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La crisi in Sudan e le ambigue

La crisi in Sudan e le ambigue "alleanze" europee ancora da chiarire

Lo scontro al vertice iniziato il 15 aprile scorso tra due leader militari – il generale Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan (presidente del Consiglio Sovrano e comandante in capo delle Forze Armate Sudanesi-Saf, l’esercito ufficiale del Paese) e Mohamed Hamdan Dagalo (detto Hemetti), vicepresidente del Consiglio Sovrano e leader delle Forze di Sostegno Rapido (Rsf) – continua a seminare il caos nel Sudan in guerra.

Un editoriale pubblicato ieri dal periodico dei comboniani Nigrizia raccoglie le manifestazioni di preoccupazione e condanna espresse dalla comunità internazionale. «Lo ha fatto l’Europa, e con essa l’Italia», si legge, «con le solite frasi di circostanza sulla guerra che “mina gli sforzi tesi a ripristinare la transizione verso un governo democratico a guida civile e rischia anche di rendere instabile la regione”. Parole che fanno supporre un effettivo interesse per un Paese che ha un ruolo rilevante nella geopolitica africana e soprattutto rinviano a una politica europea impegnata a radicare la democrazia». Ma nelle dichiarazioni europee e italiane c’è qualcosa di stonato...

«L’Ue e l’Italia avrebbero fatto bene», spiega Nigrizia, «ad aggiungere alle loro esternazioni che uno dei due contendenti sudanesi, Hemeti, negli anni passati è stato a lungo foraggiato perché svolgesse un lavoro sporco: tagliare la strada, e con tutta probabilità anche la gola, ai migranti subsahariani che tentavano di arrivare in Libia e di lì sulle coste europee».

Al leader delle Rsf, temutissimo «braccio armato» del dittatore deposto Omar al-Bashir, prosegue il giornale missionario, «è stato cioè affidato il compito di controllare le “frontiere esterne” europee».

Ricorda ancora l’editoriale che «preoccupazioni» sulle ambigue alleanze con i sudanesi «sono state sollevate nel 2016 da due europarlamentari, Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat», le quali avevano «inviato una lettera aperta ai ministri degli esteri (Gentiloni) e dell’interno (Alfano) dell’allora governo Renzi chiedendo spiegazioni». A destare scalpore era, allora, il «Memorandum d’intesa con il Sudan, siglato il 3 agosto 2016 dal capo della polizia Franco Gabrielli e dal suo omologo sudanese Osman Al Hussein che prevede una collaborazione sui migranti e le frontiere».

Un accordo mai discusso e tanto meno ratificato dal Parlamento italiano, siglato nell’ambito del “Processo di Khartoum”, quadro di cooperazione nel 2014 tra Sudan e Ue.

«Considerato il feeling tra Hamdan Dagalo (Hemeti) ed Europa – paventa Nigrizia – non vorremmo che sotto sotto l’Ue tifasse per lui. Averlo come riferimento a Khartoum consentirebbe di poter meglio concertare le politiche migratorie…».

La missiva di Barbara Spinelli e Marie-Christine Vergiat non ha mai ottenuto risposte convincenti, e allora Nigrizia rilancia oggi una semplice domanda: «Hemeti è stato e rimane a tutti gli effetti un partner dell’Unione Europea?». La risposta auspicabile è “no”, conclude Nigrizia, «anche perché siamo convinti che se l’Europa vuole essere un riferimento per l’approdo del Sudan alla democrazia deve guardare non ai tagliagole ma ai tanti cittadini sudanesi che ora tacciono perché parlano le armi».

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