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Chiesa metodista: “Tutti sono accolti”

Chiesa metodista: “Tutti sono accolti”

Tratto da: Adista Documenti n° 36 del 28/10/2023

Da alcuni anni sono membro della Chiesa metodista di Roma, Chiesa che con un patto di integrazione del 1975, è parte dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi in Italia. Questa mia riflessione è da considerarsi personale e non coinvolge in nessun caso la Chiesa a nessun livello, ma soprattutto altri o altre potrebbero aver avuto esperienze molto differenti.

La mia esperienza parte dalla fatica che comporta l’essere cristiano e essere Chiesa: ci piaccia o no, essere Chiesa, in una visione evangelica, significa anche discutere molto, valutare insieme, confrontarsi, pregare e decidere.

Decidere insieme implica confronto, anche scontro, fatica, delusioni, ma questa è, forse, la pedagogia evangelica. Questo vale, soprattutto nella fatica di crescere insieme, di capire nel dialogo le posizioni nuove e differenti dalla mia. Questo terreno diventa molto impervio quando riguarda le questioni etiche che investono sovrastrutture, paure, tabù, a livello profondo, personale. Ci convincano o meno le decisioni. Dobbiamo tenere sempre presente che davanti abbiamo una comunità di fede, non una squadra con tifoseria da stadio o un partito politico che decide a mera maggioranza. Questa pedagogia diventa faticosa, come dicevo, soprattutto per le questioni etiche, in particolare per tutto ciò che investe il mondo lgbtqi+ e la fede, la comunità dei credenti, sia a livello nazionale che nella singola chiesa locale.

Un po’ di storia.

La IV sessione congiunta dell'Assemblea generale dell'UCEBI e del Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste (3 – 4 novembre 2007) approvò un documento sulle persone omosessuali centrato sul valore dell’accoglienza (punto 1), sulla relazione tra fratelli e sorelle basata sulla libertà e sulla reciprocità, sulla confessione di peccato per le violenze e le discriminazioni, mirando a «costruire una cultura del rispetto, dell'ascolto e del dialogo» e ad «accogliere le persone omosessuali senza alcuna discriminazione». Ma poco si parla qui delle relazioni di amore tra persone lgbtqi+ e le benedizioni. Infatti solo dopo ampia e “faticosa” discussione, il Sinodo metodista e valdese, nel 2010, ha approvato un documento sulle benedizioni delle coppie dello stesso sesso. «Il Sinodo, riconoscendo le differenze nel percorso di integrazione e riconoscimento delle persone omosessuali nelle chiese locali, e invitando in ogni caso al rispetto delle diverse sensibilità dei membri di Chiesa, nella preghiera e nella prospettiva delle diversità riconciliate in Cristo; (…) consapevole del fatto che la benedizione, nel contesto esclusivamente liturgico e pastorale delle nostre chiese, testimonia un riconoscimento ed una condivisione annunciata e proclamata della Grazia di Dio rivolta ad ogni creatura umana, esprime con forza la sua convinzione che le parole e la prassi di Gesù, così come esse ci sono testimoniate negli Evangeli, non possono che chiamarci all’accoglienza di ogni esperienza e di ogni scelta improntate all’amore quale dono di Dio, liberamente e consapevolmente vissuto e scelto». Il Sinodo invita «ad affrontare e approfondire la riflessione sulla realtà omosessuale e omoaffettiva all’interno delle chiese stesse e (….) a intraprendere o approfondire la riflessione sulla benedizione delle coppie dello stesso sesso (…)».

Il Sinodo ha aperto la strada lasciando alle chiese locali il discernimento.

Come sappiamo bene la questione delle benedizioni è divisiva nelle Chiese cristiane, soprattutto tra Nord e Sud del mondo. Ma anche divisiva all’interno di ogni Chiesa, anche nel panorama italiano, anche nella Chiesa valdese-metodista, Chiesa che si può affermare realtà inclusiva unica nel nostro Paese.

Quando decisi di fare il passo da una confessione ad un'altra, un elemento di forza era l’imperativo che aleggia nelle chiese metodiste e valdesi: Tutti/e possono entrare, tutti/e sono accolti/e. Anzi in molte chiese è presente fisicamente il “Tutti possono entrare”. Posso dire sinceramente che ho fatto esperienza reale di questo: entrare e essere accolto.

Anche se questo paradigma più che reale, può essere declinato in differenti modi. La mia esperienza mi fa dire: ho fatto esperienza profonda di essere considerato fratello da ogni membro della mia Chiesa, sicuramente senza se e senza ma. Forse non dal primissimo incontro, ma la realtà oggi è questa.

Mai ho dovuto nascondere o omettere la mia identità sessuale, né questa è stata ostacolo nel mio rapporto con gli altri membri di chiesa né nel mio servizio nella comunità, anzi è stato un valore aggiunto. Una sincerità che è stata una scoperta, per molte e molti, di “normalità nella diversità”. Una normalità nella diversità da accogliere, conoscere. Uno dei tanti colori dell’arcobaleno di Dio, uno dei tanti suoni nella sinfonia della creazione.

Ma non solo la mia identità personale, ma anche la mia realtà di famiglia, di relazione di amore non è mai stata oggetto di nascondimento o di non-accoglienza. Infatti per molti, all’inizio, noi, i nuovi arrivati, eravamo “Fabio e Luciano, una unica realtà personale e familiare.”

Probabilmente sì, sono-siamo stato/i alquanto fortunato/i, perché anche se inclusiva in molte situazioni l’accoglienza si declina anche con alcuni muri e chiusure.

Infatti, anche se positivamente le nostre comunità sono comunità, moltissime volte, interculturali, con tutta la ricchezza che questo comporta, l’interculturalità crea spesso anche muri. E sappiamo bene quanto sono disagevoli i muri nelle chiese. Impervi e troppo spesso difficili da abbattere. Soprattutto se costruiti in nome dell’etica: non solo sui temi lgbt, ma anche sul fine vita, sulla gestazione per altri, solo per indicarne alcuni.

E la via scelta dalla mia Chiesa è sempre una: “Tutti sono accolti” e questo ha implicato confrontarsi con la Parola, confrontarsi e discuterne con i fratelli e le sorelle, studiare, dialogare e decidere insieme, con tutta la fatica che questo comporta in termini di tempo, di tensioni emotive, di ferite, o di vere e proprie lacerazioni, ma anche di profondi momenti di riconciliazione, faticosi alcune volte, ma ricche di amore del Padre.

L‘obiettivo è «essere sempre di più Chiesa di Cristo insieme» con i tempi che detta la parola “insieme”, pronta a rinnovarsi perché mai arrivata, pronta a riconoscersi peccatrice perché non accogliente e non attenta a riconoscere l’altro un fratello, volto di Dio, con le sue differenze e diversità.

Esperienza profonda e ricca di fede: essere, insieme, per accogliere. Esperienza di essere e costruire una comunità che si educa e impara, giorno per giorno, cosa significhi condividere storie, vissuti, educazione, culture, formazioni, diverse e differenti. Valorizzandole.

E valorizzandole la comunità cresce d’inclusività. E in questi anni la porta non bisogna aprirla, non si deve bussare,si entra e si condivide. Perché il rischio delle comunità, soprattutto in un panorama interculturale, è che chi sta dentro crei una porta a cui bussare, un confine da superare. E la possibilità di dire no, state fuori, non potete entrare, diventa fortissima sui temi lgbtqi+.

Io ho respirato l’accoglienza, dall’entrare e trovare un insieme di sorelle e fratelli che non hanno guardato alla mia situazione, a chi amavo, a come ero. Una esperienza di una accoglienza sincera dettata dall’amore. Alla sequela di quel Cristo continuamente escluso, e difficilmente incluso.

L’AUTORE - È impegnato sulla questione “fede e omosessualità” in una visione ecumenica. Membro della Chiesa metodista di Roma.

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