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Medio Oriente. Iran-Arabia Saudita: accordo per una pace islamica?

Medio Oriente. Iran-Arabia Saudita: accordo per una pace islamica?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 08/04/2023

L’accordo Iran-Arabia Saudita pone fine alla guerra interna all’Islam.

Il dieci marzo di quest’anno, a Pechino, Iran e Arabia Saudita hanno solennemente deciso di ristabilire le normali relazioni diplomatiche tra di loro, impegnandosi ufficialmente a riaprire le rispettive ambasciate entro due mesi e a rispettare la sovranità e indipendenza degli Stati.

Leggendo questo scarno ma esaustivo rendiconto di quanto accaduto dopo anni di negoziati, la principale domanda da porsi non era e non è tanto quella che è stata posta dai più, e cioè “perché a Pechino?”, ma un’altra: “è finita la guerra mondiale per la conquista dell’islam?” Il problema è che questa guerra non è stata quasi neanche notata, o definita così, eppure tale è, o è stata, per oltre quarant’anni.

La rivoluzione khomeinista

Tra le tante categorie islamiche che vengono per lo più ignorate ve ne è una, quella di “casa dell’islam”, che coincide grosso modo con lo spazio mediorientale dove quella fede è largamente maggioritaria. Non ha nulla a che fare con Maometto, ma con la teologia islamica. La cosa curiosa è che in questo spazio, quello dove al tempo si applicava la legge islamica, era proibito guerreggiare con i musulmani. Quando l’islam si spezzò, da NEL MONDO una parte la maggioranza sunnita e dall’altra la minoranza sciita, l’Iran divenne la casamadre dello sciismo, dove è divenuto religione di Stato.

Veniamo ai nostri tempi: quando Khomeini ha trasformato la rivoluzione iraniana in teocrazia, ha anche elaborato la sua teologia dell’esportazione della rivoluzione khomeinista, il cui obiettivo primo era conquistare lo spazio islamico, cioè, se ci si pensa bene, ricostruire l’antico impero persiano, riportandolo fino alle sponde del Mediterraneo. Le comunità sciite, lungamente discriminate nei secoli dai governanti sunniti, soprattutto ottomani, sono state milizianizzate in Libano, Iraq, Siria, Yemen, sotto la sapiente regia dei guardiani della rivoluzione, il corpo speciale e paramilitare creato da Khomeini.

Terrorismi

Gilles Kepel, autorevole studioso del mondo islamico, non lo dice perché non può averne certezza, ma fa capire di ritenere che Khomeini si riferiva all’assalto terrorista per la conquista della grande moschea della Mecca del 1979 quando disse – preparandosi a rientrare a Teheran – che presto avremmo visto cose impensabili. Ovviamente si può discutere se l’esportazione della rivoluzione non intendesse tenere la guerra lontano dall’Iran portandola a casa dei propri nemici, visto che ad aprire le ostilità era stato il “laico” ma arabo sunnita Saddam Hussein. Ma certo oggi vediamo macerie che vanno da Beirut a Damasco a Baghdad a Sanaa, tutte segnate da conflitti in cui domina lo stesso scontro: da una parte l’assalto khomeinista, dall’altra la resistenza saudita o dei suoi alleati, che spesso hanno assunto la forma di altre milizie, opposte a quelle khomeiniste, pronte ad attentati anti-sciiti e a volte a derive terroriste, come alcune di quelle khomeiniste, ad esempio il braccio militare dell’Hezbollah libanese. I sauditi infatti non si ritengono solo una potenza, ma in quanto autoproclamati “Custodi dei luoghi santi dell’islam” credono in un loro dovere di predominare su quell’area. Questo conflitto così è diventato per entrambi esistenziale e ha ridotto in macerie quasi tutto lo spazio in disputa, quel che è stato il Levante, disseminando quello spazio di Stati falliti e ora sostituiti da narco-Stati, quali sono la Siria e il Libano.

La resurrezione di Assad

Con la notizia ufficiale dell’invito del presidente iraniano, Raisi, in Arabia Saudita, accolto con favore a Teheran, la domanda se questa guerra mondiale islamica sia finita è davvero legittima. È una domanda enorme di cui tutti già vedono l’effetto benefico che sta arrivando con un negoziato di pace per lo Yemen, ma che per essere vera dovrebbe comportare almeno il contenimento di Hezbollah, del Jihad islamico, oltre al resuscitare l’Iraq. Per il momento sembra più vicina la possibile resurrezione di Assad, accolto a palazzo dal presidente dei potentissimi Emirati Arabi Uniti con tanto di picchetto d’onore. Per lui non si intravvedono mandati di arresto dalla Corte Penale Internazionale come per il suo protettore russo, piuttosto riabilitazioni che indicano la qualità politica della “pace” in gestazione.

Il ruolo di Pechino

Resta però da capire come si sia arrivati a questa possibile svolta. La Cina sembra aver colto al volo l’occasione offerta su un piatto d’argento dalla novità determinata non da lei. Tutto sommato, sauditi e iraniani dove sarebbero potuti andare insieme a firmare un documento così prestigioso? Certo, per Pechino è stata l’occasione di mettere un cappello importante sulle evidenti difficoltà di relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita e di tenere vicino a sé Teheran. Qui emerge l’evidente fallimento della dottrina Obama, fatta propria da Biden. La scelta di Obama era stata quella di negoziare con Teheran sul nucleare lasciandola fare sul campo di battaglia, nel timore che trattare sulle questioni territoriali avrebbe impedito un accordo sul nucleare. Evidentemente sauditi e iraniani hanno scelto la strada inversa: decongestionare i conflitti territoriali è il senso dello stupefacente impegno comune a rispettare la sovranità di Stati, mai rispettata dalle milizie che li devastano. Ad essere lasciato da parte per ora è stato il nucleare. Probabilmente per la certezza che se il meccanismo funziona si allargherà.

Repressione feroce

Mandata in soffitta la fallimentare dottrina Obama, resta da capire cosa abbia spinto le parti a un’evidente accelerazione. I negoziati erano in atto da tempo, soprattutto con mediazione irachena e omanita, ma nessuno ipotizzava progressi. Poi? Una teoria non certa ma plausibile è che la nuova rivoluzione iraniana ha messo alle strette la leadership di Teheran. La ferocia della repressione della protesta “donna, vita, libertà” non ha piegato nessuno e così ha aggravato lo scontro interno, determinando quasi tutto il popolo iraniano a invocare un cambio di regime. I riformisti sono stati cancellati, a riprova che se nel 2009 Obama avesse abbandonato il regime invece dell’enorme movimento popolare che ne contestava i brogli elettorali che imposero la rielezione di Ahmadinejad a danno del riformista Mussavi, forse saremmo arrivati alla svolta di oggi con qualche anno di anticipo e con un Iran migliore. Secondo alcune “illazioni” della stampa specialistica infatti, gli stessi pasdaran in una recente riunione segreta con Khamanei avrebbero fatto presenti defezioni e dissensi, che sarebbero stati espressi con inusitata nettezza. Si era a un punto di rottura per il regime? È questo che lo ha “obbligato” a concessioni? La valuta iraniana precipitava a rotta di collo, la protesta univa donne, studenti, contadini, operai, commercianti.

Il pantano yemenita

 Per i sauditi invece la “pace” con Teheran, se funzionerà, offrirebbe la possibilità di uscire dal costosissimo pantano bellico yemenita, senza dover pensare ad altri attentati contro le proprie infrastrutture, confidando in un governo yemenita che lascerà i sauditi (come i cinesi e gli iraniani) padroni di pensare ai loro commerci con il Corno d’Africa e quindi di concentrare il proprio budget sull’avveniristica costruzione di un’economia post-idrocarburi, sapendo che in Iraq, Siria e Libano non potrà andare per loro peggio di così. Inoltre la corsa di Assad negli Emirati conferma che per molti storici nemici, bisognosi di uscire dalle macerie, il regno apparirà un partner importante, non più nemico e basta. Dunque, per parlare in termini europei, potremmo dire che si passerebbe dalla Guerra dei Trent’anni (che qui ne è durata 40) alla Santa Alleanza tra le grandi potenze come nel 1815; altri grandi soci, come la Turchia, saranno ammessi nel salotto buono. Quella che può intravvedersi è una Santa Alleanza basata sulla repressione delle voci libere. Almeno per ora, poi si vedrà. Ma qualche indicazione, oltre ai tappeti rossi per Assad, emerge.

Che ora i falchi del regime iraniano parlino di lotta alla nudità intendendo lotta a chi esce senza velo è forse soltanto un piccolo segnale, ma che potrebbe andare in questa direzione. Poche illusioni per i fautori delle “primavere arabe”, ma in Stati falliti, dove le valute non hanno più valore e pochi possono curarsi un ascesso, la terapia miliziana (soprattutto iraniana) ha lasciato in dote soprattutto macerie e difficilmente si poteva sperare in uno sviluppo diverso, o migliore.

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