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Verso un nuovo umanesimo del lavoro

Verso un nuovo umanesimo del lavoro

Tratto da: Adista Documenti n° 44 del 23/12/2023

La ridefinizione della globalizzazione nel tempo della «terza guerra mondiale a pezzi» rischia di diventare una mera questione geopolitica delegata alla ricomposizione degli interessi economici e finanziari che l’economista serbo americano Branko Milanovich ha definito come scontro tra due differenti capitalismi1 , una riconfigurazione delle sfere di influenza e di dominio delle risorse che rispolvera alcune contrapposizioni dei secoli precedenti per articolare una nuova resistenza, culturale e mediatica prima che militare, alla questione cruciale ossia al superamento e alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo. In tale prospettiva l’Agenda 2030 ha immaginato e aperto un percorso possibile: un insieme di obiettivi, tutti egualmente prioritari, affidati non solo ai governi ma a tutti i cittadini, alle organizzazioni sociali ed economiche, alle istituzioni locali nel desiderio di generare un’attivazione sinergica in grado di provocare una trasformazione sistemica e corale.

Fulcro dell’Agenda è certamente l’obiettivo 17: «Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile» che offre quel metodo che in Italia ha ispirato la costituzione dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile.

Il coordinamento di una simile complessità rappresentata dall’Agenda è affidato all’impegno di connessione che dal basso può essere innescato dalle comunità locali, esortate a diventare laboratori di antifragilità2 che possano sostenere le persone e le comunità a vivere le sfide attuali come opportunità per una trasformazione profonda alla ricerca di nuove ragioni pratiche per un vivere quotidiano dentro un sistema di relazioni positive tra le persone e con l’intero ecosistema.

Le diseguaglianze crescono

La globalizzazione guidata dall’economia del vantaggio competitivo assoluto e dalla finanza speculativa ha generato enormi disuguaglianze a ogni livello: il processo di concentrazione delle risorse nelle mani di pochi individui è un’evidenza che molti osservatori documentano nel suo aggravarsi anno dopo anno, pensiamo ai rapporti Oxfam e ai World Inequality Report. Quest’ultimo, nell’edizione relativa al 2022, certifica che il 10% di popolazione più ricca del pianeta possiede il 76% della ricchezza e il 52% del reddito, mentre il 50% più povero possiede il 2% della ricchezza e l’8% del reddito.

Si tratta di una stratificazione di disuguaglianze che emergono già nelle dinamiche della competizione economica e della distribuzione primaria del valore delle produzioni che privilegia soprattutto il “fattore capitale” a discapito del “fattore lavoro” e che poi continua e si aggrava nei meccanismi redistributivi posti in essere da sistemi fiscali che non riescono a riequilibrare il carico fiscale, sempre più oneroso per persone e famiglie.

A tali dinamiche si associano, soprattutto in questi ultimi anni a cavallo della pandemia, l’emergere del fenomeno dei working poor (lavoratori poveri) e, come documentato già da tempo, l’impoverimento delle classi medie e il rallentamento dei meccanismi di mobilità sociale che contribuiscono a determinare la polarizzazione dei redditi soprattutto all’interno dei Paesi un tempo definiti “sviluppati”. Ha osservato di recente Esther Duflo, economista francese e Nobel 2019 per l'Economia, come tale tendenza non sia recente e che, ricostruendo serie storiche a partire dagli anni ‘50, è possibile assistere a una riduzione dei salari mediani. Ma l’impoverimento è generato dalla combinazione micidiale tra riduzioni retributive e compressione di servizi e tutele sociali (si pensi alla sanità pubblica) che esporrà ancora più persone e famiglie a un rischio di povertà o quantomeno a un ridimensionamento dei propri stili di vita.

Non è infatti un caso che il Goal 10 riguarda proprio la riduzione di tale disuguaglianza tra e dentro i Paesi, perseguendo da un lato politiche di riequilibrio territoriale e di cooperazione internazionale per «incoraggiare l’aiuto pubblico allo sviluppo e i flussi finanziari, compresi gli investimenti diretti esteri, per gli Stati più bisognosi, in particolar modo i Paesi meno sviluppati, i Paesi africani, i piccoli Stati insulari in via di sviluppo e i Paesi in via di sviluppo senza sbocco al mare, in conformità ai loro piani e programmi nazionali (10b)» con l’ambizione di ripensare i meccanismi e gli strumenti previsti dalle organizzazioni mondiali del Commercio, cercando di favorire la valorizzazione delle risorse.

Gestire meglio le migrazioni

Gioca in tal senso un ruolo importante un modello più inclusivo di gestione delle migrazioni: «rendere più disciplinate, sicure, regolari e responsabili la migrazione e la mobilità delle persone, anche con l’attuazione di politiche migratorie pianificate e ben gestite (10.7)». Per una globalizzazione più “intelligente”, come la definisce l’economista Dani Rodrik, occorre favorire la parziale rilocalizzazione di filiere produttive locali che permettano la rifioritura di mercati locali del lavoro innescando il circolo virtuoso di uno sviluppo dal basso, più autocentrato come si sarebbe detto negli anni ‘70 ma anche una limitazione, soprattutto attraverso coordinati strumenti di natura fiscale, alla delocalizzazione selvaggia e al dumping sociale e ambientale che ne è spesso la causa. Non si tratta chiaramente di slegare o arrestare la globalizzazione con brusche marce indietro peraltro talvolta evocate da sovranismi e populismi di ogni genere rimontando così vecchi muri e antiche barriere, quanto di ritrovare il primato di una regolamentazione e di politiche che siano a servizio della vita buona delle persone, recuperando così il valore e la forza di prassi democratiche e di progettualità politica. In tale prospettiva vi è il Goal 8, «Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e produttiva e un lavoro dignitoso per tutti», che mette a fuoco quell’idea di crescita qualitativa di cui avevano parlato tempo fa Fritjof Capra e Hazel Henderson in un loro pamphlet: «lo sviluppo è una proprietà fondamentale della vita (…), tutti i sistemi viventi si sviluppano e la vita tende continuamente a creare novità (…), lo sviluppo è un processo in divenire dove persone e comunità raggiungono il loro potenziale» 3 .

Rimettere al centro il lavoro

L’idea di crescita lineare illimitata deve essere definitivamente superata per fare spazio a un’idea circolare “bio-economica”4 di crescita che meglio incorpora obiettivi di carattere ambientale e sociale insieme a quelli economici, coerente con l’ispirazione dell’Agenda 2030 dove rimettere al centro il lavoro come forma di realizzazione personale e strumento di inclusione e di partecipazione civica, esperienza di socialità e di integrazioni. Da alcuni anni l’Organizzazione Internazionale per il Lavoro (ILO) parla di decent work, ossia di lavoro dignitoso, vale a dire «un lavoro produttivo e che garantisca equo compenso, sicurezza sul posto di lavoro e protezione sociale per le famiglie, migliori prospettive di crescita personale e integrazione sociale, libertà di esprimersi, organizzare, partecipare a discussioni che riguardano la propria vita, pari opportunità per donne e uomini», un tentativo abbastanza coraggioso di tenere insieme diritto al lavoro e diritti sul lavoro che si rivela come una urgenza non più rinviabile. Lo dimostrano tanto i dati sugli incidenti nel posto di lavoro, solamente in Italia aumentati negli ultimi anni con tassi superiori al 20%, ma anche un altro fenomeno recente emerso dopo la pandemia e denominato great resignation o fenomeno delle grandi dimissioni, ossia un esodo silenzioso che secondo molti osservatori sta rivelando il tema della qualità della vita e del benessere nel posto di lavoro che dovrebbe provocare un profondo ripensamento dei modelli organizzativi, dei meccanismi retribuiti ma anche delle politiche del lavoro: al punto 8.8 del Goal leggiamo che bisogna «proteggere il diritto al lavoro e promuovere un ambiente lavorativo sano e sicuro per tutti i lavoratori, inclusi gli immigrati, in particolare le donne, e i precari», che nella visione mondiale dell’Agenda riconosce la necessità di tale cambiamento di prospettiva.

Uno strumento utile è certamente l’incremento di modelli di partecipazione economica dei lavoratori, ripensare profondamente la formazione professionale e incentivare forme di imprenditorialità dal basso legate all’innovazione sociale migliorando gli strumenti finanziari come il microcredito; la dimensione finanziaria è centrale, leggiamo nel punto 8.10: «Rafforzare la capacità degli istituti finanziari interni per incoraggiare e aumentare l’utilizzo di servizi bancari, assicurativi e finanziari per tutti».

Sarà importante, in tal senso, esplorare la potenzialità dell’Economia Sociale che sta allargando i propri spazi ed elabora modelli trasformativi che cercano nuove sintesi obiettivi personale e comunitari, socio-economici e ambientali, locali e globali. Ha ricordato papa Francesco, che sin dall’inizio del suo pontificato ci ha messo in guarda sull’economia «che uccide» e che produce scarti, come sia «importante lavorare insieme per costruire il bene comune e un nuovo umanesimo del lavoro, promuovere un lavoro rispettoso della dignità della persona che non guarda solo al profitto o alle esigenze produttive ma promuove una vita degna sapendo che il bene delle persone e il bene dell’azienda vanno di pari passo»5 .

Note

1. Branko Milanovic (2020), Capitalismo contro capitalismo. La sfida che deciderà il nostro futuro, Editori Laterza.

2. Il riferimento è al pensiero di Nassim Nicholas Taleb (2013) Antifragile. Prosperare nel disordine, Il Saggiatore.

3. Crescita qualitativa. Per una economia ecologicamente sostenibile e socialmente equa, Edizioni Aboca, 2013 pp. 25-26.

4. Il riferimento evidente è all’opera di Nicholas Georgescu-Roegen, precursore di ciò che oggi definiamo economia circolare.

5. www.ilsole24ore.com/art/intervista-papa-francesco-i-soldi-non-si-fanno-i-soldi-ma-il-lavoro-AEf2V5lF

Giuseppe Notarstefano è presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana dal 2021; ricercatore in Statistica economica e docente alla Lumsa a Palermo. Saggista e membro della redazione di “Aggiornamenti Sociali” e “Dialoghi”. Ha pubblicato per Ave nel 2023, “Verso noi. Prendersi cura della vita di tutti.

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

 

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