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Famiglia di Maria: le derive settarie nella lettera del 1995  di un ex membro a mons. Hnilica

Famiglia di Maria: le derive settarie nella lettera del 1995 di un ex membro a mons. Hnilica

ROMA-ADISTA. «Attaccamento unilaterale ed esagerato alle rivelazioni private»; inutilità di una guida spirituale; «errore di credere che il "padre spirituale" possiede da solo "tutta la luce" del piano di Dio per i chiamati»; «totale fissazione psicologica e spirituale dei guidati rispetto all'autorità mistico-carismatica dell’autorità di una guida umana»; educazione distorta, «secondo la quale non sarebbe necessario assumersi la propria responsabilità per le decisioni fondamentali della vita» che vanno lasciate «alle guide spirituali»; «paura di misurare l'autorità carismatica dei padri spirituali con la luce e l'autorità della Chiesa»; "mentalità elitaria" derivante dal credere di essere il piccolo gregge destinato al rinnovamento della Chiesa; «erronea convinzione che le ordinazioni sacerdotali possano essere conferite anche senza il permesso o il mandato dell'autorità ecclesiastica competente»; «esagerata attesa imminente del ritorno di Cristo, misurata su "giorni e ore" concreti rivelati al fondatore della comunità; «rapporto distorto con l'autorità ecclesiastica e l'obbedienza ecclesiastica»; «attitudine a non rendere conto a nessuno del nostro "cammino"».

Sono questi alcuni dei gravi problemi messi in luce, in una lunga lettera inviata nel 1995 a mons. Pavel Maria Hnilica, fondatore morale dell’associazione di fedeli Pro Deo et Fratribus - Famiglia di Maria, da uno dei membri fuoriusciti dalla “comunità di Innsbruck”, ossia l’Opera dello Spirito Santo di p. Joseph Seidnitzer (un abusatore seriale condannato tre volte al carcere), dissolta dal Vaticano nel 1990 per gravi derive.

Come abbiamo raccontato nella prima parte della nostra inchiesta, fu raccogliendo i membri rimasti orfani di questa comunità austriaca che il controverso mons. Hnilica cercò di ridare linfa alla “sua” Pro Deo et Fratribus, comunità che negli ‘80 e ‘90 fu utilizzata come centro di smistamento di denaro proveniente dalle casse dello Ior, ufficialmente per aiutare le Chiese dell’Est Europa. Hnilica cercò di darle una nuova identità ribattezzando la comunità “Famiglia di Maria” (che oggi è commissariata dal Vaticano), ma del gruppo di membri provenienti dall’esperienza di Innsbruck alcuni rifiutarono il “nuovo corso”. Che in realtà tutto era fuorché nuovo: il cofondatore, presidente e direttore spirituale era il pupillo di Seidnitzer, p. Gebhard Paul Maria Sigl, che nella sostanza replicò nella Famiglia di Maria le stesse dinamiche abusive e lo stesso dispotismo che avevano caratterizzato l’Opera dello Spirito Santo. Sigl - che insieme ad altri quattro fu ordinato prete da Hnilica senza aver compiuto studi in seminario e che per trent’anni ha ricoperto tutti i ruoli spirituali e amministrativi - ha impresso alla comunità un’identità problematica, sia dal punto teologico (il ricorso quasi esclusivo a una spiritualità fondata su rivelazioni private) che del rapporto con i membri (schiacciati e accecati dal suo potere, espressione, a suo dire, della volontà di Dio stesso).

La lettera a Hnilica del membro che se ne staccò, qui riportata in versione integrale, evidenzia le gravi derive dell’epoca, giunte praticamente intatte fino a ora.

 

Roma, Avvento 1995

Caro Padre Paolo,

Sono cinque anni che non faccio più parte della "comunità di Innsbruck", della quale sono stato membro per quasi 20 anni. Perciò la conosco bene, sia nei suoi aspetti positivi che in quelli negativi, e sono riuscito a farmene un'idea precisa.

Tra il 1991 e il 1993, ho avuto diverse occasioni di parlarle personalmente di questo argomento e di richiamare la sua attenzione su un gran numero di problemi del nostro passato che necessitavano di una chiarificazione e di un risanamento. Si trattava di distinguere il frutto buono da quello cattivo, di separare il "grano" dalla "pula", di estirpare le "erbacce" alla radice e di "bruciarle". Ne abbiamo discusso insieme in diverse occasioni, sia individualmente che in gruppo. Ma da un incontro all'altro, sembrava che non ricordasse quello che le avevo detto, quello che le avevamo detto. Come dice il proverbio: "verba volant, scripta manent". Per questo motivo vorrei mettere per iscritto ciò che ho detto oralmente all'epoca, per quattro motivi: in primo luogo perché il già citato "discernimento dello spirito" non è mai avvenuto; in secondo luogo, perché le conseguenze di questa omissione sono ancora oggi presenti e, in terzo luogo, perché riguarda direttamente coloro che sono diventati membri della sua comunità, in quarto luogo, perché io sono convinto che, essendo uno degli "anziani" della vecchia comunità, posso e devo contribuire a questo "discernimento" con il motto: "caritas quaerens veritatem" (1Cor. 13,6).

Prima di tutto, vorrei sottolineare, sulla base della mia lunga esperienza personale, che c'erano molti frutti buoni nella nostra comunità: in primo luogo, la nostra aspirazione alla santità, cioè volevamo amare Dio sopra ogni cosa; eravamo veramente pronti a dare la nostra vita a Dio; abbiamo coltivato un amore profondo per Maria, e un rapporto profondo con gli angeli e i santi, oltre a un'intensa vita di preghiera e di comunità.

Ma - purtroppo - accanto ai frutti buoni e genuini - nella nostra comunità c'erano anche altri frutti che non erano buoni, che non erano autentici. Eravamo effettivamente anche malati, danneggiati, deformati nell'anima. Chiamo col loro nome le principali “malattie”:

1) Ci mancava una "sana distanza" dalla mistica di padre Joseph (di Gebhard); essa occupava praticamente il primo e più importante posto nella nostra vita.

2) La mistica di P. Joseph/Gebhard ci è stata trasmessa senza essere sottoposta (prima o dopo) all'esame e al discernimento di una saggia guida spirituale.

3) Siamo stati addestrati a fidarci incondizionatamente della mistica dei nostri padri spirituali, perché secondo la loro esperienza interiore, solo loro avevano la "luce" di Dio - e tutta la luce - per la nostra vita, per la nostra vocazione. Questo ha provocato in noi una fissazione psicologica e spirituale quasi totale su Joseph/Gebhard; vale a dire che qualsiasi altra autorità ecclesiastica era "reale" per noi solo se corrispondeva a ciò che p. Joseph/Gebhard dicevano.

4) Abbiamo perso la nostra libertà interiore: la libertà di pensare, di esaminare, di assumerci le nostre responsabilità davanti a Dio e davanti agli uomini. Al contrario, p. Joseph/Gebhard prendevano per noi le grandi (e spesso anche le piccole) decisioni per la nostra vita. Credevano che questa fosse la volontà di Dio, e così ci hanno di buon grado scaricati delle nostre responsabilità, e la nostra "fiducia infantile" ci ha salvato da molti problemi quotidiani e molti dei problemi della vita. In altre parole, eravamo come bambini nel grembo materno, che non avevano bisogno di respirare e di mangiare/bere da soli, ma che venivano riforniti di "ossigeno" e "cibo" dal cordone ombelicale dei loro padri.

5) Questa "immaturità" ci ha impedito di mettere in discussione, di esaminare o anche solo di dubitare dell'autorità di padre Joseph/Gebhard nei pensieri, nelle parole o nelle azioni, perché avevamo paura di opporci a Dio stesso.

6) Secondo l'esperienza mistica personale di p. Joseph (e confermata da Gebhard e in parte da altri mistici) eravamo destinati da Dio stesso alle più alte vocazioni possibili che esistono nella Chiesa; avevamo tra le nostre fila i "papi del futuro" che già esercitavano una sorta di "magistero parallelo".

Pensavamo di essere "gli apostoli dei tempi nuovi", gli "otri nuovi con il vino nuovo" per la "vecchia" Chiesa. Secondo l'esperienza interiore di padre Joseph/Gebhard, abbiamo ricevuto grazie mistiche che, nella storia della Chiesa, sono state concesse solo ai più grandi santi.

A causa della consapevolezza della nostra elezione superiore, si è formato in noi un "pensiero elitario" nei confronti di altri gruppi e comunità ecclesiali. Questo non ha favorito la nostra umiltà e non ha fatto altro che rafforzare il nostro atteggiamento critico nei confronti della "Chiesa che non corrispondeva alla grazia di Dio".

7) Abbiamo ricevuto da padre Joseph/Gebhard, per "ordine divino", le ordinazioni mistico-sacramentali di diacono, sacerdote, vescovo, che solo il papa o i vescovi legittimi hanno il diritto di conferire. Abbiamo fatto un uso parziale di queste ordinazioni - regolarmente all'interno della comunità, occasionalmente all'esterno - soprattutto indossando i paramenti liturgici sacerdotali e con la "concelebrazione". Eravamo convinti che queste consacrazioni erano volute da Dio, e quindi valide ai suoi occhi, e che sarebbero state riconosciute dalla Chiesa dopo l'"intervento divino".

8) Temevamo (giustamente) che la "Chiesa" non avrebbe accettato la nostra mistica e le nostre vocazioni; ma in innumerevoli occasioni ci è stato fatto capire che Dio stesso ci avrebbe confermato e così riabilitati davanti alla Chiesa e al mondo con un "intervento” apocalittico mondiale imminente. Le date concrete di questo intervento ci sono state comunicate in diverse occasioni e non si sono mai realizzate...

9) A causa della nostra "attesa di un intervento", siamo stati guidati da p. Joseph/Gebhard alla disobbedienza ecclesiastica; abbiamo cioè semplicemente ignorato le istruzioni dei vescovi competenti e delle congregazioni vaticane ogni volta che volevano intervenire nella nostra comunità (scioglimento, sospensione).

10) Per le stesse ragioni, abbiamo rischiato conflitti e rotture con la nostra famiglia, i nostri parenti e i nostri amici. In molti casi, infatti, non abbiamo voluto o potuto rivelare la nostra "mistica" che era alla base del nostro comportamento. E così abbiamo dovuto rispondere a domande sulla nostra situazione (ad esempio, "perché non sei riconosciuto, perché non sei (ancora) ordinato?") o con il silenzio o con risposte evasive e verità parziali che, con il passare del tempo, sembravano sempre meno credibili.

Conclusione: alcuni di noi sono arrivati a capire che non potevamo continuare così, tanto più che l'"intervento divino", previsto più volte e da tempo predetto in diverse occasioni e da noi tanto atteso, non si è verificato. Per questo motivo abbiamo insistito con i nostri padri spirituali perché cercassero una soluzione con la Chiesa. Nonostante l'opposizione di p. Joseph, Gebhard era finalmente pronto a farlo. A nome della comunità, ha chiesto aiuto al cardinale Groër che era pronto a farlo, a condizione che ci attenessimo alle sue istruzioni, cioè alle decisioni prese dalla Chiesa fino a quel momento.

Questo cambiamento di rotta "in direzione della Chiesa" ha causato una "crisi di identità" in molti di noi, perché i nostri padri spirituali ci avevano insegnato negli anni a non obbedire alla Chiesa "in nome di Dio"; e improvvisamente dovevamo obbedire alla Chiesa! Questa contraddizione ha portato alla conclusione logica: dunque abbiamo sbagliato allora, dunque padre Joseph/Gebhard si sono sbagliati nella loro mistica!

Di conseguenza, la loro autorità fino ad allora intoccabile è stata scossa, almeno in quelli di noi che hanno iniziato a riflettere per conto proprio e a fare il punto sugli errori e gli sbagli commessi.

È così che è iniziata la divisione della comunità in due schieramenti, il gruppo dei "critici", i "ribelli", e il gruppo dei "fiduciosi", i "fedeli", che hanno rinunciato a pensare con la propria testa, proprio in linea con lo spirito dei leader.

I "critici" tra di noi consideravano uno dei passi più importanti e necessari quello di operare ora un "discernimento spirituale": vale a dire, di esaminare tutto, di conservare il "grano" del bene, ma di separare e bruciare la "pula", cioè di riconoscere errori, sbagli e inganni, di riconoscerli, nominarli, pentirsene e prenderne le distanze interiormente/esternamente.

Da questo dipendevano questioni decisive per la comunità, ovvero

1. prevenire o alleviare le crisi individuali: in effetti, il nostro passato contraddittorio aveva portato alla confusione spirituale e al disordine molti di noi, con conseguenti crisi di fede e di vocazione, crisi di identità e crolli nervosi.

2. Recuperare l'unità perduta e porla su un "nuovo fondamento" per noi, vale a dire: in primo luogo l’obbedienza, poi la mistica.

3. La nostra riconciliazione con l'autorità ecclesiastica, in particolare con i vescovi diocesani nella cui giurisdizione ci trovavamo (per residenza, domicilio, origine).

4. il nostro futuro nella Chiesa come comunità (riconoscimento) e il futuro dei fratelli che volevano diventare sacerdoti (ordinazioni).

Questa chiarificazione, tuttavia, purtroppo non ha avuto luogo: (in primo luogo) perché non è stata voluta da Gebhard (e comunque da padre Joseph), e quindi (in secondo luogo) perché è stata rifiutata dai "fedeli". Il gruppo di "critici" ha poi cercato di imporre questa chiarificazione con pressioni, anche queste fallite.

La nostra speranza era lei, Padre Paolo. Per la sua autorità morale e carismatica su ciascuno di noi (almeno in quel momento), avrebbe avuto la possibilità di aiutarci tutti, cioè entrambi i gruppi.

Perché ha avuto la bontà - fin dal nostro primo incontro nel dicembre 1989 - di aiutare la nostra comunità nella sua grande crisi. Ci ha portati a Roma e si è preso la responsabilità morale e materiale di aiutarci. Ha promesso di aiutare la nostra comunità a essere riconosciuta dalla Chiesa. Era entusiasta della nostra spiritualità.

Come abbiamo detto in precedenza, c'era un disaccordo in seno alla nostra comunità sulla valutazione del nostro comportamento che ci aveva portati a un lungo conflitto con l'autorità ecclesiastica. Per varie ragioni, non siamo riusciti a risolvere la questione internamente e, di conseguenza, la tensione tra i gruppi della comunità ha continuato a crescere.

Le abbiamo quindi chiesto di dirci "ufficialmente" cosa pensa di noi. Lo ha fatto in una LETTERA a noi indirizzata (25.3.1991). La sua lettera è stata scritta con la reale intenzione di aiutarci; voleva portarci conforto e serenità. Tra le altre cose, lei ha scritto:


"La mia convinzione sul vostro passato è che (...) voi siete stati ben formati. È solo (...) dove è all'opera un carisma autentico che troviamo giovani come voi, con questo spirito e questa disponibilità. (...) Dobbiamo preservare il carisma che vi ha generati, vi ha fatto nascere, e che vi ha guidati fino a oggi. (...) Per questo ti chiedo (…) di attendere il giorno in cui la Chiesa esaminerà questo carisma. (...) La Chiesa giudica solo dai frutti se l’albero è buono o no (...) Finora questi frutti sono stati buoni, autentici. (…)".


Vorrei prendere una posizione dettagliata su queste dichiarazioni, così elogiative a nostro riguardo:

1) Lei scrive: "Siete stati ben formati". Per quanto riguarda la "buona formazione": sì, ce n'è stata una; l'ho riassunta all'inizio della lettera.

2) Riguardo al "carisma autentico" che ci ha "generati, fatti nascere e guidati fino a oggi": anche questo era presente: l'azione della grazia di Dio era visibile e percepibile!

3) Lei ci chiede di "attendere il giorno in cui la Chiesa esaminerà questo carisma". Vorrei dire due cose al riguardo:

a) Padre Paolo, la Chiesa ci ha esaminati; ha esaminato innanzitutto il carisma della nostra umiltà, e l'obbedienza, come fa sempre con i carismatici e i mistici; ci ha "pesato" e ci ha trovato "troppo leggeri".

b) Quando lei, Padre Paolo, si è assunto la "responsabilità morale" nei nostri confronti, sarebbe stato suo compito verificare il nostro carisma, per così dire, "in nome della Chiesa", e questo "ora". Quel momento era il "kairòs", il momento ideale per esaminare, ed esaminare tutto: non solo il "grano", ma anche la "gramigna", e poi separare le due cose! Qualsiasi rinvio di questo esame avrebbe portato, e ha portato, a un danno per la comunità...


4. Lei scrive: "La Chiesa giudica solo dai frutti se l'albero è buono o no". E sottolinea: "Finora questi frutti sono stati buoni e autentici".

Sì, c'erano frutti davvero buoni, che molte persone che ci conoscevano più da vicino avevano sperimentato, e che ha affascinato anche lei, Padre Paolo. Ma non tutti i nostri frutti erano buoni e autentici!

Avrebbe dovuto menzionare anche questi! Purtroppo non l’ha fatto. Nella sua lettera ammette indirettamente che ce n’erano alcuni; senza nominarli, allude per cinque volte a quegli "altri frutti" che dovevano essere "circoncisi", o "gettati via". Lasci che glieli ricordi uno per uno:

- In una frase secondaria, lei afferma: "Anche se vi siete trovati al di fuori delle strutture giuridiche della Chiesa, siete nati (siete stati dati alla luce) nella Chiesa, nel suo cuore".

Qui ci saremmo aspettati che specificasse: a) perché ci siamo trovati "fuori", b) quali errori, sbagli, omissioni ed esagerazioni ci hanno "portato fuori", e c) cosa dovremmo fare per dimostrare alla Chiesa il nostro cambiamento di mentalità, dentro e fuori.

- Lei scrive poi: "Non è che voi siate stati fuori dalla Chiesa, ma adesso la comunità deve avere strutture giuridiche, verso le quali vi sto guidando". Intende dire che finora ci sono mancate solo le strutture giuridiche? Padre Paolo, il nostro problema era molto più profondo; era legato alla nostra "identità vocazionale" così a lungo e così profondamente plasmata: pensavamo di essere la "nuova Chiesa", la "Chiesa della Luce"; e anche se non eravamo fuori dalla Chiesa, nel nostro modo di pensare e nel nostro atteggiamento eravamo "al di sopra" della "vecchia Chiesa" e delle sue strutture giuridiche, che consideravamo comunque superate.

- Verso la fine della sua lettera, lei menziona "alcune irregolarità nel vostro percorso". Padre

Paolo, non possiamo e non dobbiamo minimizzare in questo modo i nostri errori nella forma e nell’impronta, che non sono rare e talvolta sono fondamentali. Questo è contrario alla verità.

- Poco più avanti, lei ammette indirettamente che i nostri leader sono colpevoli, poiché ci esorta a rimanere nell'amore "con coloro che vi hanno guidato. L'amore esclude ogni condanna, l'amore perdona tutto, comprende tutto, rimane nell'umiltà! Altrimenti, invece di aspettare che sia la Chiesa a giudicare, si rischia di distruggere moralmente chi vi ha trasmesso tanto bene fino ad oggi”.

Il suo consiglio, Padre Paolo, è buono e giusto: rimanere nell’amore è il primo comandamento. E ora le mie distinzioni sulla sua dichiarazione:

a) Sì, l'amore esclude la condanna di chi sbaglia, ma non dell'errore. Applicato a noi: non dobbiamo giudicare la persona dei nostri leader, ma dobbiamo avere ben chiara l'esistenza e la portata dei loro errori e delle loro mancanze.

b) "Perdonare tutto e comprendere tutto" è un requisito dell'amore, ma sarebbe stato molto più facile per noi se i principali responsabili avessero dato un segno di autentico pentimento e comprensione, alla Chiesa, e a noi. Così abbiamo dovuto portare un doppio fardello: il nostro e il loro, ma loro non erano disposti a portare il nostro.

c) Sì, "l'amore deve rimanere umile", ma non deve rinunciare alla verità; non deve voler nascondere il male, né tanto meno considerarlo buono. Il vero amore non è mai cieco! "Si compiace della verità", dice Paolo in 1 Cor. 13:6, ed è proprio l'intera verità su noi stessi che ci avrebbe liberato dalle catene dell'errore e dell'inganno a cui avevamo ceduto.

d) Lei ci ha consigliato di "attendere il giudizio della Chiesa"; Padre Paolo, "la Chiesa” ci ha giudicato in diverse occasioni, ovvero i vescovi diocesani responsabili per noi, nonché la Congregazione vaticana competente, compresa una lettera del cardinale Segretario di Stato in nome del papa; che abbiano giudicato correttamente è loro responsabilità. La nostra responsabilità è stata quella di aver ignorato queste autorità "in nome di Dio"!

Il tempo era quindi più che maturo per giudicare noi stesso o lasciarci giudicare, in modo che i veri frutti potessero finalmente essere separati da quelli falsi!

e) Per quanto riguarda la "distruzione morale" dei nostri leader da parte nostra, vorrei assicurarla che siamo noi, i guidati, a essere stati distrutti moralmente per primi; in primo luogo, dalla consapevolezza di essere stati ingannati su punti decisivi, e in secondo luogo, e soprattutto, dall'ostinato rifiuto dei leader: 1) di riconoscerlo, 2) di attribuirsene la colpa e 3) di riconoscerlo davanti alla Chiesa e alle persone che sono state ingannate.

- Infine, lei cita Giovanni 15:2b: "Ogni tralcio che porta frutto, il Padre lo purifica, perché porti più frutto". "Così sarà per voi”.

È esattamente quello che le abbiamo chiesto di fare, Padre Paolo. È lei che avrebbe dovuto procedere a una “purificazione", e questo sui dieci punti citati all'inizio; li riassumo di nuovo:

1) Purificazione dal nostro attaccamento unilaterale ed esagerato alle rivelazioni private.

2) Purificazione dalla nostra illusione di non aver bisogno di una guida spirituale per la mistica personale.

3) Purificazione dall'errore di credere che in quanto "padre spirituale" si possiede da solo "tutta la luce" del piano di Dio per i chiamati. Purificazione e liberazione dalla totale fissazione psicologica e spirituale dei guidati rispetto all'autorità mistico-carismatica dell’autorità di una guida umana.

4) Purificazione dalla nostra educazione distorta, secondo la quale non sarebbe necessario assumersi la propria responsabilità per le decisioni fondamentali della vita, come sposarsi, entrare in un convento, diventare sacerdote, ma secondo la quale si può e si deve lasciare tutto questo alle guide spirituali.

5) Purificazione e liberazione dalla paura di misurare l'autorità carismatica dei padri spirituali con la luce e l'autorità della Chiesa.

6) Purificazione dalla "mentalità elitaria" a cui siamo stati consapevolmente o inconsapevolmente formati.

7) Purificazione dalla nostra erronea convinzione che le ordinazioni sacerdotali possano essere conferite anche senza il permesso o il mandato dell'autorità ecclesiastica competente.

8) Purificazione dalla nostra esagerata attesa imminente del ritorno di Cristo, misurata su "giorni e ore" concreti (che ogni volta venivano "rivelati" a padre Joseph).

9) Purificazione dal nostro rapporto distorto con l'autorità ecclesiastica e l'obbedienza ecclesiastica.

10) Purificazione dalla nostra attitudine a non rendere conto a nessuno del nostro "cammino", dal nostro silenzio sulla situazione "ecclesiale" in cui ci siamo trovati.

Padre Paolo, lei ha deciso di non procedere alla purificazione o alla chiarificazione del nostro passato auspicate ed esigite dalla Congregazione vaticana per l'Educazione Cattolica, dai vescovi diocesani e da noi (oralmente e per iscritto)...

Come ho dovuto riconoscere in seguito, questo è stato il suo atteggiamento fin dall'inizio; infatti, quando abbiamo attirato la sua attenzione sui nostri problemi con la Chiesa, all'inizio del nostro incontro a Innsbruck, lei ha risposto: "Il vostro passato non mi interessa!”. È stato generoso da parte sua, ma pedagogicamente sbagliato per noi; perché stava dando a molti di noi il segnale di non preoccuparsi del passato. E questo era ovviamente molto più piacevole...

Così facendo, lei si è schierato: ha risparmiato padre Joseph e Gebhard, ha aiutato un gruppo a "dimenticare" lo spiacevole passato, ma l'altro gruppo, che aveva così tanto bisogno di un chiarimento, cioè della "verità che rende liberi", per la sua salute psicologica e mentale, lei non ha fatto che "ammansirlo", invece di dargli l'unica medicina efficace di cui aveva bisogno: un chiarimento franco!

Lei, Padre Paolo, non era pronto o in grado di farlo. E anche se non voleva o non aveva alcuna intenzione di farlo, ci ha lasciati soli nel nostro disagio psicologico, ci ha deluso, ci ha "sacrificato", ha reso impossibile internamente ed esternamente rimanere nella comunità...

Noi, "pecore ferite, smarrite, scacciate" (Ezechiele 34:16), abbiamo sentito questo comportamento nei nostri confronti ingiusto e scorretto; ne siamo stati frustrati, siamo presi da rabbia e amarezza e a volte abbiamo reagito in modo estremo nella nostra debolezza e nella nostra condizione di peccatori. Che Dio e lei ci perdoniate per questo... per quanto mi riguarda me ne sono pentito e l'ho confessato.

Ma le chiedo, Padre Paolo: perché non ha agito verso di noi come il "Buon Samaritano", e non ha prima pulito le "ferite sporche" della comunità con il "vino della verità", in modo che l'"olio dell'amore che perdona" potesse poi produrre l'effetto curativo desiderato? Questa "legge" si applica a ogni medico, compreso il medico dell'anima: le ferite impure, non adeguatamente disinfettate, non guariscono, o guariscono male.

Le conseguenze del suo peccato di omissione negli anni 1990-91 sono state gravide di conseguenze per noi, e in parte lo sono ancora.

Eccone alcune:

1) Le crisi dell'anima (fede, vocazione, nervi) si sono aggravate in alcuni membri.

2) La comunità rimane divisa: la distanza persiste, vecchie e profonde amicizie si sono spezzate.

3) Nonostante la buona volontà e la disponibilità a perdonare, rimane un "muro" invisibile tra di noi che può essere abbattuto solo da lei: dall'umile verità che porta al discernimento, al pentimento e alla volontà di cambiare mentalità.

4) La sua soluzione del "colpo di spugna" non ha portato alla riconciliazione della comunità e non ha potuto farlo, perché mancava degli elementi necessari per una riconciliazione: un onesto esame di coscienza, un umile discernimento e l'ammissione delle proprie mancanze, la confessione franca, il pentimento sincero, lo sforzo attivo per cambiare e riparare.

5) La sua "soluzione del silenzio" ha reso più difficile la "riconciliazione con la Chiesa", perché invece di eliminare le riserve che giustamente esistono su di noi, la diffidenza dei vescovi e delle congregazioni nei nostri confronti sono rimaste. La conseguenza è che lei e la sua comunità non siete supportati nel vostro lavoro come potreste esserlo altrimenti, e i vostri "frutti" sono quindi inferiori.

6) Di questo fatto lei individua la colpa negli altri, e non anche in sé stesso. Ignora ostinatamente, a suo detrimento, che molti membri della sua comunità che dimostrano così tanto idealismo e fanno così tanto bene, continuano a portare la "palla al piede" di un passato mai chiarito e "bonificato" a fondo.

7) Perché finché la "mistica del passato" non viene sottoposta a un vero e proprio "discernimento", essa rimarrà nella testa e nel cuore dei "fratelli e sorelle di Innsbruck". Tra quello che sento qua e là, elenco quanto segue:

a) la "vocazione petrina" di p. Joseph è stata trasmessa a p. Gebhard-Paulus; egli è destinato a continuarla e a realizzarla.

b) I "nomi di vocazione apostolica" rivelati misticamente a quel tempo continuano ad essere portati dai fratelli e dalle sorelle, ora anche in pubblico (ad esempio, p. Gebhard-Paulus, P. Rolf-Philippe, p. August-Johannes, sr. Birgitta-Mechthild, ecc.).

c) Le "nuove" vocazioni nella sua comunità sono suscitate da p. Gebhard alla "vecchia maniera", cioè sentendo che un giovane è chiamato, a cosa è chiamato, quale santo o santa in cielo è il suo protettore, quale compito concreto deve svolgere, ecc. E i chiamati sono entusiasti di questa nuova prospettiva, proprio come lo eravamo noi all'epoca.

Ora mi chiedo, e chiedo a lei, padre Paolo: p. Gebhard ha fatto conoscere la sua mistica - e tutta la sua mistica - a un direttore spirituale, ai suoi superiori? È stata verificata da loro? Ai giovani è lasciata la piena libertà di scelta personale?

Padre Paolo, non faccio queste domande per malevolenza, ma per esperienza personale degli errori commessi all'epoca, che non devono essere ripetuti! Perché purtroppo, abbiamo avuto una mistica "incontrollata" che è diventata la fonte di tanti problemi di “irregolarità".

Ecco perché sarebbe stato così importante effettuare il "discernimento dello spirito"! Ma poiché lei si è rifiutato di farlo, abbiamo dovuto farlo noi, ho dovuto farlo io, senza di lei, in qualche modo contro di lei e i fratelli e le sorelle che le obbediscono. Sono stato io stesso a provocare l'"incontro con la Chiesa" che lei mi aveva promesso, e quindi:

1. Ho fatto domanda di ammissione a un seminario gestito dalla Chiesa.

2. Ho accettato immediatamente e senza riserve le condizioni stabilite per l'ammissione all’ordinazione.

3. Ho avuto la volontà e l’onestà di assumere personalmente, interiormente ed esteriormente, la mia parte di responsabilità, per i "frutti marci" del nostro passato. Nel mio "ritorno alla Chiesa", non ho fatto finta che non fosse successo nulla, ma ho detto: "Madre Chiesa, ho peccato davanti a te e davanti a Dio", anche se non con intento malevolo, ma piuttosto per ignoranza e negligenza.

4. Mi sono sottoposto attivamente alla "purificazione ecclesiale".

5. Ho intrapreso passi concreti di riconciliazione e riparazione; ad esempio, ho presentato scuse scritte e personali all'autorità ecclesiastica competente, nonché alla mia famiglia, ai miei parenti e amici, a tutti coloro che sono stati in qualche modo coinvolti.

N.B.: Vorrei tanto - e non sono l'unico - che avessimo preso questi provvedimenti insieme! E in quel momento! Quanto avrebbe potuto essere utile e fruttuoso per tutti noi! "Se solo avessi riconosciuto quel giorno ciò che ti dà pace! Ma ora rimane nascosto ai tuoi occhi" (Lc 19,42).

Il "prezzo" della mia "iniziativa personale" è stato elevato: mi è costato allontanarmi dalla comunità e abbandonarla, ma ne è valsa la pena. Ho trovato la piena pace con la Chiesa, ho potuto annunciare pubblicamente a tutti le mie ordinazioni, posso muovermi liberamente come sacerdote, celebrare, predicare, ecc.

Le uniche vere difficoltà che rimangono riguardano i miei rapporti con lei. Perché ogni volta che la conversazione si sposta sul nostro "passato", sento lo stesso argomento, lo stesso rimprovero:

"Perché parlare ancora del passato? È passato!" La mia risposta è: sì e no. Qui dirò solo che questo argomento è doppiamente falso; 1) i "buoni frutti" del passato esistono ancora, grazie a Dio! 2) nemmeno i "cattivi frutti" del passato sono scomparsi - e tanto meno le loro conseguenze - fino a quando non saranno chiaramente separati e "rifiutati".

Padre Paolo, dopo tutte queste parole personali, vorrei farle un altro appello. È tratto dall'Apocalisse e merita di essere meditato:

All'angelo della comunità di "Roma e Mosca" scrivi:

"Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. Ma ti rimprovero che le tue azioni non sono pienamente valide agli occhi di Dio. Perché tu affermi: "Sono ricco e prospero e non mi manca nulla". Ma ti consiglio di acquistare

da me oro purificato dal fuoco, perché tu possa essere ricco; e di comprare collirio per i tuoi occhi, perché tu possa vedere.

Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo spirito dice alle chiese”. (Ap. 2:19; 3:2b. 17a. 18-19. 22)

Vorrei concludere con un proverbio dell'antichità e dire, applicandolo a noi:

"Amicus P. Josephus, P. Gebhardus, P. Paulus - sed magis veritas!".

Con i miei saluti sinceri e la mia benedizione sacerdotale.

 

* Mons. Pavel Maria Hnilica. Foto  di Jozef Bartkovjak SJ modificata da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.