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Oltre le religioni /4. Verso una teologia “integrale”

Oltre le religioni /4. Verso una teologia “integrale”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 7 del 25/02/2023

Quarta puntata del percorso di riflessione teologica sul postteismo, nuovo e affascinante volto della ricerca teologica contemporanea, curato da Giusi D’Urso, aderente all’Osservatorio Interreligioso sulle violenze contro le donne (OIVD). In questo numero un’intervista al rabbino Haim Fabrizio Cipriani, che nel 2017 ha fondato in Italia il movimento Etz Haim, per un ebraismo “senza mura” (v. Adista Documenti n. 26/21).

Innanzitutto, vorresti brevemente presentarti ai lettori di Adista?

Sono un rabbino e un musicista classico, concertista di violino e direttore. Il mio rabbinato è da sempre orientato verso l’apertura a ogni corrente del mondo ebraico, che è ampio e articolato, ma anche e soprattutto al mondo non ebraico. Ho strutturato tutto il mio servizio rabbinico in tal senso, creando fra l’altro la mia comunità Etz Haim, che è una “comunità ebraica senza mura”, dove ebrei e non ebrei studiano e pregano liberamente insieme, in un clima di totale apertura umana, spirituale e intellettuale.

Vorresti descrivere la situazione attuale, lo stato attuale, della teologia ebraica;

Il rabbino Samson Raphael Hirsh (1808-1888) diceva che «Mentre la teologia contiene i pensieri dell’uomo su Dio e sulle cose divine, la Torà contiene i pensieri di Dio sull’uomo e le cose umane». Martin Buber (1878- 1965) soleva invece dire che «noi non parliamo di Dio, ma a Dio». Questi due esempi mostrano che la teologia nella sua accezione classica è abbastanza estranea all’ebraismo, che si basa prima di tutto su fondamenti identitari, storici e normativi. Per questa ragione la cosiddetta teologia ebraica ha un carattere mai dogmatico e sempre molto esplorativo, basandosi su una impossibilità di definire e comprendere la Trascendenza, che per questa ragione non possiede neppure un nome. Se i pensatori ebrei post-illuministi avevano presentato concezioni che spesso cercavano di conciliare le tendenze filosofiche moderne con la tradizione ebraica, nel mondo moderno postmoderno la filosofia, la scienza, una nuova visione del mondo e dell’Uomo, il femminismo e molti altri fattori hanno sfidato molte delle concezioni tradizionali, spingendo i teologi ebrei a posizioni talvolta radicali, che vado ad accennare brevemente.

Mordekhay Kaplan (1881- 1983) abbraccia i progressi scientifici della modernità e rifiuta la credenza nelle forze soprannaturali, definendo Dio come una forza impersonale che offre agli uomini un'opportunità di salvezza, ma sempre per mano dell’Uomo.

Una delle grandi sfide della teologia moderna è la lettura della Shoah. Una volta sgombrato il campo dalla possibilità intollerabile che drammi simili costituiscano punizioni divine, i teologi ebrei hanno esplorato strade diverse. Secondo Richard Rubenstein (1924-2021) alla luce della Shoah possiamo affermare che non vi può essere più spazio per l’idea di un progetto divino, e che qualsiasi alleanza è morta. Forse Elie Wiesel esprime indirettamente qualcosa di analogo nel suo La notte. Nel vedere un ragazzo impiccato un uomo chiede «Dov'è Dio?», al quale viene data la risposta: «È appeso a quella forca».

Emil Fackenheim (1916-2003) sostiene che la Shoah ci rivela un nuovo obbligo religioso, quello di concedere a Hitler la vittoria postuma. In quest’ottica rifiutare Dio a causa della Shoah sarebbe come arrendersi a Hitler.

Il filosofo Hans Jonas, unica figura non rabbinica fra quelle qui citate, è addirittura critico sul fatto che Dio avesse la facoltà di fermare i nazisti.

Eliezer Berkovits sostiene che eventi come la Shoah sono il prezzo da pagare per il libero arbitrio umano.

Irving Greenberg sostiene che la relazione con la Trascendenza finisce con la Shoah, spezzata da una divinità che a questo punto non ha più l'autorità morale di esigere nulla. A questo punto il popolo ebraico può solo accettare la legge su base volontaria.

Anche il pensiero femminista sfida le idee tradizionali. Pensatrici femministe contemporanee come Judith Plaskow e Rachel Adler notano che le immagini divine nella letteratura e nella liturgia ebraica tradizionale sono quasi esclusivamente maschili, aspetto che implicitamente valorizza maggiormente i maschi. La rabbina Marcia Falk rivisita le poche immagini femminili tradizionali della Trascendenza (come la Shechinà nella mistica) e sperimentano nuovi modi di immaginarla e nominarla anche nella liturgia.

In che rapporti si pone tale teologia rispetto alla cristiana, e più in generale in un dialogo ecumenico?

Recentemente don Giuliano Savina, direttore dell'Ufficio nazionale per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei ha affermato che il dialogo con gli ebrei è un elemento chiave dell’identità cristiana. Anche se si tratta di dichiarazioni istituzionali che non sempre traducono volontà specifiche, questo tipo di presa di coscienza è importantissimo. Dal mio punto di vista il fattore più importante in tutto questo processo è la crescita di interesse da parte delle persone comuni, cosa che rende il dialogo e lo scambio molto più fertili e ricchi rispetto a quando esso avviene solo a livello di leader e professionisti del settore. La situazione del mondo e dell’uomo oggi mettono in crisi qualsiasi teologia elaborata nel passato, e avremmo tutti una grande esigenza di confronto al riguardo. Nell’ebraismo questo non può che avvenire attraverso lo studio, e personalmente non posso che sperare vi siano in futuro sempre più gruppi di studio che federino diverse espressioni religiose e spirituali.

Come ti poni, o come si pone la teologia ebraica, in rapporto all'onnipotenza eventuale di Dio?

Abbiamo visto precedentemente come il filosofo Hans Jonas si chieda se Dio avesse realmente la facoltà di fermare il genocidio. Esiste un filone nell’esegesi ebraica che vede fin dal racconto della Creazione alcuni piccoli segni, come il tentativo divino di creare un albero-frutto, che però si concretizza in un albero che fa frutti, o ancora due grandi astri che però di fatto sono un astro grande e uno piccolo [Gen. 1,11-16]. Queste particolarità sembrano suggerire che la Creazione fin dall’inizio sfugga al controllo della Trascendenza. In forme diverse, l’idea di una potenza divina certamente estesa ma non totale è espressa non solo da pensatori moderni, ma anche da classici. Saadiah Gaon [X sec.] nel suo Emunot veDe’ot (“Credenze e opinioni”) sostiene che la Trascendenza, che può fare ciò che è impossibile per noi, non ha però la possibilità di fare ciò che è logicamente impossibile. Per esempio non può far passare il mondo intero attraverso un piccolo anello senza rendere il mondo più piccolo o l'anello più grande. La dottrina dell'onnipotenza può essere qualificata in altri modi. C'è ad esempio il classico problema della predeterminazione. Levi ben Ghershon [XIV sec], discutendo della compatibilità fra prescienza divina e libertà umana, sostiene che la Trascendenza conosce in anticipo tutte le scelte aperte a ciascun individuo, ma non sa quale scelta l'individuo compierà, con il suo libero arbitrio.

Di conseguenza già all’interno del tradizione ebraica troviamo un’apertura verso una visione in cui la divinità non è necessariamente onnipotente, forse perché nel creare l’essere umano rinuncia implicitamente a tale facoltà.

Come giudichi il post-teismo, nato in ambito cristiano (che abbatte tra l'altro quella pretesa onnipotenza)?

La teologia si evolve nel tempo perché le esigenze umane cambiano nel tempo e per essere rilevante la teologia deve rielaborare i suoi simboli a ogni generazione. Questo processo esiste in ogni cultura religiosa, ma è da sempre più rapido e articolato in ambito ebraico perché l’ebraismo non ha mai avuto una teologia sistematica, non prevede alcun tipo di dogma e non ha autorità centrali in campo teologico. Diversi pensatori ebrei della modernità, fra cui i rabbini Mordekhay Kaplan e Michael Lerner, hanno esposto idee molto innovative sulla natura di un’eventuale entità trascendente. In tal senso l’ebraismo è sempre stato post-teista perché ha sempre tentato di andare oltre le idee esistenti al riguardo. Una forma di post-teismo ebraico è forse contenuta anche nella proibizione biblica di elaborare immagini, fisiche o metafisiche, della divinità, che sono destinate a diventare necessariamente obsolete. E forse possiamo vedere il seme di questo già nel modo in cui la Trascendenza si presenta a Mosè nell’Esodo: «Sarò ciò che sarò», nel senso che le modalità in cui sarà percepita la divinità potranno essere infinite, e anche il superamento di ogni concezione del divino, con il vuoto e l’inevitabile assenza che viene così generata, ne fa necessariamente parte.

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