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Caso Rupnik: con 15 nuove vittime i gesuiti vogliono un nuovo processo

Caso Rupnik: con 15 nuove vittime i gesuiti vogliono un nuovo processo

Tratto da: Adista Notizie n° 8 del 04/03/2023

41385 ROMA-ADISTA. Applicazione delle precedenti restrizioni e divieto di portare avanti l'attività artistica, nell'attesa di decidere se avviare un ulteriore (il terzo) procedimento canonico: è questo, in sintesi, il contenuto del comunicato del 21 febbraio che riporta l'esito dell'indagine che la Compagnia di Gesù ha condotto sull'acclamato teologo e artista gesuita sloveno p. Marco Ivan Rupnik, 68 anni, fondatore del Centro di arte e teologia Aletti, già processato dalla Chiesa per abusi sessuali su nove religiose della comunità Loyola (in Slovenia) risalenti agli anni '90, e per impartito l’assoluzione al complice in un caso risalente al 2015 (v. Adista Notizie nn. 43 e 45/22, 7/23). Il processo per quest'ultimo reato, di competenza del dicastero per la Dottrina della Fede, si era concluso nel 2020 con una scomunica latae sententiae, comminata ma poi rapidamente ritirata, non si sa da chi; il secondo processo era stato anch'esso avocato da papa Francesco al dicastero per la Dottrina della Fede nonostante fosse di competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata perché, come lo stesso Francesco ha dichiarato in un'intervista all'AP (25/1), voleva che ci fosse continuità tra i due processi. Si concluse con la dichiarazione della caduta in prescrizione di tutte le accuse; da tenere presente che in molti casi, riguardanti per lo più minori e persone vulnerabili, il papa rinuncia alla prescrizione, mentre qui, nonostante la gravità e la serialità dei fatti, non l'ha eliminata.

Dopo l'esplosione del caso, a dicembre, con le testimonianze di nuove vittime, e il successivo invito dei Gesuiti a eventuali altre a farsi avanti, sarebbero 15 le nuove testimonianze ricevute negli ultimi mesi dal Team Referente della Delegazione per le case e opere Interprovinciali Romane della Compagnia di Gesù (DIR). Il delegato, p. Johan Verschueren, scrive nel comunicato che molti dei nuovi testimoni (13 donne e due uomini, secondo quanto riportato da Associated Press e Repubblica, le due testate autorizzate ad avere il testo in anticipo e un'intervista) «non hanno conoscenza le une delle altre e i fatti narrati riguardano periodi diversi (Comunità Loyola, persone singole che si dichiarano abusate in coscienza, spiritualmente, psicologicamente o molestate sessualmente durante personali esperienze di relazione con padre Rupnik, persone che hanno fatto parte del Centro Aletti). Perciò il grado di credibilità di quanto denunciato o testimoniato sembra essere molto alto».

Le nuove denunce coprono diversi periodi tra la metà degli anni ‘80 al 2018. Rupnik non appare intenzionato né a pentirsi (come già affermato dal vescovo incaricato del commissariamento della Comunità Loyola, mons. Daniele Libanori, anch'egli gesuita, in un'intervista al quotidiano francese La Croix, 16/2), né a collaborare: «Il Team ha proposto a p. Rupnik di poterlo incontrare al riguardo senza successo», si legge nel comunicato. Dopo aver sentito le testimonianze, il Team ha redatto un dossier e lo ha consegnato a Verschueren, con le varie ipotesi di «procedimenti legali civili e canonici» successivi e con indicazioni e raccomandazioni alla Compagnia sui possibili passi da adottare.

«La natura delle denunce pervenute tende a escludere la rilevanza penale, di fronte all’autorità giudiziaria italiana, dei comportamenti di padre Rupnik», prosegue il delegato, per il quale i testimoni sono «davvero dei e delle “sopravvissuti/e” dato il male che hanno narrato di aver subìto». Ciò significherebbe che i reati sarebbero penalmente prescritti. «Tuttavia ben diversa è la rilevanza di questi da un punto di vista canonico e concernente la sua vita e la sua responsabilità religiosa e sacerdotale».

Dopo aver spiegato tutte le opzioni possibili che si presentano al termine di questa terza indagine, il superiore di Rupnik dichiara che «è sua ferma intenzione procedere con delle misure che assicurino che situazioni analoghe a quelle riferite non abbiano a verificarsi». In che modo, visto che anche le precedenti misure, del tutto disattese (Rupnik ha continuato impunemente con la sua attività pubblica), non hanno funzionato? Con un «procedimento interno alla Compagnia» (un altro), «ove lo stesso p. Rupnik possa fornire la propria versione dei fatti». «Questo procedimento potrà sfociare in un provvedimento disciplinare». E in vista di questo procedimento, «e in forma cautelare, ha reso più rigide le norme restrittive nei suoi confronti vietandogli per obbedienza qualunque esercizio artistico pubblico, in modo particolare nei confronti di strutture religiose (come ad es. chiese, istituzioni, oratori e cappelle, case di esercizi o spiritualità). Quindi, tali restrizioni si aggiungono a quelle già attualmente in vigore (divieto di qualunque attività ministeriale e sacramentale pubblica, divieto di comunicazione pubblica, divieto di uscire dalla Regione Lazio)». «Vogliamo avere davanti a noi – così Verschueren – la chiara possibilità di un cammino che persegua il pieno riconoscimento della verità dei fatti da parte dei responsabili e un percorso di giustizia per il male fatto». Il delegato, nell'intervista ad AP, sembra escludere che Rupnik venga rimosso dallo stato clericale: cacciare Rupnik dai gesuiti renderebbe impossibile, ha detto, tenerlo sotto controllo «aumentando le possibilità che possa continuare a essere una minaccia» (va ricordato qui un caso analogo con esiti ben diversi: il provinciale gesuita in Cile dal 2008 al 2013, p. Eugenio Valenzuela, condannato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2019 con la riconferma alla dimissione dello stato clericale per abusi di coscienza, di potere e sessuali – compreso quello di adescamento in confessione – denunciati a partire dal 2013, era stato già sanzionato dai gesuiti con la “sospensione perpetua” da ogni responsabilità all'interno della Compagnia di Gesù).

Tutti sono stati informati di questo esito, da Rupnik alle persone denuncianti e ai testimoni, e ora Verschueren, nell'intervista all'AP, ha detto che deciderà in merito alle misure disciplinari definitive «in base a come risponde Rupnik», esprimendo la speranza «che si assuma la responsabilità delle sue azioni e accetti di sottoporsi a terapia psicologica».

Verschueren è la seconda persona che tira in ballo questioni psicologiche/psichiatriche: lo aveva già fatto Libanori nell'intervista a La Croix. Il ricorso a motivazioni di questo tipo, tuttavia, tende a sottintendere che la responsabilità degli abusi è tutta e solo in capo a Rupnik, caso isolato, secondo la teoria delle “mele marce”, mentre occorre tenere presenti connivenze e complicità che, in questi più di trent'anni, hanno consentito al gesuita di agire indisturbato.

Le cose che non tornano

A fronte della pretesa chiarezza cristallina del comunicato, anche qui c'è qualcosa che stona. Soprattutto il fatto che da nessuna parte siano citati, nemmeno en passant, i precedenti transiti di Rupnik per il dicastero per la Dottrina della Fede con le due sentenze: una scomunica poi magicamente sparita, e un nulla di fatto per fatti prescritti. Come se Rupnik fosse del tutto “incensurato” e oggi fosse il giorno “uno”.

Non bisogna dimenticare, poi, che mentre il primo processo era naturalmente destinato alla Dottrina della Fede perché riguardava uno dei crimini più gravi per il diritto canonico, l'assoluzione in confessione di una persona con cui si è consumato un rapporto sessuale (che ipso facto è definita “complice”), il secondo altrettanto naturalmente avrebbe dovuto prendere la strada della Congregazione per la Vita Consacrata, coinvolgendo la Comunità di Loyola. E invece no: papa Francesco in persona ha affermato (AP, 25/1) di essere intervenuto proceduralmente «in un piccolo (sic) processo che è arrivato alla Congregazione della Fede in passato», perché altrimenti «i percorsi procedurali si sarebbero divisi e poi tutto si confonde». E dunque, il processo numero 2 è stato celebrato di nuovo alla CdF, benché non ce ne fossero gli elementi. È credibile la spiegazione del papa? Il sospetto, invece, è che l'ex Sant'Uffizio fosse un ambiente più “protetto” per Rupnik: l'allora (nel 2020, e fino al 2022) segretario era mons. Giacomo Morandi, suo amico personale, che prima di essere “promosso” vescovo di Reggio Emilia, a gennaio 2022, viveva, guarda caso, nella canonica della piccola rettoria di San Filippo Neri nel quartiere Monti, a Roma, concessa a Rupnik dal cardinal vicario Angelo De Donatis per celebrare la messa la domenica. Il tutto a poche centinaia di metri dal Centro Aletti, scuola di teologia e arte e atelier di mosaico dell'artista, dove risiede anche una comunità gesuita.

Da chi fu tolta quella scomunica del 2020, motivata, a sentire il generale dei gesuiti p. Arturo Sosa, da un repentino pentimento di Rupnik (in realtà mai avvenuto)? Quale ruolo ha il card. De Donatis in tutta questa vicenda, dal momento che il legame con Rupnik è stato anche consolidato dalla sua approvazione del Centro Aletti (avviato nei primi anni '90, poi cresciuto sotto l’autorità della Compagnia di Gesù) come Associazione Pubblica di Fedeli della Diocesi di Roma nel 2019?

Perché papa Francesco non ha deciso di rinunciare ai termini di prescrizione, come fa, ha detto lui stesso, «sempre» nei casi che coinvolgono minori e adulti vulnerabili?

Intanto il Centro Aletti continua a sponsorizzare Rupnik con grande sicurezza e con atteggiamento vagamente spavaldo: il 21 febbraio, giorno in cui è uscito il comunicato, dall'account Facebook del Centro è stato postato, in vista della Quaresima e di Pasqua, il link a 47 omelie del gesuita. Potere della negazione o certezza dell'impunità?

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