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Iraq: dietro la fuga del patriarca Sako in Kurdistan lo strapotere delle milizie filo iraniane

Iraq: dietro la fuga del patriarca Sako in Kurdistan lo strapotere delle milizie filo iraniane

Tratto da: Adista Notizie n° 28 del 05/08/2023

41554 BAGHDAD-ADISTA. Non si può capire la vicenda che coinvolge il patriarca caldeo, card. Louis Sako, senza capire il Paese dove questa vicenda si svolge, l’Iraq. Due anni fa il fatto determinante: l’ampio cartello delle milizie filo-iraniane che controlla militarmente gran parte del Paese ha perso sonoramente le elezioni irachene, dimezzando i consensi, a tutto vantaggio del loro principale rivale, Moqtada al Sadr. Capo miliziano anche lui, prima leader della lotta contro Saddam, poi contro gli americani, Sadr più recentemente è diventato un sovranista: la sua linea essendo grosso modo riassumibile nello slogan “l’Iraq agli iracheni”. La sua popolarità è enormemente aumentata per il rigetto popolare dell’ingerenza iraniana e dello strapotere miliziano. Ma gli sono mancati pochi seggi per raggiungere con curdi e sunniti la maggioranza e formare il governo, mandando all’opposizione i miliziani khomeinisti. Dopo un estenuante negoziato ha ordinato ai suoi di dimettersi in blocco. La suspence è durata poco. Sadr da quel giorno è sparito, i suoi deputati sono stati sostituiti dai primi dei non eletti, tutti esponenti delle milizie avverse e lui è scomparso di scena. Le milizie hanno determinato i nuovi assetti, eletto un loro alleato capo dello Stato, un loro governo. Alle opposizioni è andato solo il sunnita che presiede il Parlamento.

Il rogo del Corano

Tra i miliziani filo iraniani eletti da subito spiccano i 4 deputati portati in Parlamento dalla milizia filo-iraniana Babilonia, guidata da Rayan al Kaldani, cioè Rayan il Caldeo. La legge assegna ai caldei cinque eletti, ma chiunque può votare per i loro candidati, e i khomeinisti hanno dato agli uomini di al Kaldani i voti necessari per emergere. Il quinto eletto è isolato.

Al Kaldani è noto, a chi si occupa di Iraq, per un vecchio filmato, dei tempi dell’Isis quando i pasdaran ne fecero un leader, nel quale lui emerge mozzando un orecchio a un detenuto ammanettato. Kaldani aveva appena vinto il duello con il più pericoloso rivale per la guida della milizia Babilonia, Salwan Momika, anche lui cavallo di razza della scuderia khomeinista tra i caldei in armi. In questi giorni Momika ha ritrovato l’attenzione del mondo dalla Svezia, dove si è rifugiato senza ottenere però lo status di rifugiato. Lì ha bruciato il Corano, vicino alla principale moschea di Stoccolma. Le sue gesta non hanno interessato il Medio Oriente, né quello attento alle devastazioni miliziane né quello estremista, attento a speculare sui sentimenti popolari. Ma diversi giorni dopo si è ricordato dell’accaduto Moqtada al Sadr, che ha spedito i suoi seguaci a devastare l’ambasciata svedese. Il governo si è detto attonito e sconcertato, ma poco dopo ha espulso l’ambasciatore svedese. Sadr aveva dimostrato di saper fare “politica”, i suoi rivali dovevano ora seguirlo sulla via della “vendetta”. Anche gli ayatollah di Teheran si sono destati, denunciando il rogo del libro sacro e sollecitando l’altrettanto distratto leader libanese di Hezbollah a farsi sentire. Insomma un incendio doloso ha riportato per giorni il Medio Oriente indietro nel tempo, grazie all’impresa di un vecchio amico di chi inveiva contro la Svezia.

Attacco al card. Sako

Questo sviluppo ha ridotto la visibilità di un fatto a dir poco imbarazzante per le autorità di Baghdad: la precipitosa scelta del patriarca caldeo Louis Sako di lasciare Baghdad, come non accadeva dai tempi delle invasioni dei mongoli, per mettersi al riparo nei territori autonomi curdi dalla milizia di Kaldani che gli ha rivolto non velate minacce. Rayan al-Kaldani inoltre, poche ore prima di questo sviluppo, era stato ricevuto dal Presidente della Repubblica, che di lì a breve ha annullato il decreto presidenziale (n. 147 del 2013, v. Adista Notizie n. 27/23) che riconosce nel patriarca caldeo non solo la principale autorità religiosa, ma anche il legale rappresentante e gestore dei beni immobiliari della Chiesa caldea. Anche questo disconoscimento non trova precedenti né recenti né remoti, poiché il patriarca caldeo ha tali prerogative dai tempi lontani del califfato, quindi da prima delle invasioni mongole.

Il silenzio dei patriarchi

Abbiamo dunque tre soggetti collegati tra loro dalla comune sebbene non analoga simpatia per l’Iran khomeinista: il Presidente della Repubblica in carica, gli ex duellanti legati ai pasdaran, Kaldani e Momika. L’ultimo citato ha consentito il rientro sulla scena politica di Moqtada al Sadr; i due precedenti hanno costretto alla fuga l’architetto (Sako) del viaggio iracheno di papa Francesco. Vorrà dire qualcosa se loro lo avversano mentre l’ayatollah al-Sistani, suprema autorità sciita mai scivolato nell’eresia khomeinista, gli ha espresso dalla città santa di Najaf piena solidarietà? Una solidarietà che invece non è stata espressa al card. Sako dai patriarchi cristiani d’Oriente.

Milizie e immobili

Al centro della contesa sembra per l’oggi esserci il controllo delle proprietà, soprattutto immobiliari che la milizia Babilonia ritiene di dover gestire in nome della delega popolare. Che la milizia Babilonia abbia occupato e saccheggiato numerose proprietà caldee nella valle di Ninive si trova scritto su tutti i giornali. Ma si doveva arrivare a uno scontro così irrituale per una questione di immobili? Il problema si capisce meglio se si pensa a chi dovrebbe andare in quegli immobili. L’espansione confessionale verso nord dei khomeinisti, prevalenti nel loro sud, è un fatto acclarato e poco riportato, anche da parte di chi dice di lavorare per conto dei sofferenti cristiani. Ridotti a poco più di 100mila dal milione abbondante che erano, i cristiani hanno proprietà, ma non tornano. Perché sotto il tacco delle milizie non ci stanno volentieri né gli sciiti, né i sunniti né i cristiani. Il voto di due anni fa lo dimostra al di là di ogni legittimo dubbio.

Pari cittadinanza

Ora però che scricchiola l’equilibrio iraniano nel nord, soprattutto a causa dei curdi d’Iran; una più pervasiva presenza miliziana nella regione e quindi nel nord dell’Iraq, può spingere a ritenere i cristiani un ingombro, a differenza delle loro abitazioni spesso vuote. C’è poi la fama del patriarca Sako e del progetto da lui condiviso con l’ayatollah al-Sistani e con molti sunniti ridotti a minoranza poco considerata nel Paese: il progetto della fratellanza che vuol dire comune e pari cittadinanza. Tutto questo per Teheran e la sua visione imperiale e confessionale andava messo tra parentesi, e così si spiega perché il patriarca Sako sia dovuto fuggire nel nord del Paese, nell’autonoma regione Kurdistan iracheno che non è sotto il controllo iraniano e dove ha ufficialmente trasferito i suoi uffici patriarcali e quindi la sua residenza ufficiale. È per questo che, sebbene non ci sia alcuna notizia al riguardo, non sorprenderebbe se dietro la decisione del patriarca Sako ci fosse una scelta precipitosa dovuta alla scoperta del possibile progetto dei suoi avversari: arrestarlo. Secondo alcune voci infatti il parlamentare Kaldani – che controlla anche un ministero – lo avrebbe denunciato alle autorità competenti: il patriarca in tal caso si troverebbe senza le immunità che derivano dal suo status non più riconosciuto dallo Stato?

Difficile dire se questo sospetto sia fondato, ma certo il disegno di esproprio strisciante dei beni cristiani c’è e nulla ci dice che non si intenda espanderlo al di là dell’Iraq, magari verso quel Libano dove si torna a parlare di cantonalizzazione del Paese, con i maroniti rinserrati nel loro Monte Libano. Forse è per questo che un nutrito gruppo di intellettuali libanesi, cristiani e musulmani, proprio in queste ore ha inviato a Papa Francesco una lettera di piena solidarietà con il patriarca Sako, definendo l’azione irachena un attacco al Documento sulla Fratellanza firmato ad Abu Dhabi da Francesco con il rettore dell’Università islamica di al Azhar e all’articolo 17 della dichiarazione universale sui diritti umani, che proibisce di spogliare gli individui delle loro proprietà: il vero obiettivo di Rayan al Kaldani, che però potrebbe inserirsi in un disegno più ampio. 

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