vocazione, le comunica anche il suo santo protettore. Ma non le impone solo il nome religioso di quel santo: pretende che costui o costei lo assuma a modello e ne ricalchi le tracce, imitandolo, sforzandosi con ogni mezzo di esserne all'altezza: ne fa solo una questione di volontà». Questo arbitrio genererebbe problemi profondi: oltre al fatto che questa vocazione “imposta” può essere lontanissima dalla personalità e dai tratti del nuovo membro, spesso questi se ne sente schiacciato, sviluppa depressione, sensi di colpa, bassa autostima, senso di fallimento e alla fine crolla psicologicamente. Ma davanti al malessere «la risposta di p. Paul è sempre la stessa: se veramente lui o lei si fosse impegnato, tutto avrebbe funzionato. Il fallimento è unicamente colpa sua: non prega abbastanza, non è abbastanza obbediente e dunque non “corrisponde” abbastanza alla visione che Dio aveva per lui/lei». Tutto è ritenuto possibile perché «quando il Signore chiama, attraverso p. Paul, bisogna rispondere». Un ricatto psicologico a cui sottoponeva le persone della comunità, attribuendo sempre a Dio l'autorità delle sue parole. Davanti alla richiesta di visitare la famiglia d'origine, «p. Paul diceva che la mia famiglia era la comunità, e che Dio gli aveva detto era meglio che io restassi con loro, altrimenti ai miei cari sarebbe accaduto qualcosa di brutto», ci racconta B., ex membro. «Ci rendeva dipendenti da lui, dalle voci divine interiori, cercavamo il suo sorriso, segno di approvazione; se era arrabbiato entravamo nell'angoscia». E, seguendo la strategia del divide et impera, «tendeva a mettere uno contro l'altro parlando alle spalle, imponendo però di non riferire nulla: “Se parli, la benedizione di Dio su di te cesserà”».

Tutto questo avrebbe provocato diversi casi di profondo malessere, fobie e depressione, a volte progetti suicidari. Ma il disagio psichico non verrebbe mai riconosciuto per quello che è: anzi, tutto ciò che è legato alle scienze umane viene considerato di origine satanica: esse avrebbero come scopo quello di «far perdere la fede». «Quando qualcuno sta male, p. Gebhard Paul maria Sigl dice sempre che se si vivesse davvero l’obbedienza, se si pregasse abbastanza, se ci si impegnasse abbastanza, non si avrebbe nessun problema. In alternativa, il malessere è solo “la notte buia della fede”», spiega A.: qualcosa di fisiologico, un momento di crisi passeggera. In nessun caso, dunque, le persone in difficoltà ricevono un qualche tipo di aiuto: al contrario, la pressione su di loro aumenta ancora di più. E poiché chi arriva alla comunità ha un grande desiderio di dedicare la propria vita a Dio, «la cosa peggiore è considerata la perdita della fede, per cui ci si aggrappa a ciò che p. Paul impone per conservarla». A ciò va aggiunto che «l'immagine di Dio che ci veniva trasmessa – ci racconta B. – era quella di un Dio vendicativo, che non aspetta altro che noi sbagliamo per rendere la nostra vita un inferno». Quello che p. Paul prometteva – sempre a nome di Dio - a chi manifestava una volontà divergente o un dissenso.

E la pressione pare una delle costanti della vita religiosa della comunità. La stessa “Madre Agnes”, al secolo Franziska Kerschbaumer (anche lei attualmente rimossa dal suo incarico), non avrebbe mai fatto un vero noviziato o formazione, investita a poco più di vent’anni del ruolo di “madre” della comunità e di depositaria di un ruolo carismatico a vita.

L'altra costante, secondo le testimonianze che abbiamo raccolto, è la centralità della sofferenza: «Bisogna offrire ogni sofferenza (fisica, spirituale, psicologica) a Dio per la santificazione dei preti», racconta A. Se non c'è sofferenza, non c'è autenticità. E poi il “servizio”: perché le consacrate, che entrando sono state spesso costrette a interrompere gli studi o il lavoro, e che non ricevono dalla comunità alcun trattamento previdenziale, di fatto tengono in piedi la comunità con il loro ruolo al servizio della casa e dei preti. «Ti rendi conto che non hai vie di uscita – spiega ancora B. -, andarsene è difficile, anche perché p. Sigl raccoglieva da noi anche un contributo economico, e ci sono persone che si sono ritrovate senza nulla».

Già, andarsene è difficile. In un contesto così tossico e claustrofobico, in cui i membri sono stati metodicamente addestrati a dubitare di sé e dei propri pensieri, è molto doloroso e lento il percorso verso la consapevolezza. E il prezzo da pagare in termini di disinvestimento da un progetto di vita riguardante ciò che è vissuto come il nucleo del proprio essere, la fede, è complesso. Accade quando qualche elemento comincia a non tornare, quando sopraggiunge qualche fattore esterno e si apra una breccia dentro di sé: ma bisogna in ogni caso avere forza e non temere di chiedere aiuto all'esterno, anche per superare il timore delle minacce psicologiche: «Quando gli ho detto che me ne sarei andata – ricorda B. - mi ha risposto se avessi lasciato la comunità avrebbe raccontato a tutti gli altri che ogni volta che affermavo di non sentirmi bene, in realtà simulavo, che ero una bugiarda». Ma sembra che ormai un sano dubbio stia sfiorando più di qualche persona, all'interno della comunità.

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