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Abbiamo perso l’unità con la natura

Abbiamo perso l’unità con la natura

Tratto da: Adista Documenti n° 36 del 28/10/2023

«Vero ecologista è chi comprende la legge dell’interdipendenza, dāna-dharma. L’ecologia è la consapevolezza che tutto sorge dalla Coscienza divina»

(Paramahaṃsa Svāmī Yogānanda Giri, “Sat-saṇga”, Lakṣmī Ed., Savona, 2013).

“Erodere, erodere e ancora erodere”: sembra essere l’eco dell’agire umano di quest’epoca. Madre Terra viene vampirizzata e depauperata di tutte le sue risorse a causa della sete di ricchezza e di potere che muovono i mercati e le politiche globali. Sotto l’egida di un progresso tecnologico e scientifico, così tanto decantato, ci si sente giustificati a compiere ogni genere di crimine ambientale e di violenza; oggi incalza, purtroppo, una Grande cecità, per citare l’opera di Amitav Gosh.

Cambiamenti climatici, deforestazione, annullamento della biodiversità, allevamenti intensivi, aumento demografico e insufficienza di risorse per la popolazione mondiale…

I report sulla crisi ambientale odierna e sulla violenza perpetuata sugli animali, richiede, infatti, anche al più collaudato degli ottimisti uno sforzo notevole affinché non vacilli preda dello sconcerto e della preoccupazione! Richiede al più tenace dei credenti di fare appello a tutta la sua “scorta” di fede al fine di non sentirsi protagonista di un brutto sogno.

L’uomo si sta trasformando, sempre più rapidamente, in una specie di prototipo robotico programmato secondo bisogni studiati a tavolino, secondo lo scandire di bites sempre più veloci ed “evoluti”!

Oggi fantascienza sembra essere il rapporto diretto e autentico con la natura e con gli altri esseri viventi; ormai è difficile, se non impossibile, vivere ai ritmi di una volta, o di non utilizzare certi mezzi tecnologici che sembrano essere dati in dotazione alla nascita, ovviamente in quella parte di mondo che non deve lottare ogni giorno per avere anche solo cibo e acqua per sopravvivere!

La velocità si è impossessata della vita dell’uomo e con essa anche della possibilità di ascoltare, di pensare, di respirare perfino, senza che la frenesia roboante del vivere lo catturi in una morsa di inebriante quanto ingannevole rete di bisogni fallaci. Non c’è tempo, si deve correre, si deve andare… Ma dove? Sembra che non ce lo si chieda neanche più.

Il generale e diffuso allontanamento del genere umano dalla natura è un fatto innegabile, soprattutto, per quello spezzone di umanità che vive nei così definiti “paesi civilizzati”.

Osservando l’uomo, nel corso della sua storia collettiva e personale, sembra, talvolta, di assistere a uno spettacolo circense, in particolare a quei numeri di equilibrismo purtroppo però mal riusciti!

Molti dei problemi ambientali sono diventati oggi, e saranno sempre di più domani, una questione fondamentale per la stessa vita e sopravvivenza su questo pianeta.

Menzognero è il credere che la Terra e le sue risorse siano infinite! Una irrefrenabile bulimia sembra caratterizzare il kali-yuga, quest’epoca odierna, descritta dalle Scritture induiste!

Mantenere l’equilibrio è, infatti, una delle abilità più ardue nella vita. Saper conciliare il desiderio dei giusti mezzi, così pure di una ricerca tecnologica lecita per una vita migliore, con la capacità di sapersi accontentare di ciò che si ha senza bramare più di quanto sia davvero necessario.

D’altronde questa è l’esperienza di prima mano che sta sotto gli occhi di tutti. Per una misteriosa quanto innata pulsione, più si ha e più si vuole avere e, forse sarà retorica, ma più si ha e, spesso, più si sta perdendo.

Cosa si perde? Si perde il contatto con la semplicità del vivere, una semplicità in grado di incanalare le proprie azioni nella giusta direzione, in armonia con sé stessi e con tutti gli altri esseri.

Qui la parola chiave è “vivere”. Prima di ogni altra cosa noi viviamo su questa Terra; viviamo nell’ambiente che ci attornia. Ma cosa significa vivere qui? Qual è lo scopo del vivere? Lo scenario si allarga illuminando il problema ambientale nella sua dimensione più vasta che chiama in campo riflessioni sull’essere gli uni legati agli altri, gli uni responsabili della felicità altrui.

Dharma

L’idea di “armonia”, nel suo significato etimologico di “congiungere”, “accordare” è una delle rese più felici del sanscrito “dharma”. “Dharma” può essere tradotto con “ordine”, “giustizia”, “norma”; tuttavia, veicola il concetto di “sostenere”, “proteggere”, “nutrire”.

Estensione dell’idea di dharma è ritam, termine che si incontra già nei Veda per indicare «l’ordine cosmico, il giusto ritmo della manifestazione». Dharma e ritam costituiscono dunque la maglia perfettamente ordinata di principi etici e fisici che tengono insieme l’intero universo e sostengono la Terra.

Il dharma, più in generale, si carica di una valenza benefica venendo a esprimere l’azione giusta, il dovere, ciò che conduce all’ottenimento del benessere e del bene supremo. Bene supremo riferito non solo all’essere umano bensì all’intera sfera dell’esistente: dai minerali, alle piante agli animali, fino ad arrivare alle sfere celestiali o superiori. Ivi implicita è, infatti, una legge di interdipendenza, decisamente ecologica.

Tale sensibilità ecologica è documentata da inni del Veda in cui si sottolinea la sacralità di tutto ciò che esiste e un continuo richiamo al rapporto stretto e imprescindibile tra il micro e il macrocosmo.

Gli antichi saggi veggenti che meditavano nelle foreste indiane, sotto gli alberi e a stretto contatto con gli elementi naturali seppero percepire quel sostrato unitario, quel quid che permea tutta la manifestazione: l’Uno, Dio.

Una verità che ritroveremo a più riprese espressa nei Veda: «Tutto è Uno senza secondo»; e ancora, «Tutto è sacro perché tutto è Brahman, l’Assoluto».

Il premio Nobel per la letteratura, Rabindranath Tagore non sbagliava dunque quando scrisse che le foreste sono state la culla della Civiltà indiana marcandone fortemente il pensiero filosofico e speculativo.

«Mi riempie di gioia e di speranza per l'avvenire dell'umanità considerare che vi fu un tempo lontano, quando i nostri poeti-profeti, immersi negli splendori del cielo indiano, salutavano il mondo intorno con la gioia con cui si riconoscono le persone care. Non era questa un'allucinazione antropomorfica. Non era veder ovunque riflesse immagini dell'uomo grottescamente esagerate, assistere al dramma umano rappresentato su scala gigantesca nell'arena della natura. Al contrario, significava oltrepassare le limitative barriere individuali, divenire più che uomo, una sola cosa col Tutto. Non era un semplice gioco d'immaginazione, ma la liberazione della coscienza da tutte le mistificazioni e le esagerazioni dell’io. Quegli antichi veggenti sentivano nella serena profondità della loro mente che la stessa energia che vibra e passa nelle infinite forme del mondo, si manifesta al nostro interno come coscienza, e non vi è interruzione nell'unità». Questa visione di unità in tutta la creazione crea un’attitudine di adorazione verso la vita stessa, ed educa a un profondo rispetto verso tutte le persone e gli esseri animati e inanimati.

Si deduce quindi, che per l'induismo, la natura e l'ambiente non sono al di fuori dell’essere umano, né sono ostili o alieni. Al contrario, rappresentano una parte inseparabile dell’esistenza, ne costituiscono il corpo stesso.

Nella scacchiera dell’esistenza l’uomo compie le sue mosse disseminando veleni, ignorando che ciò equivale a uno scacco matto non solo per la salute del Pianeta, ma anche per la propria!

La crisi climatica è una naturale conseguenza della perdita di unità con la natura, più precisamente, è il risultato della violazione del dharma. Il comportamento adharmico, predominante in quest’epoca, sintetizzabile in avidità, violenza, egoismo e individualità, sono alla base della grande Malattia di uomini e ambiente.

Era già noto agli antichi, e dovrebbe tornare a esserlo anche oggi, che la soluzione alla crisi ambientale deve passare per una riduzione di bisogni, per un ritorno all’essenziale, all’Essenza. Come insgena un celebre inno dell’Atharva Veda, si deve riscoprire la Terra come Madre, una Madre che nutre, sì, ma che deve essere rispettata e protetta, non abusata.

Solo un simile legame è il garante dell’equilibrio degli ecosistemi.

Nel concetto “l’Uno è il Tutto” si supera il principio di antropocentrismo che nega la bilateralità del rapporto con la natura, nega il “diritto naturale” degli esseri; senza questo superamento ogni discorso etico ed ecologico è vano.

Il Mahātma Gandhi, modello esemplare di vita ecofriendly, per usare una parola oggi tanto in voga, riconosce il mondo come un solo corpo.

“Dio ha ordinato questo mondo in modo che nessuno possa tenere esclusivamente per sé la propria bontà o la propria malvagità. Il mondo intero è come un corpo umano con le sue membra. Il dolore di un membro è sentito nel corpo intero. La cancrena di una parte avvelenerà l’intero organismo. Perciò smettiamo di pensare in termini del nostro solo Paese».

Il destino è nelle nostre mani e nessuno al di fuori di noi può renderlo felice o rovinarlo.

L’AUTRICE - Monaca induista, Unione Induista Italiana-Sanatana Dharma Samgh.

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