Anche le consacrate infrangono il tetto di cristallo
Tratto da: Adista Documenti n° 22 del 24/06/2023
Una foto sta facendo il giro d’Italia in queste ultime settimane: l’abbadessa di un convento di clausura, ritratta di spalle sul terrazzo del monastero, che esulta, sventolando una bandiera, per lo scudetto vinto dal Napoli. Conosco la religiosa. È una suora che scrive e frequenta gli archivi, maneggiando con perizia professionale le fonti storiche e che ha fatto di un piccolo monastero, nel cuore antico e popolare di Napoli, un luogo di incontro e di manifestazioni religiose e culturali. Parto da lei per provare a esplorare un mondo variegato e in trasformazione, attraversato da fermenti e contraddizioni e dove la frontiera spesso convive con la retrovia, che è quello delle donne consacrate.
Si incontrano oggi tra loro molte donne che non ci stanno più nei cliché rigidi imposti dalla tradizione e che rispondono molto meno di qualche tempo fa all’immaginario collettivo su di loro.
Si potrebbe osservare che di religiose fuori standard se ne incontrano diverse nella storia, ed è certamente vero. Basti pensare a Teresa d’Avila, definita dal nunzio pontificio «femmina inquieta e vagabonda» per la sua esigenza di riformare il Carmelo e per le iniziative che mise coraggiosamente in campo; a Juana Inés de la Cruz, la religiosa che scriveva poesie e che nel Messico di età moderna incarnò un profilo di altissima levatura culturale; a Caritas Pirckheimer, monaca clarissa che a Norimberga, quando la città diventò interamente protestante, scelse con le sue consorelle di non sciogliere la comunità, resistendo alle pressioni familiari e cittadine per esercitare il diritto, neanche ancora lontanamente formulato a quei tempi, all’autodeterminazione e per di più femminile. E poi a Mary Ward e al suo progetto, siamo nel XVII secolo, che volle per le donne uguale a quello della Compagnia di Gesù fondata da Ignazio di Loyola; aveva pensato a una vita religiosa femminile libera da abiti e regole, interamente dedita all’apostolato negli stessi campi dei gesuiti: educazione, confronto con gli eretici, presenza dove si annidano i mali della società e che Urbano VIII definì «velenosa escrescenza nella Chiesa». Lei scriveva: «Alcuni, pensando che siamo donne […], sperano forse di vederci cadere o rimanere manchevoli in molte cose; altri ancora, stimando che siamo solo donne […], si attendono di vederci raffreddare nel fervore e che quindi tutto si dissolva in nulla, a nostra vergogna e confusione»; e, ancora, all’orsolina Marie Guyard, Marie de l’Incarnation, che nel 1639, arrivata in Canada, scelse come suo ambito di azione l’insegnamento alle ragazze indigene: «Sono sufficientemente dotta per insegnare [Gesù Cristo] a tutte le nazioni», diceva. O, ancora, procedendo più avanti nel tempo, a Francesca Cabrini e alle sue sorelle imbarcate sulle navi che portavano gli emigranti in America, o ad un’icona del Novecento, suor Rosemary Lynch, francescana nonviolenta finita anche in prigione per le proteste organizzate intorno al Nevada test site dove si sperimentava con gli ordigni nucleari, morta nel 2011. Vi sono state religiose così nella storia, che hanno trovato nella vita religiosa occasioni e opportunità per esprimere se stesse e su cui certo non si sono accesi riflettori adatti a farne risaltare le specificità e la grandezza.
Vi sono, nel presente, molte religiose che interpretano in modi non consueti la loro scelta di vita. Personalità prorompenti o suore che ce l’hanno fatta a infrangere un pezzettino di quel tetto di cristallo che sta sul capo delle donne, anche religiose. Si pensi alla sottosegretaria del Sinodo dei vescovi, con diritto di voto, suor Nathalie Becquart, nominata a tale ruolo da papa Francesco nel 2021. O a suor Jeanine Gramick, la suora con un dottorato in scienze matematiche, osteggiata in passato per il suo coraggioso e schierato impegno a favore delle persone Lgbtq+ – su di lei grava una condanna della Congregazione per la dottrina della Fede del 1999 – e finalmente riconosciuta da papa Francesco, in una lettera che le ha scritto nel 2022 ringraziandola per la sua vicinanza, compassione e tenerezza con le persone omosessuali. O, ancora, a Teresa Forcades, benedettina di Montserrat, teologa femminista, una delle esponenti di punta della teologia queer. Sono solo esempi, scelti per indicare ambiti, spazi e peculiarità diversi, ma l’elenco si potrebbe allungare moltissimo.
C’è poi un pullulare di forme di vita religiosa che si collocano molto variamente quanto a ispirazione, vedute, obiettivi, nel panorama ecclesiastico attuale, tra cui forme nuove sviluppatesi nell’ambito delle società di vita apostolica e degli istituti secolari e realtà come l’Ordo virginum. Ma si registra anche la nascita di nuovi fenomeni come Iesu Communio, la comunità di religiose contemplative la cui età media, in Spagna, abbassa notevolmente quella delle altre religiose e la cui fondatrice è suor Verónica Berzosa Martínez, oggi nella cinquantina, dalle sopracciglia perfette e che ha scelto come abito un saio di tela jeans. La nuova famiglia religiosa ha fatto discutere non poco per le contiguità che sembra avere con l’Opus Dei, banche importanti (che pare abbiano finanziato la costruzione della loro casa) e ambienti conservatori.
Un mondo plurale, dunque, che attraverso l’Unione Internazionale delle Superiori Generali, sta cercando di conquistare una presenza e una voce e spesso chiede di contare, prendendo posizione anche su urgenti questioni come le disuguaglianze sociali, il disastro ecologico, le discriminazioni sui migranti. Suore che esercitano ruoli di leadership e anche di guida spirituale e che vogliono che tali ruoli vengano riconosciuti ed ampliati; che chiedono di esercitare il diritto di voto, senza temere che queste richieste passino per “rivendicazioni”: lo stigma mistificante che viene ancora troppo spesso applicato alle donne che ambiscono, semplicemente, alla giustizia di genere. Ci sono suore che pongono la questione di una contrattualizzazione delle loro prestazioni d’opera, che spesso passano per volontariato, anche presso le realtà diocesane, e che invece si configurano come sfruttamento. E anche suore che trovano il coraggio di parlare del loro orientamento sessuale, come hanno fatto nel volume curato nella versione italiana da Cristina Simonelli e Laura Scarmoncin, Nella giustizia e nella tenerezza. Storie sacre di suore lesbiche, pubblicato da Effatà.
Il mondo plurale delle consacrate è formato anche dalle schiere di suore reclutate in Asia e in Africa e tradotte in Europa a garantire futuro assistenziale a congregazioni di anziane suore occidentali. Così come dalle suore vittime di preti che le hanno abusate, spesso approfittando di un potere che deriva da una presunta sacralità e ciò si è risolto in un’ulteriore umiliazione per queste donne sottomesse, accusate di essere psicologicamente deboli per essersi lasciate sopraffare. E poi ci sono le martiri; suore che continuano a morire vittime di guerre e di lotte per il predominio in Asia, in Africa, nelle Americhe. Ma ci sono anche le suore che purtroppo studiano ancora poco, che vorrebbero farlo ma non viene loro concesso, quasi che la formazione culturale, biblica, teologica fosse un optional per le religiose, mentre è considerata una necessità per preti e religiosi. Si potrebbe affermare che nei ranghi si affanna ancora. In molti contesti le suore sono le meno libere tra le donne, tenute ancora sotto tutela e “protezione”, impegnate in attività di piccolo supporto e manovalanza parrocchiale; considerate “minori” in una Chiesa maschile; sebbene la vulgata contraria, vedendo le donne e le suore dappertutto nella Chiesa, preferisca pensare che abbiano spazi, piuttosto che concludere che nonostante le donne siano la maggioranza numerica, nella Chiesa è la minoranza maschile che comanda.
E non c’è da meravigliarsi se un’esigenza e una consapevolezza femministe comincino a farsi strada tra le religiose.
Il 22 ottobre 2021, incontrando le partecipanti al Capitolo generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice – le suore salesiane – papa Francesco ha esortato le suore a non essere «zitellone» e poi, proseguendo nel suo discorso, le ha invitate ad essere «madri». Nonostante le “cautele” con cui il papa l’ha usata, l’espressione “zitellone” ha fatto discutere e ha ferito non poche religiose, che hanno visto profilarsi davanti a loro il pregiudizio nei confronti delle donne che non sono veramente tali se non sono mogli e, anche, madri. Né mogli né madri. È così che molte religiose vogliono essere e così vogliono essere viste, dentro la Chiesa in primis.
Quale futuro immaginare, per quel che riguarda la vita religiosa femminile, attiva o contemplativa che sia?
Nonostante i fermenti che la attraversano, essa resta tuttavia in forte contrazione e i problemi di sopravvivenza riguardano quasi tutti gli ordini, le congregazioni e le forme varie di vita consacrata. Che cosa è ragionevole aspettarsi? Che tutto il movimento e le espressioni vitali producano alla fine delle novità: fuori dai recinti, molto probabilmente.
Anna Carfora è saggista, docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.
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