Dibattito teologico. Sulla resurrezione di Gesù
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 17/06/2023
Ferdinando Sudati ha pubblicato in portoghese, su una rivista brasiliana, un saggio dal titolo: “La fede cristiana nella risurrezione e la crisi del linguaggio religioso nella postmodernità”. Adista Documenti 18/2023 ne pubblica alcuni stralci in italiano inviati dallo stesso autore.
La reale risurrezione di Gesù fa parte del kerygma cristiano da duemila anni, kerygma condiviso da cattolici, ortodossi e protestanti. La critica alla risurrezione di Gesù si può far iniziare già da alcuni personaggi del mondo antico; uno di questi è Celso (II secolo) che viene citato da Sudati.
Tra il 1774 e il 1778 il filosofo G. E. Lessing pubblicò un libro con alcuni manoscritti di H. S. Reimarus (1694-1768) dal titolo: I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbuttel pubblicati da G. E. Lessing (Editrice Bibliopolis, Napoli 1977). Nei suoi manoscritti Reimarus distingue il Gesù della storia, per lui un rivoluzionario giudeo che non era riuscito a fondare un regno messianico terreno, dal Cristo della fede che si incontra nei Vangeli e nella predicazione della Chiesa. Questo Cristo per Reimarus è un’illusione creata dai discepoli di Gesù che rubarono il suo corpo dalla tomba inventando poi la dottrina della risurrezione.
L’influsso della ragione illuministica che vuole spiegare tutto razionalmente, escludendo dall’esistenza ciò che non è spiegabile, si vede anche nell’opera di D. F. Strauss (1808-1874): La vita di Gesù, o esame critico della sua storia, (2 voll, Edizioni La Vita Felice, Milano 2014), il quale così definisce il mito: «Noi chiamiamo mito evangelico un racconto che si riferisce immediatamente o mediatamente a Gesù e che noi non possiamo considerare come un fatto, ma come prodotto da un’idea dei suoi partigiani primitivi» (pag. 127). La risurrezione di Gesù dunque non è un fatto e rientra dunque nel mito. Come per Reimarus, anche per Strauss, tutto ciò che supera la ragione, rientra nel mito.
Nel XX secolo l’esegeta che più si è interessato del mito è stato sicuramente R. Bultmann (1884-1976) che nel 1941 pubblicò il celebre saggio: Nuovo Testamento e mitologia. Il problema della demitizzazione del messaggio neotestamentario (Queriniana, Brescia 1970). In questo saggio Bultmann vuol metter in evidenza che il linguaggio mitico trasmette un messaggio che non è immediatamente accessibile al pensiero scientifico e dunque all’uomo moderno. Scrive Bultmann: come si fa a credere ai miracoli nel tempo «della luce elettrica e della radio»? (pag. 110). Come si fa nel nostro tempo a credere alla risurrezione di Gesù? Anche Bultmann è radicato in quel razionalismo che nega il soprannaturale, come i razionalisti del passato. Nel saggio ci sono testi molto belli su Cristo, e soprattutto si trova un aspetto caratteristico e interessante del pensiero di Bultmann, cioè «l’esigenza di interpretare in chiave esistenziale la mitologia del Nuovo Testamento» (pag. 129). Ma chi è Cristo per lui se scrive che «il Nuovo Testamento presenta Cristo come un evento mitico»? (pag. 158), se mitica è la sua preesistenza, la sua nascita verginale e la sua risurrezione reale? Il Cristo è stato crocifisso “per noi”, ma «non secondo una qualche teoria della soddisfazione o del sacrificio» (pag. 163); per Bultmann è decisiva la storicità di un evento, come è la crocifissione di Gesù, ma non è così per la sua risurrezione. Essa «non è certo un evento che appartenga alla storia e che come tale vada compresa nella sua portata» (pag. 165).
Sudati con il suo saggio si inserisce in questo filone razionalistico: «Di fronte alla risurrezione come evento non-storico, scrive, risulta incongruo anche fare appello ad atteggiamenti fideistici… La risurrezione di Gesù non è un evento che appartenga alla storia… Parlare delle risurrezione di Gesù oggi… non è possibile senza una previa decostruzione di essa che conduca a una nuova interpretazione. Occorre, infatti, nello stesso tempo, elaborare un linguaggio nuovo, sia verbale, sia concettuale, che non ripugni all’intelligenza del cristiano che vive nelle coordinate umanistico-scientifiche dell’era attuale».
Ecco il punto decisivo: il confronto fondamentale per la fede è la scienza! Solo che la scienza con il suo metodo (la verifica sperimentale) non può dire nulla sulla fede, perché questa è al di fuori dal suo metodo.
Inoltre, e questo è molto importante per il nostro argomento, oggi la scienza, dopo Popper e la fisica quantistica, non ha più quell’assolutezza che le attribuiva il razionalismo e lo scientismo.
K. R. Popper (1902-1994) nelle sue tesi sulla filosofia della scienza espresse nella sua opera fondamentale La logica della ricerca del 1935, esprime la sua critica originale al neopositivismo fondato sull’uso costante del «criterio di significanza», del quale Popper contesta la validità. Ad esso egli oppone il «criterio di falsificabilità», come il solo che debba essere usato per distinguere una teoria scientifica. Questa si contraddistingue per la sua possibilità di essere controllata e quindi falsificata empiricamente. Ciò comporta una concezione fallibilistica del sapere che è valida per Popper non soltanto nelle scienze naturali, ma anche storico-sociali.
Un’altra disciplina che mette in crisi l’assolutismo della scienza di stampo razionalistico è la fisica quantistica. Sudati non sembra tener conto né di Popper, né della fisica quantistica quando parla di scienza. «La teoria dei quanti, scrive C. Rovelli, tanto nella versione di Heisenberg che nella versione di Schrodinger, produce possibilità, non certezze» (C. Rovelli, Helgoland, Adelphi, Milano 2020, 32,40). In pratica la teoria dei quanti contraddice la fisica classica. «Il mondo che osserviamo è un continuo interagire. È una fitta rete di interazioni». Questa teoria vale per tutti gli oggetti dell’universo; non ci sono proprietà al di fuori delle interazioni. «Il mondo dei quanti è quindi più tenue di quello immaginato dalla vecchia fisica, è fatto solo di interazioni, accadimenti, eventi discontinui, senza permanenza. È un mondo con una trama rada, come un merletto di Burano. Ogni interazione è un evento, e sono questi eventi lievi ed effimeri che costituiscono la realtà, non i pesanti oggetti carichi di proprietà assolute che la nostra filosofia poneva a supporto di questi eventi» (pagg. 84,92).
A questo punto mi piace riportare quanto scrive Daniela Nucci su Adista Segni Nuovi 17(2023)11 nel suo articolo: “L’energia quantistica di Gesù”: la fisica quantistica «ha rivoluzionato l’intera concezione della realtà. La fisica nucleare ci ha aperto a verità sorprendenti sulla materia affermando che tutto è energia, che ogni atomo vibra intorno al nucleo in una sorta di “danza cosmica”; che l’energia che ruota più lentamente è spessa, corporea, e dà vita alla materia, mentre quella che ruota più velocemente è più sottile e dà vita agli stati spirituali. È tutto un mondo che sta al di là delle nostre percezioni sensoriali. Ci ha rivelato la sostanziale unità dell’universo le cui componenti non possono essere scomposte: tutto è collegato, tutti siamo collegati. Indagando sulla natura essenziale delle cose si è scoperto una realtà diversa dietro l’apparenza visibile». E riferendosi alla risurrezione di Gesù: «Nessuno sa cosa sia realmente successo in quella tomba dove era deposto il corpo inanimato di Gesù». Le apparizioni di Gesù ai discepoli potrebbero essere la prova che la morte è solo «un passaggio da un mondo a un altro, non a quel nulla di cui tanti parlano. Tutto nel creato è vita. È possibile che il Nazareno sia passato da questa dimensione fisica a una spirituale e che abbia assunto un “corpo etereo”… Se i discepoli non hanno riconosciuto il loro maestro nelle apparizioni, significa che la modalità della presenza di Gesù era cambiata. Ha sempre un corpo, ma diverso da quello che aveva quando era in vita: ora il suo è un corpo sottile, energetico, che può attraversare la materia, apparire e scomparire. Vive in una nuova dimensione non più soggetta alle leggi del tempo e dello spazio. È entrato nella vita di Dio ed è divenuto eternamente vivente».
Le “coordinate umanisticoscientifiche dell’era attuale” non sono così assolute come credeva Bultmann, come credevano e credono ancora tanti altri e anche Sudati. Dopo Popper e la fisica quantistica la risurrezione reale di Gesù può trovare spazio in una fede, anche perché ci sono testimonianze che rendono possibile questa fede.
1) La più antica e la più importante è sicuramente quella dell’apostolo Paolo contenuta nella prima lettera ai Corinzi 15,3-8 scritta attorno al 56: «A voi fratelli ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me, come a un aborto». Quella di Paolo è una testimonianza personale, difficilmente criticabile da un punto di vista storico, come sono le lettere di Cicerone, di Plinio il Giovane o di Seneca; diversamente bisognerebbe cancellare pagine di storia romana.
Sappiamo che Paolo si è confrontato con Pietro e con Giacomo, il fratello del Signore (Gal 1,18-19); quattordici anni dopo incontra ancora Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le “colonne” della Chiesa di Gerusalemme (Gal 2,1-9). Gesù apparve anche a più di cinquecento persone, alcune delle quali erano ancora in vita nel 56, e quindi si potevano interrogare sulla risurrezione di Gesù. Apparve anche a Giacomo, fratello di Gesù, capo della Chiesa di Gerusalemme, fatto uccidere dal sommo sacerdote Anano nel 62 (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche” XX, 197-203); apparve a tutti gli apostoli, un gruppo più vasto di quello dei Dodici. Infine apparve anche a Paolo. Ci sono dunque testimonianze varie e solide sulla risurrezione di Gesù.
U. Schnelle, autore di un recente e ottimo libro su Paolo (Paolo. Vita e pensiero, Paideia, Brescia 2018), difende in maniera molto convincente la risurrezione reale di Gesù, anche contro Bultmann, secondo il quale, come abbiamo visto, la risurrezione di Gesù dai morti è un mito (pag. 448). La risurrezione di Gesù, secondo Schelle, «è un evento corporeo, è dunque avvenuto nello spazio e nel tempo» (pag. 448), e quindi storico. Nelle pagine 445-465 l’autore espone il pensiero di Paolo sulla risurrezione di Gesù: «L’ampliamento di Paolo dell’elenco dei testimoni (1Cor 15,6-9) serve a comprovare la realtà fisica e di conseguenza verificabile, della risurrezione di Gesù dai morti» (pag. 448).
2) Sudati nel suo saggio continua: le apparizioni di Gesù «possono essere ricondotte a esperienze mistiche o a un fenomeno allucinatorio». È difficile pensare a un fenomeno allucinatorio per tutte le persone citate sopra, e per tutte le persone e le donne citate nei Vangeli. Tutti allucinati? L’allucinazione può al massimo valere per qualche persona, se non per una sola persona.
3) Ciò vale anche per «lo sconvolgimento emotivo o l’alterazione di coscienza». Tutti quelli di sopra sono stati sconvolti o alterati nella coscienza contemporaneamente? Neppure vale l’ipotesi che si siano messi d’accordo, perché i testi del Nuovo Testamento che parlano della risurrezione di Gesù sono stati scritti in tempi diversi, da autori diversi, in luoghi diversi, e tanti autori non si conoscevano neppure tra di loro.
4) Tutti i testimoni elencati volevano arrivare a conclusioni che confermassero ciò che essi già credevano o volevano credere? Ecc., ecc.
Paolo è il discepolo più geniale di Gesù; per predicare la morte e la risurrezione di Gesù, ha viaggiato per l’impero romano per circa trent’anni tra pericoli, sofferenze e avventure di ogni genere, come egli stesso racconta nella 2Cor 11,23-29. La morte e la risurrezione di Gesù sono il centro della sua predicazione, tanto che arriva a scrivere: «Se Cristo non è risorto vuota è allora la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14).
Per tutto questo, sulla risurrezione di Gesù preferisco credere a Paolo più che a Bultmann, a tutti i razionalisti e anche a Sudati, che scrivono anche 2.000 anni dopo di lui.
Ermanno Arrigoni è laureato in Filosofia, dottorato in Teologia alla Facoltà di Teologia dell’Italia Settentrionale di Milano, ha insegnato Storia e Filosofia al liceo.
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